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 2017  novembre 07 Martedì calendario

Un anno fa, Donadl Trump. La notte più pazza del mondo

Caro Aldo, 
un anno fa in questi stessi giorni veniva eletto Donald Trump; e ancora non ci pare vero. Perché?
Franco Costantini

Caro Franco, 
Anche a lui non pareva vero. Trump per primo non si aspettava di vincere. Ma vinse; e il mondo non fu più lo stesso. Arrivò all’Hilton, sede del Victory Party, alle tre del mattino, in Suv, con tutta la famiglia, agghindata come per una sfilata di moda. Boccoli vaporosi, vestiti luccicanti, tubini sopra il ginocchio. La moglie Melania in peplo bianco a scoprire la spalla destra. I figli: Ivanka, applauditissima; Tiffany, che si chiama come la gioielleria sotto casa; Eric, cui ha passato gli occhi azzurri; Don, che porta il suo nome. E Barron, dieci anni, intimidito, in giacca nera camicia bianca e cravatta azzurra da prima comunione, si assopì. I camionisti delle consegne notturne suonarono il clacson in segno di vittoria, il nuovo presidente rispose alzando il pollice. Al suo passaggio padre Michael, pope greco ortodosso di Columbus, Ohio, con croce al petto tempestata di pietre preziose, si lasciò cadere in ginocchio: «Donald, sei un dono di Dio!». Marisela, la hostess messicana che era in piedi da 14 ore a filtrare gli invitati, svenne in avanti: pensava di aver votato la prima donna alla Casa Bianca; si ritrovava in un’America che non riconosceva. Lui rise: «I sondaggisti non parlavano davvero con la gente. Facevano il numero, in Pennsylvania in Michigan in Wisconsin, aspettavano la risposta, e appena sentivano “Hallo!” buttavano giù». Fuori dal Victory Party c’erano i Neri per Trump, gli Ispanici per Trump, gli Asiatici per Trump. Dentro erano quasi tutti bianchi. L’America antica e nuovissima di Trump levava la testa; ma per l’altra metà del Paese fu uno choc senza precedenti. Nel primo discorso disse almeno dieci volte la parola «dream». Ma all’Hilton il sogno americano francamente non c’era. Bastava scorrere l’elenco degli invitati, sia al banco dei vip sia a quello dei sostenitori: quasi tutti indirizzi di Manhattan, molti di Park Avenue e dell’Upper East Side. Era un’America abituata a comandare, animata dallo spirito di rivincita più che di conquista. Ma era un’America che tornava egemone dopo il tempo di Obama: il vero grande sconfitto di quella notte. Otto anni prima il mondo si stupiva per un nero dal nome arabo e dal cognome africano che andava a Washington da presidente; stavolta toccava all’uomo d’affari che gestiva casinò e conduceva un talent show. Ed era la stessa America ad averli eletti: il Paese dove tutto è davvero possibile.