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 2017  novembre 06 Lunedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - LE ELEZIONI SICILIANEREPUBBLICA.ITDopo il testa a testa negli Exit Poll di ieri sera e nelle prime proiezioni, il vantaggio di Nello Musumeci su Giancarlo Cancelleri si va consolidando e adesso diventa sempre più solido nei risultati reali dello spoglio

APPUNTI PER GAZZETTA - LE ELEZIONI SICILIANE

REPUBBLICA.IT
Dopo il testa a testa negli Exit Poll di ieri sera e nelle prime proiezioni, il vantaggio di Nello Musumeci su Giancarlo Cancelleri si va consolidando e adesso diventa sempre più solido nei risultati reali dello spoglio. Arrivati al giro di boa della metà dei seggi scrutinati scatta la festa tra i componenti dello staff di Nello Musumeci dove si ritiene di "essere passati da un moderato ottimismo all’euforia della vittoria". E da Caltanissetta i 5 Stelle ammettono la sconfitta. Musumeci andrà nel suo quartier generale intorno alle 19, fino ad ora ha seguito lo spoglio in tv da casa sua.
• LO SCRUTINIO DEI VOTI REALI
In Sicilia è stato completato lo spoglio in oltre il 50% delle sezioni, 2735 su 5300: il candidato del centrodestra Nello Musumeci consolida il suo vantaggio con il 39,2%; il candidato del M5s Giancarlo Cancelleri è al 35; quello del centrosinistra, il rettore di Palermo Fabrizio Micari, al 18,8%; il candidato della sinistra Claudio Fava al 6,2%. L’indipendentista Roberto La Rosa lo 0,8%.

• CANCELLERI: "VITTORIA CONTAMINATA, NON CHIAMERO’ MUSUMECI
"Non chiamerò il vincitore perché altrimenti avrei dovuto chiamare tutti quelli che hanno vinto" nelle liste che lo hanno sostenuto. Questa è una vittoria contaminata dagli impresentabili e dalla complicità dei media nazionali. Ed è contaminata da Nello Musumeci che ha candidato gli impresentabili". Lo afferma Giancarlo Cancelleri parlando dal Comitato elettorale M5S.

LEGGI - M5S ammette sconfitta: “Hanno vinto gli impresentabili, temiamo brogli"

• LE PROIEZIONI RAI E LA7
L’ultima proiezione Piepoli e Noto per la Rai - su una copertura del 48% - vede il candidato del centrodestra Nello Musumeci in testa con il 38% delle preferenze, mentre la coalizione che lo sostiene è al 37,4%.  Seguono l’esponente del M5S Giancarlo Cancelleri al 36% (28,2) . Fabrizio Micari è al 18%, mentre la coalizione che lo sostiene è al 26,6%. Claudio Fava è al 7% e la sua lista, i Cento Passi per la Sicilia, al 6,9%.  Le liste  Secondo la proiezione sulle liste basata su un campione del 49%, il Movimento 5 Stelle è al 28,2%. Per Forza Italia 13,1% FI-Noi con Salvini 7,0 %, Udc 7,0. Quanto alla lista che sostiene Fabrizio Micari il Pd  sarebbe a 10,9%.  La lista che sostiene Claudio Fava, I cento Passi per la Sicilia, è al 6,9%.  L’ultima proiezione Emg per La7, con una copertura campione del 91%, assegna il 39% dei voti a Musumeci, il 35,7% a Cancelleri, il 18,5% a Micari, il 6,2% a Fava e lo 0,6% a La Rosa.
• RITARDI IN SPOGLIO CATANIA, 100 PRESIDENTI DI SEGGIO RINUNCIANO
Situazione caotica nei servizi elettorali del Comune di Catania dopo la rinuncia di un terzo dei presidenti avvenuta sabato. Un centinaio di presidenti di seggio su un totale di 330 hanno dato forfait e i vertici comunali hanno dovuto sostituire d’ufficio, così come prevede la legge, i presidenti di seggio. E così a dirigere i lavori elettorali sono stati chiamate anche persone che non hanno grande esperienza tanto da far procedere a rilento le operazioni nelle sezioni di Catania. Elezioni Sicilia, Faraone (Pd): "Divisi si perde: candidatura Fava ci ha solo danneggiati" Condividi  
LEGGI - Il sindaco Orlando: "Crocetta calamità", il governatore: "Sua scelta demenziale"

