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 2017  novembre 07 Martedì calendario

In morte di Pietro Cheli

Ranieri Polese per il Corriere della SeraAveva il dono dell’ironia, Pietro Cheli, e a volte poteva anche riuscire tagliente (celebri resteranno le sue imitazioni di tanti più o meno famosi personaggi del mondo culturale) ma lui, per primo, quell’ironia la rivolgeva a sé stesso. Non a caso aveva intitolato il suo blog «Il criticone» con evidente allusione alla sua stazza decisamente robusta. Proprio su quel blog che curava come vicedirettore di «Amica» aveva preso a cuore i casi dei ringraziamenti degli scrittori stampati sui loro libri, ricavando esempi di un costume cerimonioso e un po’ ruffiano che si pensava estinto da tempo. Critiche e denunce che lui si poteva permettere perché in questi anni è stato difficile trovare qualcuno che amasse i libri e gli scrittori come lui. Fra i suoi amici-scrittori, i più cari erano Paco Ignacio Taibo II e Luis Sepúlveda, che lo aveva scelto come un personaggio di un suo romanzo, Jacaré (Guanda, 1998) descrivendolo così: «Il corpulento ispettore che i colleghi della Squadra omicidi avevano soprannominato il Bambino di Brooklyn». Ora Pietro Cheli ci ha lasciato, e la sua morte troppo precoce, ieri mattina all’alba, ci ha privato di un compagno di strada e di letture unico. Su Facebook, l’autore cileno ne ha ricordato la cultura de gigante spiegando che «ovviamente mi piaceva abbracciarlo ogni volta che ci vedevamo». 
Nato a Genova nel 1965, era arrivato a Milano a metà degli anni Ottanta. I suoi primi passi nel giornalismo li fa con Montanelli, al «Giornale» prima, poi alla «Voce» la cui troppo breve avventura lascerà in lui insegnamenti e nostalgie. Passa allora a «Glamour», poi viene chiamato da Enrico Deaglio a «Diario» dove, trattando le cose della cultura senza soggezione, con intelligenza e soprattutto curiosità, costruisce una sezione che subito si distingue per originalità, per la varietà dei temi affrontati e per la scoperta di collaboratori destinati a grandi risultati. A «Gioia» e ad «Amica», dove arriva dopo la chiusura di «Diario», porta un patrimonio di esperienze che gli permette di affrontare moda & immagine, il mondo dei cosiddetti «femminili», con un personale, creativo punto di vista. Viene chiamato a far parte della giuria del Premio Bagutta, dove lascia il ricordo di un lettore appassionato, sempre in cerca dei veri talenti.
Negli anni 2000 escono due suoi libri. Il primo, Carte da decifrare (Einaudi 2001), è una lunga conversazione con Ivano Fossati sulla musica, la scrittura, la vita, il mondo. Due genovesi che condividono radici, malinconie, senso dell’esistenza. (Anni dopo, con la moglie Alba Solaro, giornalista musicale, andrà in trasferta a Sanremo, e da quell’esperienza nascerà un bellissimo reportage sul Festival per «Diario»). Più tardi, con il genetista Guido Barbujani, pubblica da Laterza Sono razzista, ma sto cercando di smettere, nato da una conferenza-incontro tenuto al Festival della mente di Sarzana e voluto dall’allora direttrice Giulia Cogoli: libro prezioso anche a distanza di dieci anni che ci insegna il valore dell’intelligenza. Perché, dicono gli autori, un duro antirazzismo rischia di contrapporre all’intolleranza un’altra intolleranza. Importante, scrivono, è la volontà di capire, l’impegno di conoscenza che ci fa vedere come oggi viviamo in un mondo di diversi, e che solo grazie all’uso della ragione possiamo liberarci, poco a poco, da stereotipi e pregiudizi. Con questo appello alla necessità di capire, a vivere con ironia e tolleranza in un mondo che questi valori non sembra più apprezzare, lo ricordiamo. Grazie, amico fragile, per la tua lezione e la tua amicizia.