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 2017  novembre 06 Lunedì calendario

I tribunali degli immigrati partono già in affanno

Sono appena partite ma già danno segnali di affanno. Tanto che da quasi tutte le sezioni specializzate per l’immigrazione – istituite dal 17 agosto scorso dal decreto Minniti per razionalizzare e velocizzare l’esame dei ricorsi dei richiedenti asilo – arriva l’indicazione che sarà «molto difficile» rispettare il termine di quattro mesi fissato dal decreto per arrivare alla decisione.
A mettere a rischio il raggiungimento degli obiettivi indicati dal legislatore sono la carenza di risorse (la riforma è a costo zero: i tribunali hanno dovuto creare le sezioni contando sui magistrati e sul personale amministrativo già a disposizione), le difficoltà operative e il flusso dei ricorsi, aumentati negli ultimi anni insieme con gli sbarchi.  
I tempi 
Nel 2016 la durata media del procedimento è stata di 278 giorni (dati Csm). Nel 2017 la situazione è peggiorata. Secondo il ministero della Giustizia la decisione dei Tribunali ha richiesto in media 361 giorni, con punte di oltre 500 giorni a Roma e Potenza. D’altronde, nel 2016, i ricorsi contro i «no» alle domande di asilo delle commissioni territoriali hanno superato quota 46mila; e quest’anno, al 30 agosto, erano già 28.137 
Ad appesantire il lavoro dei giudici c’è poi l’arretrato. Alcuni tribunali, come quello di Milano, hanno scelto di non gravare le sezioni con le pendenze: «Ho deciso di far nascere la sezione pulita – spiega il presidente, Roberto Bichi – per farla funzionare bene e rispettare l’indicazione di dare priorità ai ricorsi in materia di immigrazione». Altri hanno invece assegnato tutto o parte dell’arretrato alla nuova sezione. A Roma, il presidente del tribunale Francesco Monastero ha deciso di farvi confluire i fascicoli di competenza dei magistrati che ne sono entrati a far parte. «Cercheremo di ridurre al massimo i tempi e di centrare l’obiettivo dei 4 mesi, ma prima dobbiamo eliminare l’arretrato», dice Monastero che aggiunge: «Per aiutare il lavoro dei magistrati stiamo costituendo una nostra banca dati sui Paesi d’origine». 
I nodi 
Gli strumenti-chiave messi in campo dalla riforma per accelerare i tempi i sono due: l’eliminazione dell’appello e la possibilità, per i tribunali, di saltare l’udienza e basare la decisione sulla videoregistrazione dell’audizione del migrante in commissione. Meno garanzie, quindi, per ridurre i tempi.  
Ma per ora la videoregistrazione rimane solo sulla carta. «La maggior parte delle commissioni non ha gli impianti di videoregistrazione – dice Domenico De Facendis, presidente del tribunale di Bari – e i tribunali non hanno gli impianti per leggerli. Eliminare l’udienza permetterebbe di accelerare l’iter, ma non succederà». Conferma l’impasse il presidente della sezione del tribunale di Reggio Calabria, Giuseppe Campagna: «Sensibilizzerò i colleghi a evitare l’udienza, ma non so se sarà possibile perché l’assenza delle videoregistrazioni è un problema». Meno netto Arturo Picciotto, presidente della sezione del tribunale di Trieste: «Dall’audizione diretta del migrante i giudici possono trarre elementi essenziali per la decisione; tra l’altro, la visione di un colloquio videoregistrato di qualche ora rischia di non far risparmiare tempo».
I progetti 
Il lavoro delle sezioni specializzate dovrebbe accrescere l’uniformità delle pronunce. Fondamentale è conoscere la situazione dei Paesi di provenienza dei richiedenti asilo: grazie a un protocollo d’intesa fra Csm e ministero dell’Interno, i magistrati possono utilizzare le informazioni sui Paesi elaborate dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo.
Una buona prassi arriva infine dal tribunale di Catania, presieduto da Francesco Mannino, che ha ottenuto la menzione speciale del Consiglio d’Europa per il progetto «Migrantes»: un mix di soluzioni tecnologiche e organizzative per migliorare la collaborazione tra commissioni e tribunale che ha dimezzato i tempi di esame.