• AFFLUENZA IN CALO
I seggi sono stati guardati a vista per tutta la notte dopo la chiusura delle urne alle 22 di ieri. Polizia, Carabinieri e finanzieri hanno controllato le urne contenenti le schede elettorali degli oltre due milioni su 4,5 milioni di siciliani andati ieri al voto. Perchè il primo dato certo di questa consultazione è quello del’affluenza, ancora in lieve calo rispetto alle precedenti regionali e con riesce a raggiungere la metà del corpo elettorale. Il dato si è infatti fermato al 46,76 per cento (2.179.474 elettori su 4.661.111), in leggero calo rispetto a cinque anni fa, quando fu del 47,41. A Messina l’affluenza più alta con il 51,69%. Poi Catania con il 51,58%, Siracusa 47,55%, Ragusa 47,48%, Palermo 46,4%, Agrigento 39,6%, Caltanissetta 39,83%. In coda Enna con il 37,68%. Regionali Sicilia, l’attesa degli attivisti 5stelle: "Ci crediamo, peccato per l’affluenza" Condividi   • GLI EXIT POLL
Secondo gli exit poll (Istituto Piepoli-Noto per la Rai), che hanno coinvolto 4.442 persone, il candidato del centrodestra Nello Musumeci è avanti con il 36-40 per cento, seguito dal candidato governatore dei 5 stelle Giancarlo Cancelleri che si attesterebbe al 33-37 per cento. Solo terzo Fabrizio Micari, sostenuto dal centrosinistra a guida Pd, che arriverebbe al 16-20 per cento. Il candidato della sinistra, Claudio Fava, sarebbe al 6-10 per cento. Secondo gli exit poll de La 7 invece Musumeci è in vantaggio con il 36-40%, Cancelleri è al 34-38%, Micari tra il 16 ed il 20% e La Rosa allo 0,2%.  Dati sostanzialmente confermati anche dagli exit poll Emg per La7.

Ma questi numeri virtuali danno già due "quasi certezze": se Musumeci dovesse essere eletto difficilmente conquisterà la maggioranza all’Ars e malgrado la possibilità che alla fine Cancelleri venga sconfitto il Movimento 5 Stelle risulta il primo partito in Sicilia con oltre il 30 per cento dei voti. E all’Ars dopo molto tempo tornerebbero a sedere gli esponenti dei partiti alla sinistra del Pd.

• LE POLEMICHE NEI PARTITI
E gli exit poll sono bastati per far scattare la resa dei conti nei vari partiti e fra alleati e avversari in vista delle elezioni nazionali. Il più netto Matteo Salvini, leader della Lega che vuole madare a casa Gentiloni:  "La cosa certa -  scriveva ieri sera - è che il governo è stato sfiduciato dall’80% dei siciliani, scioglimento del Parlamento ed elezioni subito". Renato Schifani liquida l’ex alleato Angelino Alfano: "Se Alfano non dovesse superare la soglia di sbarramento del 5% entrerà in un momento di crisi esistenziale". Giorgia Meloni rimescola le carte del neonato "patto dell’arancino" con Forza Italia e Lega: "Aspettiamo i dati reali, ma già ora possiamo dire che questa è una notte felice. Perchè per primi come Fratelli d’Italia abbiamo creduto nella candidatura di Nello Musumeci, un uomo specchiato e capace, uno straordinario siciliano. Alcuni avevano dei dubbi ma siamo felici che questa volta i nostri amici di viaggio ci abbiamo ascoltato. Perchè abbiamo ridato al centrodestra un progetto serio di governo e una possibilità di vittoria. Una speranza per i siciliani che vogliono ricostruire e non distruggere. E sarebbe una vittoria della destra credibile, competente e onesta, che non scende a compromessi. Verrebbe così smentita, ancora una volta, la favola secondo la quale si vince solo al centro, con proposte e identità annacquate. E non si potrebbe che partire dal modello Sicilia, anche per il governo della Nazione".

• PD: FARAONE ATTACCA GRASSO
Ma la resa dei conti che si incrocia fra Roma e Palermo è nel Pd. Il delfino di Renzi in Sicilia, Davide Faraone attacca Crocetta ma soprattutto il presidente del Senato Piero Grasso:  "Siamo stati due mesi ad aspettare una risposta di Grasso - ha detto ieri sera - che poi è stata negativa, la sinistra nel frattempo è andata per i fatti suoi. E una sconfitta abbastanza annunciata". Su Crocetta continua:  "Micari ha giocato benissimo la sua partita. Il governo di Crocetta non era il meglio che si potesse presentare agli elettori e partivamo quindi da una condizione di amministrazione deficitaria e complessa. Se avessimo governato bene in Sicilia, del resto, avremmo ripresentato lo stesso presidente. Una situazione resa complessa anche dal fatto che la coalizione è stata diversa da quella che pensavamo"

CORRIERE DELLA SERA

Nello Musumeci si configura sempre più come il vincitore della corsa per Palazzo d’Orleans. Il candidato del centrodestra, che già negli exit poll di domenica sera era stato indicato come presidente in pectore in sostituzione di Rosario Crocetta, con l’80% dei voti scrutinati sta conducendo la gara con il 39,6% dei consensi, a fronte del 34,8% del portacolori del Movimento 5 Stelle, Giancarlo Cancelleri. Lo scarto di circa 4 punti sembra rimanere costante ed è in linea con quanto anticipato dagli exit poll, che già alla chiusura dei seggi avevano confermato il vantaggio dell’ex missino.

