Corriere della Sera, 7 novembre 2017
«Bin Salman come Re Sole, accentra il potere, sfida l’Iran» spiega l’orientalista Gilles Kepel
«Siamo giunti allo scontro frontale tra Arabia Saudita e Iran. Ma il sistema di governo a Riad è troppo diviso, non organizzato per sostenere il confronto con quello centralizzato di Teheran. Da qui la mossa del principe ereditario Mohammed bin Salman, che eliminando ogni possibile concorrente tra i principi, i ministri e gli ex ministri sauditi si prende il potere assoluto». Così il politologo francese Gilles Kepel, che da anni segue da vicino le vicende della penisola arabica, spiega la rivoluzione accaduta a Riad e le evoluzioni del serrato braccio di ferro tra Arabia Saudita e Iran, rispettivamente Paesi guida dell’universo sunnita e sciita.
Come spiega la mossa di bin Salman?
«Mi ricorda quella intrapresa in modo repentino da Luigi XIV quasi quattro secoli fa. Il re francese aveva la necessità di rinsaldare il proprio controllo sullo Stato, così eliminò rapidamente e fece arrestare la fronda dei grandi signori di corte. Tra le sue vittime ci fu persino un potentissimo come il Sovraintendente delle Finanze, quel Nicolas Fouquet che era anche il più grande capitalista di Francia. Una figura che oggi mi ricorda il principe Alweed bin Talal, uno degli uomini più ricchi del mondo e bin Salman ha voluto far rinchiudere».
Le conseguenze?
«La nuova centralizzazione del potere a Riad. Sino ad ora il sovrano aveva dovuto continuamente mediare per comandare. Ogni principe aveva per sé un piccolo pezzo di governo, tanto che le decisioni importanti erano ogni volta pagate a suon di regalie. Il sovrano non era altro che un primus inter pares. Adesso le cose cambiano, si combatte per l’egemonia regionale, dove a Teheran sono in grado di fare scelte rapide, agili. A Riad guardano a figure guida come quella del generale iraniano Qassem Soleimani, l’uomo che tra l’altro dirige le brigate sciite in Iraq. Per i sauditi è stato traumatico osservare come un paio di settimane fa Soleimani, dopo essersi recato a Sulimaniya per i funerali del leader curdo Jalal Talabani, abbia convocato in modo perentorio i dirigenti curdi iracheni per dire loro che entro la mattina dopo dovevano assolutamente ritirare le proprie truppe dalla zona petrolifera di Kirkuk. Ordine che è stato rispettato puntualmente. Morale: la potenza iraniana oggi va dall’Iraq al Libano passando dalla Siria. I sauditi devono per forza rinnovarsi, devono vogliono creare una sorta di unione sacra al loro interno».
L’amministrazione Trump sostiene bin Salman?
«È molto difficile rispondere, per il fatto che l’amministrazione Trump è nel caos, non ha linee politiche precise e condivise tra i suoi massimi artefici. Ciò che afferma il Presidente può venire smentito poco dopo dal suo Segretario di Stato e viceversa».
I sauditi hanno spinto il premier sunnita libanese Saad Hariri alle dimissioni?
«Va letto nel contesto della nuova reattività saudita. Riad non accetta più che Hariri, oggi debolissimo nei confronti dell’Hezbollah (il gruppo sciita libanese legato a Teheran, ndr ), giochi la parte di comparsa passiva che legittima l’egemonia iraniana sul Paese. Spingendo Hariri alle dimissioni, Riad rivendica un proprio ruolo».
C’è il rischio di una nuova guerra civile libanese?
«Non credo. Gli sciiti sono troppo forti. Neppure Riad vuole precipitare nello scontro armato».
E il missile sparato dalle zone sciite dello Yemen verso l’aeroporto di Riad sabato sera?
«Non a caso è stato sparato pochi minuti dopo l’annuncio di Hariri: una minacciosa risposta del fronte sciita».