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 2017  novembre 07 Martedì calendario

Paradise Papers, nella bufera anche il campione di F1 Lewis Hamilton. Ha evaso l’Iva per l’acquisto di un jet privato usando società offshore

Dopo monarchi e politici, la seconda ondata di rivelazioni sui paradisi fiscali ha investito multinazionali e sportivi. I Paradise Papers, ovvero le carte riservate sulle società offshore usate per aggirare il fisco, ieri hanno lambito pure Lewis Hamilton. Il campione mondiale di Formula Uno avrebbe infatti evitato di pagare l’Iva sul suo jet privato attraverso uno schema fiscale imperniato sull’isola di Man, che a quanto pare ha una sua peculiarità: viene usata per non versare questa imposta sugli aerei di lusso. Nulla di illecito, hanno replicato i legali del pilota. Del resto Appleby, lo studio di consulenza specializzato in paradisi fiscali che sta al centro dei Paradise Papers, in nove anni ha creato ben 48 società per svicolare sull’Iva di altrettanti aerei privati. Tra i beneficiari di questo schema anche Trump per un suo jet.
Ma ieri è stato anche il turno delle grandi aziende, a cominciare da Apple. Nel 2014 il colosso di Cupertino si sarebbe rivolto allo studio Appleby (la quasi omonimia è casuale) per gestire due sue sussidiarie in un’isoletta nel canale della Manica. L’Irlanda non era più una sede così favorevole dal punto di vista fiscale per le attività di Apple al di fuori degli Stati Uniti. Così, attraverso uno studio legale, la multinazionale aveva chiesto una consulenza ad Appleby. Alla fine la scelta andò su Jersey, una dipendenza della Corona britannica che ha una aliquota d’imposta sulle società straniere dello zero per cento. Apple ha replicato dicendo di aver sempre seguito le leggi e di non aver ridotto i propri oneri fiscali in alcun Paese. Ma la notizia è destinata a incendiare il dibattito negli Stati Uniti e soprattutto in Europa sulla tassazione dei grandi colossi tech. Tanto più che, secondo i calcoli del New York Times, la casa di Cupertino avrebbe accumulato 128 miliardi di dollari di profitti offshore negli ultimi dieci anni. Non è l’unica multinazionale a essersi interessata ai benefici delle isole. Nike, il colosso delle scarpe sportive, avrebbe adottato un complesso schema societario per spostare flussi di denaro dall’Europa alle Bermuda via Olanda.
I politici finora coinvolti sono 120. Sul fronte statunitense, invece, sono emersi nomi illustri della cerchia trumpiana, come Gary Cohn, il superconsigliere economico della Casa Bianca. Cohn ha avuto un ruolo dirigenziale in 22 entità che operavano alle Bermuda per conto di Goldman Sachs, tra il 2002 e il 2006. Mentre il segretario di Stato Rex Tillerson avrebbe diretto una società offshore delle Bermuda nel 1997 chiamata Marib Upstream Services Company. Il numero uno di Foggy Bottom era inoltre il capo del braccio yemenita di Exxon Mobil che risulta aver avuto legami proprio con Marib. Non sembrano però emergere, in questi due casi, elementi che possano far pensare a pratiche illegali, ma semmai a comportamenti inopportuni. Allo stesso modo il segretario al Commercio Usa, Wilbur Ross, accusato di aver nascosto al Congresso i suoi legami con un’azienda di spedizioni marittime legata a Vladimir Putin, ha replicato che non ci sarebbe stato nulla di improprio.

Ma lo scandalo dei Paradise Papers sta risuonando soprattutto in Europa. Dove a finire sul banco degli imputati è proprio la Gran Bretagna. Una buona parte dei paradisi fiscali citati dalle carte sono territori oltremare della Corona, come le Cayman, Bermuda, British Virgin Islands. La Gran Bretagna sarebbe insomma un attore di primo piano nell’industria dell’evasione globale, accusano da anni le organizzazioni pro-trasparenza. L’ex premier David Cameron aveva promesso invano almeno un registro pubblico per dare un giro di vite sulle anonime società di facciata. Così ieri dall’Europa sono partite le bordate. Il commissario Ue agli Affari economici Pierre Moscovici ha invocato un’azione energica contro l’evasione fiscale, e una lista nera di paradisi offshore. Jeremy Corbyn non ha usato mezzi termini, tuonando contro la regina: ha detto che la sovrana dovrebbe chiedere scusa per aver investito, tramite il suo Ducato di Lancaster, 10 milioni di sterline in fondi alle Cayman e Bermuda, per poi affermare che queste operazioni devono finire sotto la lente di una vasta inchiesta pubblica contro elusione ed evasione fiscale.