Berlusconi: «La vittoria dei moderati»

«La vittoria di Musumeci è la vittoria dei moderati, dei cittadini che credono in un futuro migliore. La Sicilia era di fronte ad un bivio», commenta Silvio Berlusconi in alcuni passaggi di un video messaggio su facebook. «La Sicilia ha scelto come io avevo chiesto la strada del cambiamento, di un cambiamento vero, serio e costruttivo basato sull’onestà, la competenza e esperienza. Ho incontrato nei giorni scorsi molti elettori siciliani, ho trovato rabbia e delusione ma anche voglia di ripartire», aggiunge Berlusconi. L’ex premier commentando i dati del voto siciliano sottolinea «il grande risultato di FI che ha reso possibile la vittoria del centrodestra unito». «Abbiamo impedito che la Sicilia cadesse in mano ai Cinque stelle, a gente che non ha mai lavorato», spiega il Cavaliere.

Di Maio: «L’onda che ci porterà al governo»

«Noi siamo molto soddisfatti, il voto non ci porta alla presidenza, ma da qui parte un’onda che tra 4 mesi ci può portare al 40%. Noi abbiamo un voto libero, consapevole», è il commento di Luigi Di Maio che ha parlato al Comitato elettorale M5S. «Noi dobbiamo comunicare questo voto a chi si è astenuto, molti astenuti credo che si pentiranno fra 2-3 mesi, quando vedranno quelli che hanno speculato finora di nuovo all’opera», sottolinea Di Maio che si dice «convinto» che, dopo le Politiche, il M5S «potrà chiedere l’incarico di governo al Colle».

La speranza di un recupero

In mattinata le prime proiezioni sui dati reali di La7 e Rai, che parlavano di uno scarto compreso tra lo 0,9 e i 2 punti percentuali, avevano fatto sperare i pentastellati in una possibile rimonta. Ma la rimonta non c’è stata e via via che le schede sono state scrutinate, il distacco è rimasto costante. Anche le ultime proiezioni, basate su un campione del 48% e con un margine di errore del 2,3%, fissano in circa due punti la differenza tra i due principali contendenti. In linea teorica non c’è la certezza matematica del successo di Musumeci, ma nessuna delle rilevazioni statistiche sin qui effettuate ha ipotizzato una vittoria di Cancelleri. Lo stesso Nicola Piepoli, titolare dell’istituto che ha curato i sondaggi per la tv pubblica, si è spinto a dire in un’intervista alla radio che «la vittoria di Musumeci è molto probabile».

Il tracollo del centrosinistra

Quello su cui concordano exit poll, proiezioni e dati scrutinati è il tracollo del centrosinistra, che esprimeva la giunta regionale uscente. Il candidato di Pd-Ap (e altre liste civiche), Fabrizio Micari, non riesce a superare il 20%; quello della sinistra, Claudio Fava, resta sotto quota 10. Un risultato deludente, subito riconosciuto dallo stato maggiore del Nazareno, che ha allargato il solco che separa il partito di Renzi dai fuoriusciti di Mdp e che apre ad una resa dei conti interna che si annuncia particolarmente dura. Già a poche decine di minuti dalla chiusura dei seggi, quando gli exit poll davano il loro responso impietoso, dal Pd sono partiti attacchi nei confronti dei transfughi, accusati di aver voluto sostenere Fava solo per danneggiare Renzi, e contro il presidente del Senato, Pietro Grasso, «colpevole» di non aver accettato la candidatura che gli era stata proposta nel tentativo di unire nel voto siciliano le anime del fu Partito Democratico, ormai divise in Parlamento. Lo stesso numero uno di Palazzo Madama, che nei giorni scorsi aveva formalizzato la sua uscita dal gruppo parlamentare dem, ha liquidato le polemiche come «una patetica scusa utile solo ad impedire altre e più approfondite riflessioni».

