Gazzetta dello Sport, 8 novembre 2017
Faccia a faccia Renzi-Floris

Un Renzi appesantito, ma non privo di smalto, è stato costretto a trasformare, per la rinuncia dell’avversario, il faccia a faccia con Di Maio in un faccia a faccia con Floris, che lo ha bellamente contrastato, interrompendolo forse un po’ troppo e vestendo abbastanza volentieri i panni del democratico che si trova alla sinistra di Renzi e vorrebbe che Renzi capisse che se non si toglie di mezzo non sarà possibile nessuna ricucitura a sinistra. A questo bordeggiare insistente intorno alla questione che sembra al momento capitale («Te ne vai sì o no?»), Renzi ha dato due risposte convergenti. Prima risposta: «Sono pronto al dialogo con tutti e senza veti». Seconda risposta: «Alla guida del Pd non mi ci ha messo lei, caro Floris, né Bersani né D’Alema: mi ci hanno messo due milioni di persone che mi hanno votato alle primarie.
• Abbastanza incontestabile.
Però è vero che qualche passo, se non indietro, almeno di lato il segretario lo dovrà fare. Ci sono due indizi: l’esaltazione delle primarie, fatto così platealmente davanti al pubblico de La7 (sarà interessante confrontare i dati d’ascolto di DiMartedì con il flop di audience registrato da Berlusconi quando è andato da Costanzo), è forse un modo per far sapere che, quando si riuscisse a mettere in piedi un cartello della sinistra, Renzi non sarà contrario a primarie di coalizione. Cioè a confrontarsi per esempio con Grasso o, se fosse, con Nichi Vendola. Poi c’è un lapsus che mi pare le agenzie non abbiano colto. Renzi a un certo punto ha detto «se si voterà a marzo o a maggio». Ora, maggio è proprio la data indicata dai pontieri per mettere insieme una ricucitura e disputare le primarie di coalizione. Fino a ieri Renzi era stato un convinto assertore del voto «il prima possibile». Cioè, a questo punto, marzo.
• Ricostruiamo un momento il faccia a faccia con Floris ordinatamente.
S’è cominciato con Di Maio, già sbeffeggiato da Gene Gnocchi nel pre-dibattito (col lieve epiteto di «coniglio»). Renzi ha ricordato che un tipo cosi - che prima sfida e poi non si fa trovare - potrebbe diventare presidente del Consiglio. E come si comporterà con gli alleati che, per esempio, gli chiedessero 400 uomini per Mosul? Li prometterà e poi andrà a nascondersi per non pagare il dovuto? «Io a Di Maio avrei domandato come mai ha il 30% di presenze alle Camera mentre il suo omologo Roberto Giachetti (sono tutti e due vicepresidenti di Montecitorio
) ha l’86%». Renzi alla fine ha invitato il suo antagonista, che fa sempre discorsi contro la casta, a rinunciare all’immunità parlamentare in modo da poter essere querelabile per le cose che ha detto sulle banche e sul padre di Renzi.
• A dire la verità Grillo o Travaglio, che sulle banche e il padre di Renzi non ci sono andati leggeri, l’immunità parlamentare non ce l’hanno, Renzi potrebbe benissimo querelarli...
Ma i politici non querelano mai nessuno, figuriamoci. E non so neanche se un eletto in Parlamento possa davvero rinunciare all’immunità. La questione lascia il tempo che trova. Piuttosto il segretario ha ammesso senza esitazioni che in Sicilia «s’è perso male» e ha negato di aver lesinato l’appoggio a Micari spiegando però che lui di preferenza nelle elezioni locali non si immischia, anche perché «non crederete mica che nelle elezioni cittadine o regionali si vota su di me o contro di me?». Qui ha fatto un esempio interessante: nelle stesse elezioni europee che gli diedero il 41%, Livorno gli diede il 53. Ma nelle elezioni per il sindaco che si svolgevano nello stesso giorno tolse al Pd una ventina di punti e gli riconobbe appena il 35.
• Floris gli ha chiesto se è ancora un vincente.
Renzi ha risposto: «Glielo dico dopo le elezioni». E aggiungengo che sa bene di dover recuperare parecchi punti percentuali. Poi, ammettendo che le sconfitte di Roma e di Torino «sono molto grosse» ha però voluto ribadire che, se si fanno i conti, nelle ultime tornate amministrative il Pd ha tolto cinque Regioni al centro-destra, mentre il centro-destra ha tolto solo due Regioni al centro-sinistra. «Il Pd è molto più grande di Renzi e
di altri leader. In questi anni abbiamo perso Roma e Torino e
vinto altrove, ma l’elemento nuovo sono gli 986mila posti di
lavoro in più. Di questi il 71% a tempo indeterminato. Io non mi
accontento, vorrei un altro Jobs act, con altri 986mila posti di
lavoro».
• Su D’Alema, che ancora ieri pomeriggio ha detto che non c’è ricucitura «senza una discontinuità nei programmi e nella leadership»?
«La politica non è un grande Risiko che riguarda i rapporti personali tra me e Bersani o tra me e D’Alema. È un anno che sono dipinto come quello che vuole tornare a tutti i costi a Palzzo Chigi». C’è qualcuno che potrebbe andare a Palazzo Chigi al posto suo? «Molti. Ma uno è Gentiloni, no? O chi credete che ce l’abbia messo?»