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 2017  novembre 06 Lunedì calendario

La crisi del burro francese rilancia il Made in Italy

Il burro, re dei grassi saturi, si sta prendendo la giusta rivincita dopo essere stato messo alla berlina e demonizzato per anni per i presunti legami con le malattie cardiovascolari. Il crollo dell’utilizzo nell’industria alimentare di olio di palma (-20%), a seguito di una scelta sempre più decisa dei consumatori verso prodotti palm oli free, ha infatti spinto in alto il consumo massiccio di burro in Italia e all’estero. Con un evidente aumento del prezzo, che in Italia è raddoppiato nell’ultimo anno (+113%). Tanto che – spiega la Coldiretti – alla Borsa di Milano il burro pastorizzato nazionale ha raggiunto il massimo da almeno 5 anni con un picco alla produzione di 5,04 euro al chilo.
E, ora, questo amore ritrovato con il burro potrebbe avere anche risvolti positivi per i consumatori e per il Made in Italy, che ha nel derivato del latte uno dei prodotti di più alta qualità e tradizione. Per capirlo, meglio fare un passo indietro. Negli ultimi giorni sta rimbalzando la notizia che nei supermercati francesi, come denunciato dal Guardian, il burro stia diventando merce rara a causa di una guerra in atto tra le cooperative del latte e la grande distribuzione. (Semplificando assai, mentre i grossisti hanno aumentato i prezzi, i supermercati hanno continuato a vendere il burro a un costo minore). E anche se per il ministro dell’Agricoltura francese si tratta solo di “un abbassamento della produzione di latte, che presto tornerà a salire”, un effetto concreto c’è stato: nel 2016 per comprare una tonnellata di burro si spendevano 2.500 euro, oggi ne servono 7mila. Così i cugini d’Oltralpe, che sono i massimi consumatori di burro con 8 chilogrammi pro capite all’anno (un italiano ne consuma solo 1,5 chilogrammi), stanno letteralmente saccheggiando tutti i negozi per la paura che il prodotto finisca mettendo a rischio anche i tradizionali croissants e brioche.
E in Italia? Detto che non ci sarà nessuna carestia, la rinnovata passione per il burro potrà invertire la rotta di un prodotto che negli ultimi 10 anni ha visto praticamente dimezzato il numero di stalle presenti, tanto da aver raggiunto il minimo storico di 30mila allevamenti, rispetto ai 60mila attivi nel 2005 a causa del sistema europeo delle quote del latte. “Il prezzo – osserva Carlo Petrini, fondatore di Slow Food – finalmente si sta alzando, dopo anni in cui gli allevatori non riuscivano a guadagnare neanche il necessario a nutrire gli animali. E si badi, parliamo di pochi centesimi, che non incideranno sulle tasche degli italiani, ma che faranno invece un’enorme differenza per gli allevatori”.
Intanto, i consumatori possono già beneficiare, dallo scorso 16 ottobre, dei vantaggi dell’entrata in vigore della legge che obbliga ad indicare in etichetta l’origine per tutti i prodotti lattiero caseari. Un’arma in più che consente di fare scelte consapevoli in un mercato invaso di prodotti stranieri spacciati come italiani calcolando che la filiera del latte conta 120mila posti di lavoro e un fatturato di 28 miliardi di euro