Le divisioni interne

Ma non c’è solo il fronte con gli «scissionisti» che il Pd lo hanno già lasciato. Renzi e i suoi dovranno fare i conti anche con i malumori interni al Nazareno. Alla direzione del partito, convocata per lunedì prossimo, il leader della minoranza Andrea Orlando tornerà a porre la questione delle alleanze, delle liste e della candidatura a Palazzo Chigi, rilanciando l’ipotesi che il portacolori del centrosinistra non sia necessariamente il segretario, considerato elemento divisivo e non in grado di creare attorno a se’ una coalizione sufficientemente ampia.

Più destra che centro

Il clima di incertezza che si respirava in mattinata ha tenuto un po’ a freno gli entusiasmi nel centrodestra e si è tradotto in una estrema cautela nelle dichiarazioni da parte dei big di partito. Salvini ha esultato già domenica sera, invocando elezioni subito anche per il Parlamento nazionale. Berlusconi ha preferito restare in disparte preoccupato per lo spostamento a destra dell’asse politico della coalizione, rivendicato con orgoglio dalla leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni che ha rivendicato via Facebook la vittoria di un candidato «non annacquato» (peraltro da lei stessa proposto).

M5S primo partito, lista Micari fuori

Chi può in ogni caso esultare è il M5S. Lo stesso Beppe Grillo, già domenica sera, ha parlato di una «vittoria morale». Comunque finisca lo spoglio sui governatori, le proiezioni assegnano ai pentastellati lo scettro di primo partito con più del doppio dei consensi rispetto a Forza Italia e al Pd: al Movimento viene attribuito un 28% , a fronte del 13% degli azzurri e dell’11% dei dem, seguiti a breve distanza da FdI-Salvini che arriva al 9%. Non avendo altre liste d’appoggio, il candidato del M5S, che come detto potrebbe chiudere attorno al 35-36%, ha dunque raccolto consensi non militanti attraverso il voto disgiunto. E’ andata invece malissimo alla lista «Arcobaleno» che fa diretto riferimento a Micari: con il 2% circa dei consensi è molto lontana dal superare il 5% della soglia di sbarramento e quindi non sarà presente nell’Assemblea regionale siciliana.

L’affluenza

Le operazioni di voto si sono concluse domenica alle 22, lo spoglio è iniziato questa mattina alle 8. Un «rinvio» di dieci ore che ha suscitato polemiche negli ultimi giorni. In totale, secondo il dato definitivo, si sono recati alle urne 2.179.474 elettori su 4.661.111, il 46,76% degli aventi diritto, mentre cinque anni fa avevano votato 2.203.165 persone. Solo in tre province su nove la percentuale è più alta rispetto al 2012: a Messina ha votato il 51,69% (51,24%), a Catania il 51,58% (51,09%) e a Palermo il 46,4 (46,28%). Il dato conferma che, per quanto i numeri non si discostino molto dalla precedente tornata, oltre il 53% degli elettori non si è recato alle urne e che sono stati disattesi gli appelli contro l’astensionismo.


I GRILLINI
«Tranquillo Luigi, avete fatto un ottimo lavoro. Comunque vada, siamo noi i vincitori morali». Beppe Grillo nel tardo pomeriggio, dopo i primi exit poll e i dati sulla scarsa affluenza, rassicura così Luigi Di Maio, capo politico del Movimento. E in effetti gli ultimi exit poll della serata, in attesa dello spoglio delle schede che avverrà da questa mattina alle otto, danno il candidato del centrodestra Nello Musumeci in vantaggio, sia pure di poco rispetto al 5 Stelle Giancarlo Cancelleri: 36-40% contro 33-37 (Piepoli per la Rai); 36,5-40,5 contro 33,5-37,5 (La7). Dati tutti da verificare e che danno ancora qualche speranza al Movimento 5 Stelle.

«Risultato straordinario»

Un risultato discreto, parrebbe, anche se non il colpaccio che i 5 Stelle speravano di portare a casa. Grillo è soddisfatto comunque e ragiona così con i suoi al telefono: «Siamo risultati il primo partito in assoluto. E soprattutto abbiamo dato la dimostrazione di poter battere il Pd e di competere con il centrodestra». Di Maio, del resto, rivendica il risultato della lista: «Abbiamo preso quasi il triplo del Pd». Concetto ribadito con altre parole dall’europarlamentare Ignazio Corrao: «Quello di Cancelleri è un risultato straordinario. Ci siamo dimostrati competitivi con una sola lista contro un’accozzaglia e speriamo di liberare la Sicilia da questa pessima amministrazione siciliana. Il Pd è fallito, l’allegra ditta Renzi-Alfano è stata mandata a casa. Noi correvamo da soli contro un’armata Brancaleone e di impresentabili e abbiamo avuto un dato importantissimo».

