Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  novembre 05 Domenica calendario

Grosso guaio a Kiev. La democrazia è solo una promessa

Sono tornate ad agitarsi le bandiere a Kiev, e sono ricominciati i sit-in davanti al Parlamento e alla Banca Centrale. Un flusso di anziani sbuca dalla metropolitana e passa attraverso il memoriale della “rivoluzione della dignità”, a piazza Maidan, facendosi il segno della croce. Non si fermano: sono già le nove e devono sbrigarsi a raggiungere i santuari del potere per protestare e tentare di afferrare per i capelli quel che resta dello spirito rivoluzionario filo europeista.
All’interno della Rada (l’assemblea parlamentare) si stanno votando alcune leggi di riforma: ormai dal 17 ottobre sono in discussione quelle relative al sistema previdenziale, alle forze di sicurezza e intelligence, oltre alla legge per l’istituzione di una corte penale anti corruzione, sul sistema elettorale e sulla revoca anticipata dell’immunità parlamentare e presidenziale.
 
La Rada fa quadrato
Le ultime tre sono quelle più attese dall’opinione pubblica e più avversate dal nuovo establishment. Poco lontano, assieme ai ritratti dei 100 morti sotto i colpi dei cecchini nel febbraio del 2014, a piazza Maidan si stagliano le gigantografie di alcuni dei soldati caduti sul fronte del Donbass in questi tre anni di conflitto. Se fossero ancora vivi, forse continuerebbero a combattere per tenere il Donbass entro i confini ucraini e strapparlo ai separatisti filo Mosca. Ma non di certo per la nuova e vecchia classe politica, che stanno agendo di concerto, secondo la gente, ancora una volta, per non perdere i privilegi di casta. Le manifestazioni non sono, per ora, come quelle di Maidan. Ogni mattina ci sono in media non più di duemila persone. “Il presidente Poroshenko non solo ha mantenuto aperte le sue fabbriche in Russia, pagando così le tasse e dando lavoro a chi ci sta facendo la guerra nel Donbass; se ora non farà votare ai suoi parlamentari e agli alleati la legge per togliere l’immunità al presidente e ai deputati, non staremo qui a guardare”, dicono in gruppo alcuni studenti universitari.
 
Nel Donbass si spara ancora
Intanto, dopo l’annessione unilaterale, nel marzo del 2014, della Crimea, da parte di Mosca, i separatisti filo russi tengono accesa a bassa intensità nell’est una operazione di destabilizzazione del paese che ha causato migliaia di morti tra la popolazione e i soldati dell’esercito ucraino. Nonostante gli accordi di Minsk, la destabilizzazione è tuttora in corso con scambi di artiglieria a cadenza settimanale.
È tuttavia un dato di fatto che l’Ucraina post Maidan non sia più la stessa di prima della cacciata di Yanukovich. Ma ciò che è stato finora ottenuto dai rivoluzionari non è sufficiente, soprattutto per la maggior parte della popolazione – 43 milioni di abitanti – sfiancata dalla costante flessione al ribasso della valuta e dall’aumento altrettanto drammatico del costo della vita, incluse spese per l’elettricità, riscaldamento e acqua. Inoltre, secondo alcuni analisti è di fatto già in atto una contro rivoluzione.
 
Contro rivoluzione in atto
Uno dei deputati che lo denuncia da mesi è Mustafa Nayyem, 36 anni, nato in Afghanistan due anni dopo l’invasione sovietica. Era il 1981. Dopo essere stato uno dei più noti e coraggiosi giornalisti investigativi per Kommersant, divenne noto in tutto il mondo per l’intervista televisiva all’allora presidente filo russo Yanukovich durante la quale lo accusò di corruzione. Era il 2012, l’anno precedente la rivolta di Maidan, di cui Nayyem è stato una delle anime con il collega Yegor Sobolev, uno dei deputati del partito Samopomich, che protesta fuori dal Parlamento per sostenere le riforme. “Dobbiamo far sentire la nostra voce anche fuori dal Parlamento. Dobbiamo stare in mezzo a questa gente che ha rischiato la vita a Maidan per la rivoluzione della dignità, anche se io sono un deputato del blocco-Poroshenko”, dice Nayyem mentre entriamo nel suo ufficio. “È chiaro che se queste riforme non otterranno l’approvazione, la contro rivoluzione in atto da parte dell’establishment, sarà conclamata”. Per Nayyem, come per Sobolev e altri ex giornalisti la decisione di candidarsi non è stata certo presa per una questione economica o di gloria.
 
Poroshenko, la moglie e il magnate
“Noi deputati guadagniamo l’equivalente di 700 euro, uno stipendio medio qua in Ucraina. Come editorialista e giornalista guadagnavo tre volte tanto. Per non parlare della gente che ti ferma per strada per protestare, facendo di tutta l’erba un fascio. Ma la capisco, perché i cittadini non sono tenuti a fare distinzioni. Guardano al risultato finale. Questa è una lotta difficile anche perché gli oligarchi si sostengono tra loro. Pensi che la moglie di Poroshenko lavora per i media di Rinat Akhmetov, uno degli industriali più ricchi del mondo e il più potente del Donbass anche sotto il profilo politico”. Fu proprio Rinat Akhmetov a sostenere la candidatura del presidente defenestrato Yanukovich e fu lui a presentargli il suo ultimo consigliere. Quel Paul Manafort che è stato il penultimo responsabile della campagna elettorale di Donald Trump, e che qualche giorno fa si è costituito all’Fbi nell’ambito dell’inchiesta Russiagate. Nayyem, a questo proposito conclude: “Noi ucraini sappiamo qual è il nemico che ci impedisce di entrare a far parte delle democrazie europee, mentre voi europei e anche gli americani finora non l’avete ben focalizzato. Si tratta di Putin che non vuole un’Europa unita e di carattere socialdemocratico e ha voluto un presidente degli Stati Uniti a sua immagine e somiglianza”.