Il Messaggero, 7 novembre 2017
ROMA A Casapound, nel fortino sorvegliato da telecamere in un bel palazzo razionalista occupato da quasi tre lustri all’Esquilino, dopo il nove per cento pensatissimo di Ostia, hanno le idee chiare: conquisteremo la Regione Lazio, il Parlamento
ROMA A Casapound, nel fortino sorvegliato da telecamere in un bel palazzo razionalista occupato da quasi tre lustri all’Esquilino, dopo il nove per cento pensatissimo di Ostia, hanno le idee chiare: conquisteremo la Regione Lazio, il Parlamento. E la Libia. La Libia? Simone Di Stefano, vicepresidente nazionale e frontman di Casapound: «Per fermare l’immigrazione l’Italia deve intervenire militarmente in Libia». Il suo programma da futuro candidato premier poi è di puro stampo sovranista: fuori dall’Unione europea, fuori dall’Euro. Scusi, ma è vero che il clan Spada a Ostia ha sostenuto Casapound? «Noi non abbiamo alcun contatto con la criminalità e siamo contro la mafia. Abbiamo organizzato iniziative per le famiglie a piazza Gasparri, la festa di carnevale, se veniva qualcuno di questa famiglia, incensurato, non potevamo mandarlo via». Portavate gli elettori delle zone più disagiate del X Municipio ai seggi con i pullman. «E che c’è di male?».
Ecco, esaurita la pratica a metà tra folklore e lati oscuri, forse bisognerà anche interrogarsi sul serio su come mai Casapound sia entrata nei consigli comunali di Lucca, Bolzano e Todi, perché nel X Municipio sia ago della bilancia per il secondo turno e quarto partito (perfino con un pizzico di delusione, erano convinti di superare il Pd).
FASCI E FASCINO
Come mai, al contrario di altre formazioni di estrema destra che si sono sempre fermate a percentuali ininfluenti, Casapound, che pure non è esente da guai giudiziari e violenze, sta crescendo, soprattutto tra i giovani? Di Stefano: «Rispetto alla destra radicale, noi di Casapound siamo affascinanti perché ci rifacciamo al primo fascismo rivoluzionario, quello legato al futurismo, alla parte culturale più bella. Continuiamo a comunicare la bellezza della rivoluzione, da altre parti c’è la tristezza della conservazione». Bum. Al di là delle frasi ad effetto, però è vero che Casapound sa convincere una parte dei giovani, e non per forza solo quelli delle periferie disagiate. Sa essere comunità chiusa: un certo tipo di musica, un certo tipo di letteratura, concerti. E convegni con esponenti di campi opposti, dal giornalista di successo al politico di sinistra. Manca qualche millimetro e Casapound diventa radical chic come un apericena al Pigneto: «È un rischio che corriamo», ammette Di Stefano, passeggiando nelle sale ricoperte di fasci, simbologia del ventennio, ma anche altro perché nel loro pantheon vicino al nome di Mussolini c’è anche quello di Capitan Harlock. A Ostia giurano che non faranno apparentamenti, ma a naso l’elettore di destra di Casapound dovrebbe preferire la candidata di Fratelli d’Italia. «Io ripeto sempre che non sono di destra, guardo al socialismo del primo fascismo», gigioneggia Di Stefano che sa che per prendere sempre più voti deve coltivare il personaggio. Ma a Ostia hanno creato il caso perché hanno vissuto il territorio nei due anni di commissariamento; «abbiamo fatto quello che i partiti non facevano più»; hanno portato i pacchi alimentari a 300 famiglie («italiane»); sono stati un punto di riferimento. E l’altra sera nella sede di Ostia c’erano decine di giovani ad aspettare i risultati. Brutti, sporchi e cattivi (ovviamente non è così, sono ragazzi come tanti), ma comunque c’erano. A proposito Di Stefano, ma visto che vi preparate ad entrare in Parlamento e in consiglio regionale, non sarebbe il caso di smetterla con la liturgia della violenza? «Ci descrivete come violenti solo perché Casapound non si fa allontanare da qualcun altro dalla piazza. Mi riferisco agli antifascisti militanti». Beh, le ronde anti abusivi in spiaggia a Ostia hanno inviato un messaggio di violenza. Cosa avreste fatto se qualche immigrato avesse deciso di restare a vendere la sua merce? «Avremmo tirato avanti, ovviamente, ma quei venditori ci hanno visto determinati e con i fratini e se ne sono andati. Guardi, noi combattiamo il fenomeno dell’immigrazione, non il singolo immigrato. La nostra sede è all’Esquilino, veda un po’ lei. Poi, mi sono anche stancato di parlare solo di immigrazione, quello lo lasciamo fare a Salvini. Il nostro programma è molto più vasto».