Al comitato elettorale nessun big

Le voci sugli exit poll si sono rincorse per tutta la giornata, dando un’altalena di risultati. Forse anche per questo, al comitato elettorale non si presenta nessun big. La sede M5S non è a Palermo, ma a Caltanissetta, città di residenza di Cancelleri. E anche questa è un’anomalia tutta 5 Stelle, visto che di norma al governo della regione vanno uomini che gravitano tra Palermo e Catania (con l’eccezione di Rosario Crocetta, di Gela). La sede di via Ferdinando I ospita solo qualche militante locale. Prudenza per i vertici regionali, mentre Di Maio preferisce appartarsi con Cancelleri, in casa di amici. Lontano da quei cronisti che ha costretto a sloggiare dal ristorante, due sere fa, con un «o noi o loro» sintomo del nervosismo del momento. Non c’è Alessandro Di Battista, restato a Roma, non c’è Roberto Fico. E non ci sono neanche Beppe Grillo e Davide Casaleggio, che hanno lasciato l’isola dopo le incursioni dei giorni scorsi. A reggere l’urto, oltre a Di Maio, sono rimasti l’europarlamentare Corrao e Stefano Buffagni, fedelissimo del vicepresidente della Camera.

«In gioco il futuro della Regione»

Di Maio durante la giornata si concentra anche su un altro dossier, insieme alla Comunicazione: l’intervista che lo vedrà sfidare Matteo Renzi domani, su La7, da Giovanni Floris. Intanto Grillo, dal blog, cita una frase di Paolo Borsellino: «La Rivoluzione si fa nelle piazze con il popolo, ma il cambiamento si fa dentro la cabina elettorale con la matita in mano. Quella matita, più forte di qualsiasi arma, più pericolosa di una lupara e più affilata di un coltello». Cancelleri rilancia il tweet e poi si gode il film V per Vendetta — da cui nacque la maschera di Guy Fawkes, usata dai movimenti anarchici e di protesta di tutto il mondo — nella speranza di vendicare la sconfitta del 2012: «Questa volta è una battaglia diversa, quello che è in gioco oggi è il futuro della Regione e serve anche un solo voto». E sarà qualche migliaia di voti, oggi, a fare la differenza.

RENZI DI MELI

«Tutto come previsto, il risultato è quello che ci aspettavamo. Sapevamo che sarebbe finita così»: Matteo Renzi fa un giro di telefonate con i dirigenti del Pd senza negare l’esito inequivocabile del voto. Non lo farà nemmeno oggi, perché non è da lui: «È una sconfitta netta», dice ai collaboratori. Una sconfitta inevitabile, dal momento in cui Pietro Grasso ha deciso di non accettare la candidatura a governatore della Sicilia. Esattamente come voleva Mdp, ragionano al Nazareno. Esattamente come è stato. Perché doveva essere la Sicilia, per D’Alema e Bersani, la trappola in cui far finire Renzi. Però ha funzionato solo a metà, giacché stando agli exit poll Claudio Fava è sotto il dieci per cento. E il Pd, che certo non è ben messo, non si illudeva di prendere di più.

«I numeri sono quelli che sono»

Al Nazareno la vedono così: «Nel 2013 in Sicilia, alle politiche, i Cinquestelle presero il 33,6 per cento, la coalizione Pd-Sel-Tabacci il 21,4, mentre il centrodestra prese il 31,3». Perciò, per dirla come Renzi l’ha detta ai suoi: «Nessuna sorpresa, non credo che per questo voto su cui c’è tanto da ragionare qualcuno nel mio partito vorrà sparare a zero senza riflettere. Il 13 novembre ci sarà la direzione, i numeri sono quelli che sono e per me non c’è problema, però spero che anche i più critici si rendano conto che c’è bisogno di uno sforzo in più da parte dell’intera squadra perché stiamo tutti nello stesso partito». E quello «stesso partito», stando a quello che dicono al Nazareno, dovrebbe innanzitutto controllare che la trappola degli scissionisti, dopo aver fatto cilecca in Sicilia, non scatti invece alle elezioni politiche prossime venture. Elezioni che qualcuno (c’è chi fa i nomi di Mattarella e Gentiloni) non vorrebbe più a marzo, bensì a maggio, come ha scritto il Corriere (ma l’ex premier continua a pensare che chi vuole andare oltre «sbagli»).

