Corriere della Sera, 7 novembre 2017
L’ambulanza fai da te
Nel catalogo delle mirabolanti invenzioni della sanità italiana entra di diritto l’autoambulanza, intesa in senso letterale: l’ambulanza fai da te. L’onore di sperimentarla è toccato a un giovane padre della provincia di Torino, presentatosi sfacciatamente all’ora di pranzo presso il pronto soccorso di Ciriè con una figlia di sei anni che aveva inghiottito qualcosa di indigesto. Dopo una piacevole permanenza di tre ore in sala d’attesa, la radiografia segnala la presenza di un oggetto tondo tra esofago e trachea. Vomito, nausea: la bimba sta sempre peggio e il medico dispone il trasferimento d’urgenza in un ospedale di Torino. Ma affiora un problema non secondario: l’ambulanza. Non c’è. Che il padre si arrangi. Gli rifilano dei guanti di lattice, un camice da mettere sopra i vestiti e voilà, la sua utilitaria si trasforma nella Croce Rossa.
Il pover’uomo si mette al volante, un occhio alla strada e l’altro alla creatura che rantola. Per tre volte si ferma sulla tangenziale per rianimarla. In qualche modo raggiunge l’altro ospedale, dove dalla pancia della figlia estraggono la pila di un orologio, che con il passare – anzi, con lo sprecare – delle ore ha rilasciato dell’acido, rendendo necessario un secondo intervento. Il padre è un operaio di nome Younes, ma è lui il primo a riconoscere che nessuno gli ha fatto pesare l’origine marocchina. Lo hanno trattato con la stessa quieta disumanità che avrebbero riservato a un paziente italiano. E questa, se permettete, si chiama parità.