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 2017  novembre 08 Mercoledì calendario

Pericolo tessile dalla Giordania. Il paese dispone di manodopera competente e poco pagata

La Giordania ha aperto le porte ai profughi siriani e molti di loro hanno trovato lavoro nell’industria tessile locale. In cambio di questa integrazione dei siriani nella propria economia, la Giordania ha ottenuto l’apertura del mercato europeo al Made in Giordania che per il momento rifornisce soprattutto gli Stati Uniti, ma che ambisce proprio all’Europa.
Dunque non è lontano il giorno in cui gli europei vestiranno abiti prodotti in Giordania.
La storia di Anas, 19 anni, rifugiato in Giordania proveniente dalla Siria, è emblematica. Sistemato nel campo profughi di Zaatari nel Nord della Giordania, Anas si è visto offrire un lavoro durante l’estate dalle imprese tessili che più volte si sono recate nel campo in cerca di manodopera. Il padre di Anas non gli ha lasciato scelta. Così, il ragazzo fuggito dalla Siria devastata dalla guerra civile, ha imparato in Giordania a utilizzare la macchina da cucire prima di finire a lavorare in un gigantesco hangar con la luce bianca del neon nella zona industriale Al-Hassan, a metà strada fra la città di Irbid e il campo dei rifugiati di Zaatari. Adesso, a testa bassa, cuce le tasche sugli abiti, contento di aver imparato un mestiere, secondo quanto ha riportato Le Monde.
La Giordania è una meta turistica rinomata per i suoi siti archeologici, in primis quello di Petra. Delle sue fabbriche si sa meno, ma è in questo paese che grandi marchi come Gap, Victoria’s Secret, Hanes o Walmart hanno scelto di localizzare la loro produzione di abbigliamento. Più di 75 fabbriche danno lavoro a 75 mila persone. La produzione è pari al 20% del prodotto interno lordo del paese ed è principalmente esportata verso gli Stati Uniti, ma con la crisi siriana anche gli europei potranno indossare abiti made in Giordania dal momento che nel 2016 la Ue ha aperto il proprio mercato alla monarchia hashemita in cambio dell’integrazione dei siriani nell’economia giordana.
La Giordania accoglie più di 660 mila profughi siriani secondo i dati dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, riportati da Le Monde. Di questi, 290 mila sono in età da lavoro. Il governo giordano stima, invece, che siano, in realtà, 1,3 milioni. In seguito all’accordo di Londra del 2016, Amman ha consegnato all’incirca 200 mila permessi di lavoro ai rifugiati e in cambio ha ottenuto che 52 tipi di manufatti (tra i quali quelli del tessile-abbigliamento) prodotti nelle 18 zone industriali possano essere esportate verso la Ue senza tasse a patto che queste zone impieghino una percentuale minima di siriani (15% i primi due anni che sale al 25% dal terzo). Gli operai sono pagati all’incirca 140 euro al mese. subendo la concorrenza dei lavoratori asiatici. E qualche fabbrica gode di una cattiva reputazione per la violazione dei diritti dell’uomo.
La Giordania si è impegnata al massimo per sviluppare le cosidette zone industriali qualificate (Qiz) dopo l’accordo di pace con Israele siglato nel 1994. I beni prodotti nelle Qiz per l’8% devono essere composti da materiali provenienti da Israele per poter beneficiare di un accesso al mercato americano senza diritti di dogana, nè quote. Inoltre, il regno ha siglato un accordo di libero scambio con Washington all’inizio degli anni 2000. L’effetto è stato che numerose imprese si sono installate in queste Qiz e le esportazioni verso gli Usa sono passate dai 2 milioni di dollari l’anno (1,7 mln di euro) nel 1994 a quasi 1,6 miliardi (1,3 miliardi di euro) nel 2016.