Avvenire, 7 novembre 2017
Riad, continua la «Notte dei lunghi coltelli»
Molti l’hanno definita la “Notte dei lunghi coltelli” di Riad: la notte che ha tenuto svegli tutti i sauditi tra sabato e domenica. Una notte che sembra destinata a non finire. Come in altre occasioni, tutto è cominciato quando la televisione di Stato ha interrotto i suoi programmi e lo speaker ha dato lettura alla versione integrale dell’ultimo decreto reale. Si dava il benservito (stavolta senza la mendace aggiunta «dietro loro richiesta») al ministro della Guardia nazionale, il principe Muteb bin Abdallah, al comandante della marina militare Abdullah al-Sultan e al ministro dell’Economia e della Pianificazione Adel Faqih, tutti immediatamente sostituiti con figure di secondo piano.
Dopo la destituzione, nel giugno scorso, di Mohammed bin Nayef da principe ereditario, si tratta del secondo atto dell’operazione di “eliminazione” degli ultimi “dignitari” contrari alla rapida ascesa del principe ereditario MbS (Mohammed bin Salman), visto che il principe Mutib era considerato un potenziale ostacolo essendo a capo di un importante esercito parallelo. Ma non è ancora finita. Nello stesso decreto, re Salman ha nominato anche una commissione anti- corruzione affidandone la guida al figlio, appunto Mbs, con ampi poteri tra cui la possibilità di spiccare mandati di arresto e congelare beni. Battendo i record burocratici di mezzo mondo, pochi minuti dopo circolavano già i nomi (all’inizio solo le iniziali) dei primi arresti ordinati dalla neocostituita commissione. Un vero terremoto: 11 emiri della Casa reale saudita, tra cui lo stesso Mutib e un altro figlio di re Abdullah già governatore di Riad, 4 ministri attuali e 34 tra ex ministri, alti funzionari e potenti uomini d’affari. Nella retata sono finiti il multimiliario principe Alwaleed bin Talal, uno tra gli uomini più influenti al mondo con quote azionarie ovunque, i padroni di tre importanti network televisivi, tra cui Al-Walid Ibrahim della Mbc, il segretario della Corte reale sotto re Abdullah, Khalid al-Tuwaijri, l’ex presidente della Saudi Airlines e persino il direttore generale del gruppo Benladen, Bakr. I reati contestati ai singoli non sono stati resi noti nei dettagli, ma l’ordinanza reale parlava di abuso di potere, sottrazione di fondi pubblici e riciclaggio. Gli arrestati sono ora detenuti in hotel 5 stel- le della capitale Riad, anche se il procuratore generale saudita ha tenuto a precisare che non riceveranno alcun trattamento speciale dovuto al loro rango. Al Ritz-Carlton, dove alcuni magnati sono rinchiusi, sono state state tagliate le linee telefoniche, mentre l’albergo segna il «tutto esaurito» fino al 1° dicembre. Segno, forse, che le inchieste andranno avanti per alcune settimane. Il Consiglio dei grandi ulema, che rappresenta la suprema istituzione religiosa, si è affrettato – come era atteso – a definire la retata «una riforma storica», affermando che «la lotta alla corruzione non è meno importante della lotta al terrorismo». Ma più che un’operazione anti-corruzione, la mossa «rivoluzionaria» di MbS assomiglia più a una purga in perfetto stile sovietico. L’obiettivo del 32enne erede al trono è evidentemente quello di completare la concentrazione nelle sue mani dei nodi chiave di economia, politica e difesa facendo fuori veri e presunti nemici. Ogni misterioso incidente dà così luogo a sospetti su presunte manovre di palazzo. Domenica, un elicottero che trasportava otto alti funzionari sauditi, incluso il principe Mansur bin Moqren, figlio dell’ex erede al trono fino al 2016 Muqrin bin Abdul-Aziz, è precipitato vicino al confine con lo Yemen causando la morte di tutte le persone a bordo. La retata contro alcuni emiri Saud ha soprattutto messo fine alla tradizionale politica di “concertazione” con cui venivano gestiti i dissensi interni alla famiglia reale. Una dimostrazione di forza e uno strappo alle regole le cui implicazioni sono tutte da verificare.