la Repubblica, 8 novembre 2017
Le isole senza bandiera che attraggono i milionari con la Apple fanno Bingo
LONDRA Non c’è bisogno di arrivare fino alle Cayman per trovare, parafrasando Robert Louis Stevenson, l’isola del tesoro. Lungo le coste del Regno Unito ce ne sono un paio balzate da qualche giorno sulle prime pagine dei giornali: l’isola di Jersey nel Canale della Manica e l’isola di Man nel Mare d’Irlanda. I Paradise Papers hanno rivelato che la Apple ha trasferito in segreto la propria sede legale nella prima e che il campione di Formula Uno Lewis Hamilton (come decine di altri super ricchi) tiene il proprio aereo privato nella seconda. In entrambi i casi, l’obiettivo è non pagare le tasse. Questo è stato per decenni il business che ha trasformato l’una e l’altra in paradisi fiscali offshore. Alla lettera significa “al largo della costa”. Ma nel loro caso non tanto al largo.
Un’altra possibile definizione, presa in prestito da Peter Pan, sarebbe l’isola che non c’è. Jersey e Man non appartengono alla Gran Bretagna. E nemmeno all’Unione Europea. E non sono stati sovrani. Sono possedimenti della monarchia britannica. La regina Elisabetta è il capo di stato formale. Londra garantisce la difesa militare. Ma le due isole sono amministrate da un’autorità locale con un proprio parlamento, che può approvare leggi differenti dal vicino regno. Per esempio in materia fiscale.
È una peculiarità che affonda nella storia. Insieme al resto delle Channel Islands (Guernsey e Sark), fino al dodicesimo secolo Jersey faceva parte del ducato di Normandia, annesso all’Inghilterra da re Guglielmo il Conquistatore. Il suo successore re John perse la Normandia ma conservò il minuscolo arcipelago, che dista appena 25 chilometri dalle coste della Francia (120 da quelle inglesi). Da allora è sempre rimasto al Regno Unito, a parte il periodo dell’invasione nazista: furono l’unica fetta di Gran Bretagna conquistata da Hitler. L’isola di Man, nello stretto fra Irlanda e Inghilterra, ha avuto un destino simile: invasa da sassoni, vichinghi, norvegesi, scozzesi, cadde in mano a Edoardo d’Inghilterra nel tredicesimo secolo e ci restò.
Dopo la seconda guerra mondiale conobbero un relativo benessere. Ci andava in vacanza la classe lavoratrice inglese. Il massimo divertimento erano i giri sugli asinelli, oltre alle corse motociclistiche sull’isola di Man. Poi il turismo a basso costo ha portato la working class, per gli stessi soldi, in nel sud Europa. La soluzione è stata sfruttare la propria indipendenza finanziaria: zero tasse per le corporation, 20 per cento l’aliquota più alta per le persone fisiche, niente Iva. Da Londra sono calati in massa banche, fondi di investimento e speculatori: ci si arriva in un’ora di aereo. Alla City faceva comodo un centro offshore così adiacente. Ma il gioco era un po’ sporco: attirava anche riciclaggio di denaro. Dopo la crisi del 2008, la Ue ha imposto norme più severe: niente tasse anche per i residenti o tasse per tutti, stranieri inclusi. Jersey ha scelto la formula niente tasse per tutti e nelle sue casse si è aperto un buco: il bilancio è in rosso di 150 milioni di sterline l’anno. Serviva qualcosa per rimpolparlo. Quando è venuta a bussare la Apple, non più sicura di una tassazione amichevole in Irlanda, i poteri locali hanno spalancato la porta. Come ha fatto l’isola di Man con l’affare degli aerei privati esentasse. Ma ora i Paradise Papers sollevano un velo sulle due isole del tesoro, riportandole all’attenzione del mondo. Non sono più l’isola che non c’è.