La Gazzetta dello Sport, 8 novembre 2017
Zverev, il nuovo Federer, è innamorato dell’Italia
Ci accoglie «in borghese», camicia damascata e occhiali da vista nel salottino del suo sponsor Peugeot. Sascha Zverev, numero 3 al mondo ad appena 20 anni, è arrivato a Milano per onorare il torneo a cui avrebbe dovuto partecipare, le Next Gen Atp Finals che segnano una novità assoluta. In campo i migliori otto al mondo nati entro il 1996. Il primo della classifica era lui ma, con cinque titoli e due Masters 1000 vinti nel 2017, si è guadagnato un posto tra i grandi insieme a Federer e Nadal, coloro che lo hanno sempre definito un predestinato. Ieri pomeriggio si è esibito in un match col greco Tsitsipas, come Sascha vincitore del Bonfiglio a Milano.
Sascha, Milano l’ha accolta a braccia aperte, ma lei sta già partendo per Londra. La aspettano le Atp Finals.
«Un traguardo importantissimo e un sogno per ogni giocatore professionista. Confrontarmi coi migliori al mondo e farne parte è pazzesco».
Si aspettava di crescere così in fretta e chiudere la stagione da numero 3?
«Dire che me lo aspettavo è eccessivo, ho lavorato tantissimo per raggiungere questi risultati e vincendo ho acquisito maggiore fiducia nelle mie possibilità. Ma spero di poter fare ancora meglio».
Per esempio vincere uno Slam. Se dovesse scegliere con quale iniziare?
«Difficile scegliere. Ma credo Wimbledon».
Perché?
«Perché è Wimbledon, un torneo speciale per chiunque faccia il mio lavoro. Ma sia chiaro, per cominciare mi va bene uno qualsiasi (ride)».
Procedendo per associazione di idee, l’erba londinese richiama alla mente Roger Federer. Che parla sempre bene di lei.
«Sul campione non si può dire nulla. È un monumento, una leggenda, ma soprattutto un grande uomo».
Su, ci riveli qualche piccolo consiglio che le ha dato. Qualcosa che possiamo giocarci anche nella partitella con gli amici.
«Mai! Scherzi a parte, quando ho bisogno di qualche consiglio è sempre pronto a darmelo. Spesso ci alleniamo insieme, ci vediamo anche fuori dal campo. La sua classe e la sua esperienza sono un grande arricchimento».
Il tennis per lei è un affare di famiglia: un fratello-collega e un papà coach.
«Sì, ed è molto bello. Con mio fratello ci facciamo molta compagnia in giro sul tour, e poi ci alleniamo insieme e possiamo darci dei consigli l’uno con l’altro, siamo molto legati».
Com’è suo padre come tecnico?
«Mio papà è una persona molto intelligente. È un ottimo allenatore, come dimostrano i risulti miei e di Misha. È anche consapevole che io ho bisogno del mio spazio al di fuori del tennis e che non posso pensare a quello tutto il giorno sia in campo che a casa».
Lei con l’Italia ha un bel rapporto, prima il Bonfiglio, poi la vittoria agli Internazionali di Roma.
«Per me l’Italia è un posto del cuore. Amo venire qui, la gente è appassionata di tennis e conosce lo sport, è molto attenta. La vittoria a Roma resterà sempre nella mia memoria, e spero proprio di ripetermi anche il prossimo anno».
In questo torneo siamo proiettati nel futuro, qui sono i campo i prossimi big del tennis.
«È un’idea fantastica, dobbiamo pensare che fenomeni come Rafa e Roger non giocheranno in eterno, purtroppo, e quindi far conoscere nomi nuovi è utile. Quanto alle regole, beh forse lo shot clock potrebbe essere portato sul tour, ma i set brevi... non ne sono sicuro».
Se non fosse stato un tennista, cosa avrebbe fatto da grande?
«Il giocatore di basket».
Beh, l’altezza c’è.
«Adoro il basket, sono un grande fan dei Miami Heat. Fin dal 2003. Anche quando sono in giro per i tornei con Monfils, Sock, Kyrgios, Pouille gioco un sacco. Facciamo dei mini tornei tra noi. È divertente».
Ma intanto vince, e quindi guadagna, inseguendo quella pallina gialla. Che rapporto ha col denaro?
«Beh, diciamo che ce l’ha di più il mio manager un rapporto col mio denaro (ride rivolgendosi a Patricio Apey, ndr). Ho un buon feeling con i soldi, ma per ora non ho ancora fatto pazzie. Quelle le riservo al basket».