La Gazzetta dello Sport, 8 novembre 2017
I 75 anni di Sandro Mazzola
«Valentino segna ancora. E nonostante io mi nasconda dietro gli alberi per non farmi vedere, lui mi trova con lo sguardo e mi indica per essere certo che io lo abbia osservato». Sandro Mazzola compie oggi 75 anni e il primo pensiero corre sull’equilibrio sensibile del presente-passato. Il Valentino che segna ancora è l’ultimo dei sette nipoti, «un campioncino davvero di 9 anni» lo definisce sorridendo. Uno della «banda Bassotti con cui oggi festeggerò il compleanno». Gioca in Brianza in un ruolo simile a quello del nonno. Tra Valentino padre a Valentino nipote scorre la vita di Sandro. Una vita colorata di due colori, il nero e l’azzurro.
«C’è solo l’Inter», l’inno del club dedicato all’avvocato Peppino Prisco, gli svicola addosso perfettamente. «Eppure potevo andare alla Juve, alla Roma e anche al Milan – racconta ancora adesso -. I bianconeri si erano infiltrati ad Appiano pur di convincermi. “La Juve arriva dappertutto” mi disse un vecchio portiere juventino che venne al centro sportivo per farmi parlare al telefono, uno dei primi in auto, con l’Avvocato Agnelli. Una notte a pensarci, poi mia madre mi disse che papà, da capitano del Torino si sarebbe rivoltato nella tomba se avessi accettato la Juventus. E poi l’Inter mi prese quando nessuno mi cercava. Un minimo di riconoscenza…». Reciproca, vien da dire, se alla fine della storia Sandro e i nerazzurri, insieme, hanno vinto quattro scudetti, due coppe dei Campioni e altrettante coppe Intercontinentali.
Dal primo contratto con il d.s. Italo Allodi che gli offrì meno soldi di un coetaneo non nazionale («Glielo feci notare, mi mandò via dalla sede di via Dante. Il giorno dopo il mio allenatore della Primavera andò a parlare per me: “senza Mazzola non possiamo andare avanti” sbottò in sede») ai successi internazionali c’è una vita di ricordi e aneddoti. «Ma se mi chiedete quale gol mi emozionò di più fu quello segnato al Vasas a Budapest in Coppa Campioni nel 1966: gli ungheresi erano fortissimi. Metà campo correndo palla al piede, dribbling sul portiere, un altro su un difensore che ritornò e poi la piazzai nell’angolo basso». Gli aneddoti con Helenio Herrera sono infiniti, necessiterebbero un’appendice alle 24 ore quotidiane. «Mi faceva molto ridere come Burgnich fosse riuscito a fregarlo per un po’ sulla bilancia, toccando un punto della quale abbassava il reale peso. E visto che chi sgarrava, pagava la multa, erano soldi risparmiati. Quando però Herrera capì, ci multò tutti». E l’Inter di oggi? «Mi piace il carattere dei giocatori. E Spalletti entra nella loro testa. Anche lui come Herrera allena prima la mente».