Chi mantiene un canale di collegamento con il Pd

Secondo i sondaggi, alle elezioni nazionali il centrodestra avrebbe il 33,3 per cento, i grillini il 28,8 e il centrosinistra il 31,4. Il 6,1 andrebbe alla sinistra radicale. Insomma, lo schema Sicilia non è ripetibile perché lì dal 1991 a oggi il Pds-Pd veleggia intorno al 10-13 per cento e perché in quella regione il contributo di Bersani e D’Alema è quantificabile intorno all’uno per cento circa. La defezione degli scissionisti alle elezioni nazionali farebbe invece la differenza. L’eventuale decisione di D’Alema e Bersani di correre in proprio equivarrebbe alla sconfitta del centrosinistra sul tavolo da gioco delle elezioni nazionali. Sarebbe una responsabilità non da poco. Per questa ragione una parte degli scissionisti e dei fuoriusciti mantiene un canale di collegamento con il Pd. Tre nomi per tutti: Antonio Bassolino, che pure è appena andato via dal partito, l’ex viceministro Bubbico e D’Attorre.

«Serve un nuovo inizio»

È su questi esponenti della «sinistra a sinistra del Pd» che i pontieri di Campo progressista di Pisapia punteranno per cercare di unificare il più possibile il centrosinistra. Il Partito democratico è pronto all’operazione, come ha ribadito ieri il vice segretario Maurizio Martina all’Huffington Post: «Per il centrosinistra serve un nuovo inizio. Il Pd è pronto a confrontarsi senza veti con tutte le forze progressiste, europeiste, moderate, interessate a costruire unità e non divisione. Accanto a noi serve il protagonismo positivo di altre forze e altre energie. Serve un lavoro comune e serve fermare il dibattito sterile sulla leadership».

CAZZULLO SU MUSUMECI

Sul foglio fuori dalla sezione Pd è scritto: «Qui si vota Musumeci». Il presidente virtuale della Sicilia — secondo i sondaggi e gli exit poll, non secondo lo scrutinio vero, incredibilmente rimandato di un giorno — sorride: «Nel 1994 andai al ballottaggio con un centrista. Si eleggeva il presidente della Provincia di Catania. Il candidato comunista disse che votava per me. Vinsi. Mio padre aveva votato monarchia al referendum, Uomo Qualunque alla Costituente, e poi Pci. Oggi molti compagni fanno il voto disgiunto: quelli d’ordine sosterranno me, quelli confusionari il grillino».La confusione è molta sotto il cielo nuvoloso della Sicilia. Più della metà dell’isola si è astenuta. L’altra metà di fatto ha scelto tra Giancarlo Cancelleri e Nello Musumeci, che è nato qui a Militello, nel paese di Baudo. «La prima tessera della Fiamma me la diede il padrino di Pippo». Ma Baudo è democristianissimo. «Sì, però sua madre ebbe un parto difficile, dovette chiamare il dottor Gulinello, medico del paese e segretario missino, nonché zio di Salvatore Carrubba che ora fa l’intellettuale a Milano. Il dottore salvò il neonato e lo fecero patrozzo, padrino come direste voi in continente. L’ideologo della sezione, l’avvocato Nello Gargano che era stato a Salò, mi assegnò un libro di Alfredo Viani, Pagine religiose, e il compito di tornare dopo due settimane con un riassunto scritto. Si studiava, nei partiti».

«Trantino mi trasmise l’arte di parlare in pubblico»

Ma come mai lei Musumeci divenne missino? «Ero nell’Azione cattolica, però trovavo i democristiani troppo arrendevoli. Vidi in tv i carri sovietici a Praga ed ebbi un moto di ribellione. In casa la patria era importante. Papà nel 1936 era in Africa, poi combatté la Seconda guerra mondiale in Aeronautica, dopo lo sbarco in Sicilia obbedì all’ordine di consegnarsi agli inglesi con la morte nel cuore. Guidava i pullman; in fondo lo stesso mestiere del nonno, vetturino, e del bisnonno, cocchiere. Io sono orfano di madre; l’Msi fu famiglia e scuola. I miei maestri furono Vito Cusimano, il capogruppo in Regione, che mi insegnò a leggere un bilancio e a scrivere una delibera; ed Enzo Trantino, che mi trasmise l’arte di parlare in pubblico». Trantino quello col pizzetto bianco? «Lui — risponde Musumeci lisciandosi il suo —. Venivi misurato anche da come sapevi tenere la piazza. I militanti ti davano cinque minuti. Se li conquistavi potevi andare avanti un’ora. Se cominciavi a tirar fuori un biglietto e a leggere, eri finito: “Chissà chi gliel’ha scritto...”. Si accendevano la sigaretta e se ne andavano».

