il Fatto Quotidiano, 8 novembre 2017
Puigdemont cambia rotta e accusa l’Ue
Qual è la strategia di Puigdemont a 43 giorni dal voto in Catalogna?
Formalmente non è più in carica. È soggetto a restrizioni della libertà personale. Non può lasciare il territorio belga. Ma ieri Carles Puigdemont ha rivissuto una giornata da «President». Duecento sindaci catalani in trasferta a Bruxelles lo hanno acclamato come un vero leader. Un atto simbolico che ha ufficialmente aperto la campagna elettorale. In esilio. La giustizia belga deve decidere se consegnare il presidente deposto a Madrid. Ma l’iter probabilmente non si concluderà prima del 21 dicembre, giorno delle elezioni in Catalogna. E così il numero uno degli indipendentisti si prepara a una campagna elettorale in contumacia. Principalmente mediatica, ma non sono esclusi nuovi eventi come quello di ieri che ha riempito il Palazzo delle Belle Arti della capitale belga (la stessa in cui, il 12 ottobre, la Spagna ha celebrato la sua festa nazionale). Un vero e proprio comizio per Puigdemont, accompagnato dai quattro «consellers» che lo hanno seguito in Belgio per evitare il carcere. Ha accusato il governo spagnolo di «fascismo», reo di aver fatto «un colpo di Stato» e per questo prepara un ricorso alla Corte di Strasburgo. Se l’è presa con «il clan del 155», riferendosi a Ciudadanos e ai socialisti che hanno sostenuto l’applicazione dell’articolo della Costituzione con cui la Catalogna ha perso l’autonomia. E infine ha puntato il dito contro l’Ue. Forse l’attacco più duro nei confronti delle istituzioni Ue, alle quali più volte si era appellato senza essere ascoltato. Basti pensare che l’evento di ieri avrebbe dovuto tenersi all’Europarlamento, ma all’ultimo gli organizzatori hanno deciso di cambiare location. L’istituzione era pronta a impedire l’accesso a Puigdemont, a meno che non si fosse presentato con un’autorizzazione di un giudice. «La gente si chiede perché non c’è una reazione dell’Ue – ha attaccato –. È questa l’Europa che vuole Tajani? Quella che manda un governo in prigione?». Parole che lasciano intravedere un cambiamento nella «narrazione». L’indipendentismo catalano ha sempre messo l’europeismo in cima alla lista dei propri valori, ma la (non) gestione di questa crisi da parte di Bruxelles ha cambiato qualcosa. Alcuni sondaggi dei giorni scorsi registrano un cambiamento degli umori catalani verso l’Ue. E per i politici, in campagna elettorale, il «sentiment» della base è una bussola.