la Repubblica, 5 novembre 2017
I trafficanti tornano al business. «In 20mila pronti a imbarcarsi»
Le motovedette libiche corrono avanti e indietro lungo la costa ma il dispositivo di ricerca e soccorso fa acqua da tutte le parti. La flotta delle ong si è dimezzata, le navi militari dell’operazione Sophia pattugliano lontano dal limite delle acque territoriali libiche e, soprattutto, i trafficanti di uomini hanno rimodulato il loro business: non più “lanci multipli” di barchini e gommoni sgonfi dalle spiagge di Sabratha, Zuara e Zawyah, ma partenze diversificate da molti porti su un tratto di costa lungo 350 chilometri, fino a Misurata, Al-Kums, Garabulli, Sirte dove il controllo dei guardiacoste è inesistente e i gommoni, adesso più grandi, con carichi di 100 e più persone, riescono a “bucare” i pattugliamenti con la consapevolezza di dover di nuovo affrontare un viaggio lungo e rischioso verso le coste italiane.
I numeri degli arrivi di questa settimana in Italia (più di 2.500) sommati a quelli della Guardia costiera libica (che ha riportato indietro altre 2.000 persone) confermano le previsioni contenute nell’ultimo rapporto di Frontex che annunciava la ripresa degli sbarchi a causa di «inquietudine sociale, insicurezza e prospettive future incerte». Ma soprattutto i numeri, che per la prima volta da luglio, in questa settimana, hanno fatto registrare un segno positivo sugli sbarchi in Italia rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, rivelano che la tenuta del patto siglato tra il ministro dell’Interno Marco Minniti e il governo di Al Sarraj (che ha portato a un meno 30 per cento il saldo degli arrivi dalla rotta libica)è decisamente a rischio.
La diga costruita da Al Sarraj con l’aiuto delle milizie di Al Dabbashi sta cedendo sotto i colpi dell’offensiva militare su Sabratha di Operations Room collegata al colonnello Haftar ed è sempre più evidente che gli interlocutori con i quali il Viminale aveva stretto il patto sono oggi assai più deboli di qualche mese fa.
Nel caos e nell’instabilità di una Sabratha devastata dalla fame e dalle bombe, come spesso accade in Libia, i “ladri” trasformatisi in “guardie” avrebbero ricominciato a fare i “ladri”. In altre parole, quegli stessi trafficanti che, dopo gli accordi tra Minniti e Al Sarraj, avevano trovato più “conveniente” schierarsi con il governo per fermare il flusso delle partenze, avrebbero cominciato a spostare migliaia di persone ad est di Tripoli, in una zona più sicura e meno controllata, da dove rilanciare il business.
Secondo fonti della nostra intelligence ci sarebbero almeno ventimila persone pronte ad imbarcarsi per affrontare la traversata verso l’Italia tornata ad essere improvvisamente più lunga e dunque più rischiosa e – a quanto sembra – anche più costosa tra tariffe in rialzo e centinaia di rapimenti per strada di migranti costretti a chiedere altri soldi alle famiglie nei paesi d’origine.
Lo confermano le prime testimonianze dei migranti sbarcati in queste ore in Italia, tra i quali tornano a contarsi molte famiglie siriane con bambini al seguito e, per la prima volta, diverse decine di libici, anche loro in fuga dagli scontri, dalla fame e dalle violenze che stanno devastando le loro città.
Stefano Argenziano, coordinatore dei progetti di migrazione di Medici senza frontiere, la vede nera. «C’è da attendersi un autunno di naufragi importanti. Purtroppo è l’inevitabile conseguenza della soluzione destabilizzante trovata dal governo italiano nel tentativo di arginare i flussi. Era evidente sin dall’inizio che non poteva risolvere la situazione, che a breve termine avrebbe prodotto ulteriori rischi per chi intraprende la traversata e aumentato la fragilità di chi è bloccato in Libia. Adesso il tempo è ancora relativamente buono, ma da qui a dicembre c’è da temere il peggio».
L’ultimo report dalla Libia di Unhcr racconta di 18.000 migranti prigionieri scoperti a Sabratha in diversi centri di detenzione e ora registrati nel campo di Dahman dove l’arrivo di venti camion di aiuti umanitari ha alleviato solo minimamente le condizioni di bambini, donne e uomini segnati da mesi di atroci violenze e letteralmente affamati. Per 918 di loro, i più fragili, Unhcr è riuscita ad ottenere la liberazione. Ma altri 6.000 migranti, tra cui moltissimi donne e bambini, sono ancora detenuti nei centri controllati dai trafficanti. E ogni notte, colonne di mezzi scortati da miliziani armati fino ai denti, trasporterebbero le persone in “connection house” nel Nord est del paese, nuova roccaforte delle organizzazioni di trafficanti che starebbero ampliando il loro business organizzando anche le partenze dei libici (oltre 100.000 gli sfollati interni che vivono in condizioni drammatiche nell’area attorno a Bengasi dove Iom e Unhcr hanno intrapreso una nuova missione).
La situazione, nella zona di Sabratha, è fuori controllo dunque ormai da più di un mese. Allora perché la ripresa in grande stile delle partenze in questi ultimi giorni? Che il nuovo allarme possa suonare come un elemento di pressione sul governo italiano alla vigilia di un appuntamento rilevante nel panorama politico italiano come le elezioni siciliane è più di un sospetto. E non è un caso che, nell’indicare i porti di sbarco dei 2.500 migranti approdati in Italia in questi giorni, il Viminale abbia accuratamente escluso quelli dell’Isola.