«Se perdo vado in campagna»

Musumeci ora va in campagna, in contrada Nunziata, dove tiene i cani, tutti trovatelli: Lulù, pastore caucasico, e Bimba, un corso; «gli altri sette sono da mia sorella, a Giarre, il paese di Franco Battiato e di Alfio Russo, lo storico direttore del Corriere». A Catania il presidente virtuale abita in via Deodato, al primo piano di un palazzo di edilizia popolare fascista; al pianterreno vive Mario Michele Giarrusso, grillino di sfondamento, che però alleva gatti. Qui in collina il primogenito, Salvo Musumeci, coltiva ulivi, aranci, fichi d’india e uva, nelle tre varietà nero d’Avola, nocera e vetrarola, specie quasi estinta recuperata alla banca genetica della vite. Il figlio più piccolo si chiama Giorgio come Almirante — «l’ho promesso al mio segretario prima che se ne andasse» —; e come il padre, lo zio e il nonno di Almirante fa l’attore. Il secondo si chiamava Giuseppe: «Mi è morto all’improvviso. Si preparava a uscire di casa. Infarto fulminante. Una cosa tremenda. Questo mi aiuta però a relativizzare tutto. Se vinco vado a Palermo a lavorare per la mia isola. Se perdo torno qui in campagna a coltivare la mia vigna».

Berlusconi voleva Armao? «Invece sono qua»

È anche un voto nazionale, come sempre in Sicilia. Musumeci ne parla mentre va ora a salutare gli amici a Castel di Iudica, borgo a 500 metri sul mare, dov’è stato vicesindaco. «Alle regionali del 1971 a Catania l’Msi divenne il primo partito, superando la Dc. Gli antisistema eravamo noi. Ma ci preparavamo per il governo: a Militello eravamo in giunta con i liberali e la lista Stella e Corona. A Catania eleggevamo due senatori, più uno ad Acireale; la Dc nessuno. Motto: libertà nell’ordine. Ero molto amico di Antonino La Russa, l’ho commemorato io sul Secolo d’Italia; meno amico di suo figlio Ignazio». Poi venne la Seconda Repubblica. «Alle Europee del 1999 e del 2004 presi più preferenze di Fini. Mi disse solo: “Non ho gradito”. Dovetti andarmene con Storace. Hanno scritto che con Berlusconi ci siamo presentati l’altro giorno. Ma quando mai? Nel 2005 venne a un mio comizio per Scapagnini sindaco di Catania e chiese: “Dove l’avete tenuto nascosto questo qui?”. Da allora siamo amici. Mi ha voluto sottosegretario al Lavoro nel suo ultimo governo, anche se la Destra non aveva neanche un parlamentare». Però Berlusconi per la Regione voleva Armao. «Invece sono qua. Ad aspettare che passi la nottata. Tra poche ore sapremo se i siciliani vogliono il riscatto o il caos».

Programma simile a quello di M5S

In realtà, il programma di Musumeci e quello di Cancelleri sono abbastanza simili. Le cose da fare, del resto, sono quelle. La Regione è la più grande azienda della Sicilia, ma ha prodotto assistenza, non sviluppo. Entrambi i duellanti di questa notte vogliono rinegoziare gli accordi con il governo sui prodotti petroliferi, e tagliare stipendi, vitalizi, finanziamenti ai gruppi nell’Assemblea regionale. Cancelleri ha passato la sua prima vita a contare serbatoi alla ditta Lo Cascio di Caltanissetta, prima come magazziniere poi come tecnico; e da consigliere regionale si è tagliato lo stipendio di oltre 3 mila euro, infatti guadagna la metà dei colleghi. La sua prima manifestazione fu a fianco di un missino, Michele Giarratano: bruciarono in piazza la bolletta dei rifiuti. Ha sposato una ragazza che lavorava nei call center (ma sua sorella Azzurra Cancelleri oggi è deputata a Roma). Era un ragazzo di sinistra: servizio civile all’Arci, in camera il poster di Che Guevara. Dieci anni fa organizzò il Vaffa-Day a Caltanissetta, poi capeggiò la lista Grilli Nisseni: 62 voti. La sua fortuna fu un’intervista in diretta ad Annozero, la trasmissione di Santoro: Grillo e Casaleggio lo notarono, e ne fecero il candidato per prendere la Sicilia; 18% nel 2017; stavolta il doppio, forse più. «Grillo, Di Maio, Di Battista battono l’isola da quattro mesi, se perdono è un bello smacco» dice Renzi. «Se vinciamo è un bel segno per la nuova coalizione di centrodestra e se mi consente pure per me, che ho convinto Berlusconi e Salvini a puntare su Nello» dice la Meloni. Ma se vince Cancelleri, è l’inizio di un sottosopra che può passare lo Stretto. «Siamo entrambi appesi a un filo» sussurra Musumeci. Con loro la Sicilia intera, e un poco anche l’Italia.

