ItaliaOggi, 8 novembre 2017
Giancarlo Cancelleri accusa il famigerato petrolchimico di Gela d’essere fonte d’inquinamento, ignorando che è chiuso da due anni
Ancora si capiscono le pretese di «superiorità antropologica» avanzate dai lettori di Repubblica. Che parlano difficile, votano partiti e coalizioni chic, ostentano buoni sentimenti, guardano il volgo dall’alto in basso. Ma che in fondo sono stati «disegnati così», come Jessica Rabbit nel vecchio film.
Ma che a tirarsela da primi della classe e beniamini del Dio Biondo siano adesso anche i mezzi analfabeti (con le loro fantasie storiche e geografiche, i loro svarioni politici, le loro belinate mediche e scientifiche, la loro demagogia da quattro soldi, la loro Piattaforma Rousseau del menga) è più di quanto un paese (anche un paese incivile) possa onestamente accettare.
Che personaggi così evidentemente impresentabili, un giorno glabri, un giorno barbuti, sempre pomposi, ciascuno la brutta copia di Marco Travaglio o (peggio) di Peter Gomez, diano la caccia agl’«impresentabili» e parlino di «risultato contaminato» e «infangato» delle elezioni sicule è roba da monologo di Zelig. Ciò in un mondo normale, beninteso (nell’Italia Felix della prima repubblica, per dire, e persino un po’ nell’Italia tutta manette e bunga bunga della seconda repubblica, oggi rimpianta quasi quanto la prima).
Qui dove siamo, invece, oltre lo specchio d’Alice, i candidati impresentabili si dividono in due: quelli sui quali ricadono le colpe dei padri, come il giovanissimo Luigi Genovese, stravotato a Messina, e quelli a cui sono invece dedicati editoriali pensosi e compiacenti e vengono concesse interviste senza contraddittorio nei talk show persino quando sconvolgono la scaletta delle tv di riferimento, prima dando appuntamento a Matteo Renzi e poi dandogli buca (forse temendo un esame di cultura generale da parte del Boyscout, che qualche libro potrebbe averlo letto). Impresentabili, a regola di briscola, non sono infatti soltanto i politici che hanno il babbo condannato in primo grado per affari sporchi, ma anche quelli che, come Giancarlo Cancelleri, accusano il famigerato petrolchimico di Gela d’essere una perpetua fonte d’«inquinamento ambientale», ignorando che lo stabilimento è chiuso da due anni. A questi speciali «impresentabili», come ai superuomini nietzschiani da curva sud e agli Assassini di Hassan-i-Sabbah, il Vecchio della Montagna, «tutto è permesso» perché «niente è vero», specie i congiuntivi.
Al loro posto, farei tuttavia attenzione alle accuse che lancio, perché se davvero, come pretendono Di Maio e Cancelleri, le colpe dei padri ricadono sui figli, allora si mette male anche per i piccoli Cancelleri e Di Maio, quando e se ce ne saranno. Scagliandosi contro i pargoli degl’impresentabili del primo tipo e chiamandoli a rispondere dei reati di papà, gl’impresentabili del secondo tipo trascurano di calcolare le conseguenze di questo ragionamento da Cappellai Matti: il rischio, cioè, che i loro figli vengano chiamati a rispondere delle somaraggini di mamma e papà circa le meraviglie di Lagos, Nigeria, o a proposito di Cile e Venezuela, e che quei poveri innocenti finiscano dietro la lavagna, con un berretto d’asino in testa, dalla prima elementare all’ultimo anno del liceo. Al loro posto, in realtà, non farei soltanto attenzione alle accuse che lancio. Farei attenzione anche alle ambizioni che nutro. Eviterei, per esempio, di candidarmi (prima glabro, poi barbuto) alla presidenza della Regione Sicilia se non sapessi che il petrolchimico di Gela è chiuso da due anni.
Come capisco, o meglio compatisco, la pretesa di superiorità antropologica dei lettori di Repubblica, capisco e compatisco anche le bugie dei politici. Riconosco che, per un politico, la menzogna è uno strumento di lavoro, come la chiave inglese per un idraulico e il bikini per una miss. Ma gl’impresentabili del secondo tipo, detti anche cinquestelle e mezze pippe, non sono semplicemente bugiardi, come tutti gli altri politici, dai bulli fiorentini ai «ganassa» meneghini. Gl’impresentabili pentastellari sono fakes calzate e vestite. Sono mostri, partoriti dal sonno della politica.