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 2017  novembre 07 Martedì calendario

The square, tutte le contraddizioni dell’arte chiuse tra un quadrato e una bimba

The Square è una installazione di un ennesimo artista questa volta argentino, realizzata ovviamente da un operaio che ha dipinto di bianco la cornice di un grande quadrato sui ciottoli della piazza davanti alla galleria d’arte moderna di Stoccolma (che in realtà è il maestoso palazzo reale).
Christian, il direttore, ne spiega ai giornalisti impazienti di buttarsi sul buffet, il profondo significato, come ormai si deve sempre fare per un capolavoro contemporaneo: «Lo spazio detta la regola di vegliare uno sull’altro, entrate e chiedete aiuto e chiunque passi è obbligato ad aiutarvi». Subito nasce un problema: come creare interesse per un’opera d’arte che pur essendo, come necessario, del tutto insensata, vuole lanciare un pensiero positivo, quindi privo di interesse persino in Svezia. Alla riunione dei curatori, compreso un neonato, i due giovanissimi e severi esperti di comunicazione propongono di lanciare la mostra in modo provocatorio, per rendere la notizia virale (e lo diventerà): la generosità e l’altruismo saranno rappresentati da un video con una piccina bionda molto svedese, non tipo immigrata, però travestita da mendicante, che verrà fatta saltare in aria. Il direttore non ha tempo di riflettere sulla proposta giovanilistica e youtubista perché poco prima è stato a sua volta protagonista di una performance da Biennale; nella grande piazza pedonale una ragazza correva gridando “Aiuto!” inseguita da un energumeno poi bloccato da un gentiluomo che aveva coinvolto nel gesto eroico l’indifferente Christian: i tre però scompaiono e lui si ritrova senza portafoglio, senza i gemelli da polso e senza il prezioso cellulare. Da questo momento il suo solo pensiero è ritrovare i suoi averi, a costo, lui così per bene, parte di una casta privilegiata, colta e svedese, di sfidare la legge, di mettersi nei guai.
Il divertente e crudele film dello svedese Ruben Östlund ha vinto la Palma d’Oro al Festival di Cannes 2017 ed è in gara agli European Film Award con cinque nomination, miglior film, regista, attore, sceneggiatura, commedia. Il suo protagonista, Claes Bang, è un uomo di fascino soft e un attore geniale, che sa esprimere benissimo le contraddizioni di un personaggio alla moda che non ha perso del tutto il senso delle responsabilità sociali. C’è anche la star internazionale del momento Elisabeth Moss, più carina del solito, nel ruolo di una giornalista molto impreparata persino a letto.
Prendere in giro l’arte contemporanea sembra facile, anche se inelegante, ma sono in pochi ad averne il coraggio, e infatti ad ogni evento che esponga capanne di assorbenti igienici o scarpe da tennis riempite di piantine verdi, pure in Congo ci sono sempre code di ammiratori compunti e pensierosi. Anche nel film, da una platea estasiata che ascolta l’insensata intervista a un artista pieno di sé, solo una voce si alza, “imbroglione, puttana” ed è naturalmente un pover’uomo affetto dalla sindrome di Tourette.
Ma The Square è molto di più di uno sberleffo a un’arte oggi decisamente in affanno nella creatività ma molto ambita alle aste (per dire, un Basquiat è stato mesi fa venduto a più di 110 milioni di dollari): è l’immagine ironica ma anche desolata del mondo di oggi, delle contraddizioni di un paese civile come la Svezia, ancora democratico ma confuso (immagine che il nostro cinema non sa dare dell’Italia), che sta scivolando oltre la sua tradizione di uguaglianza.
Östlund non rimprovera, non colpevolizza, è lieve nell’illustrare le fratture sociali, come scene da commedia o happening: i senzatetto distesi lungo le strade in mezzo ai sacchi dei loro poveri averi, i palazzoni di ignota periferia dove vivono gli immigrati, gli accattoni che chiedono l’elemosina che nessuno dà, la cattiva coscienza di Christian che si perdona ubbidendo a una mendicante col velo che gli chiede imperiosa un panino col pollo però senza cipolla. Molte scene sono spiazzanti, quasi moleste e contraddicono l’ordine di una società libera: la famiglia è rappresentata da due bambine litigiose, nei giorni in cui toccano a Christian, il padre che non sa cosa farne, il sesso è quanto mai casuale, una fatica, un incomodo di cui si discute il giorno dopo davanti alla solita opera d’arte di sedie ammonticchiate in una sala vuota come tutte le altre del museo. Dialogo tipo Weinstein: lei, “Ti servi del tuo potere per portare a letto le donne”, lui, “Ma tu sei attratta dagli uomini di potere e infatti sei venuta a letto con me”.
Nelle oltre due ore del film non manca il momento di mistero attorno a un piccolo immigrato che risveglia ancora una volta il senso di vergogna di Christian, che gli chiede scusa ma finisce per attribuire il disastro che ha combinato agli altri, il governo, la politica, la società, le banche, come facciamo noi. Ma lui sa che il mondo va così, che il denaro ha le sue priorità, per esempio finanziare l’arte contemporanea. In un salone di massimo sfarzo ai ricchi sostenitori del museo, in smoking e abito da sera, viene annunciata una sorpresa, una performance di massima avanguardia, accolta con sempre meno divertimento, e che degenera nella violenza: e nessuno dei ricchi ospiti, vilmente, corre in aiuto della vittima di un gioco, di un’arte, assurda: la società affluente ha perso l’umanità, il senso di responsabilità verso i meno fortunati, ma anche verso i suoi simili. Altro che The square!