GUERRA NEL PD

«Gli exit poll in Sicilia non valgono niente...». Indifferente alle preghiere dei dem, che gli avevano suggerito di restarsene a casa fino a tardi, alle otto della sera Fabrizio Micari è già al comitato (semivuoto) di via Libertà. E alle dieci, quando si siede al tavolo dei giornalisti per stemperare la tensione, il rettore «intriso di università fino al midollo» ancora cerca motivi di soddisfazione: «Il sorpasso di Claudio Fava? Mi sembra veramente improbabile». Altro che sorpasso, per dirla con Lorenzo Guerini il candidato della sinistra è rimasto «fermo e inchiodato al risultato di cinque anni fa». Fava non ci crede e aspetta i dati veri: «Io tra il 6 e il 10 per cento? Ma no, sono molto più ottimista». La delusione della sinistra non consola il Pd, che balla sulla soglia del 10% come sulla prua del Titanic. «È una sconfitta annunciata, netta e indiscutibile», ammette Guerini, che tanto si era speso per tenere Alfano dentro l’alleanza.

Micari: «Berlusconi come Cetto La Qualunque»

La disfatta siciliana rischia di azzoppare la leadership di Renzi e aprire la sfida per la successione. Eppure Micari il «gentile» dispensa sorrisi e ottimismo, ricorda di aver macinato 22.413 chilometri alla rincorsa dei favoriti e ancora non si arrende: «Sono sereno, orgoglioso di aver recuperato in due mesi un quarto del voto di opinione». Nel centrosinistra già si guarda al dopo, a quella che Pippo Civati legge come «la fine della traiettoria politica di Renzi». Per il Pd è un trauma. Davanti alle telecamere il primo a metterci la faccia è Davide Faraone, regista con Leoluca Orlando della candidatura di Micari: «Fabrizio ha giocato una partita straordinaria, ma è una sconfitta chiara, evidente e lampante». Si apre il processo a Renzi? «No, la Sicilia e Palazzo Chigi sono due film molto diversi». Pochi metri più in là Micari non si stanca di paragonare Berlusconi a Cetto La Qualunque e di giurare che mai e poi mai si è sentito abbandonato da dirigenti del Pd: «Micciché dice che Renzi, candidandomi, mi ha fottuto? Non è così e non è vero che mi ha lasciato solo, ha mandato in Sicilia tutti i ministri del governo». Renzi farà un passo di lato? «È estremamente difficile che lasci a Gentiloni». Lei e il segretario vi siete sentiti? «Ho il cellulare pieno dei suoi sms...». L’ultimo di quand’è? «Ecco, se vuole una notizia le confido che da sabato non mi ha più scritto».

Inseguire il modello Palermo

Il gelo dei dem si respira anche qui, dove all’orecchio i renziani ti dicono che «Micari si è rivelato del tutto inadeguato» e rimproverano a Orlando di aver sbagliato la scelta per inseguire quel «modello Palermo» spazzato via dalla scissione di Mdp. La resa dei conti è iniziata e la strategia dei renziani — scaricare la batosta sulle spalle di D’Alema e Bersani — è destinata a fallire. La minoranza va all’attacco. «Anche se Renzi proverà a fare finta di niente perché ha i numeri in direzione — avvertono nell’area di Andrea Orlando — il problema della premiership si porrà inesorabilmente». Il 14 novembre in direzione un Guardasigilli in continuo contatto con il presidente emerito Giorgio Napolitano vorrà ridiscutere tutto, «dal perimetro della coalizione al nome del candidato premier». Franceschini è più cauto, ai suoi il ministro della Cultura avrebbe confidato che «con Renzi indebolito trattiamo meglio sui posti nelle liste». Emiliano e Orlando guardano a Gentiloni per allargare l’alleanza, ma fuori dal Pd prende quota la candidatura di Pietro Grasso, che Faraone indica tra i responsabili della sconfitta: «Abbiamo aspettato il suo sì per due mesi, finché Micari ha trovato il coraggio che a Grasso è mancato». Per Fava, convinto che questo voto sancisca «la bocciatura del Pdr che si appoggia a destra», il presidente del Senato è l’unica figura in grado di «rimettere in piedi una proposta di governo». E Arturo Scotto respinge le frecciate dei renziani: «Attaccare Grasso e prendersela con Mdp è lo sport preferito dei renziani». La guerra a sinistra è appena cominciata.