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 2017  novembre 05 Domenica calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - GLI EXIT POLL DELLE ELEZIONI SICILIANEREPUBBLICA.ITIn Sicilia per le elezioni regionali, alle 19, dopo il riepilogo di tutte le sezioni, ha votato il 36,39 per cento degli elettori (1

APPUNTI PER GAZZETTA - GLI EXIT POLL DELLE ELEZIONI SICILIANE

REPUBBLICA.IT
In Sicilia per le elezioni regionali, alle 19, dopo il riepilogo di tutte le sezioni, ha votato il 36,39 per cento degli elettori (1.695.182 su 4.661.111) con un calo pari a 1,27 per cento rispetto alle regionali del 2012 quando aveva votato l’37,66 per cento. I dati sono del servizio elettorale della Regione siciliana.

 Rispetto alla stessa rilevazione di cinque anni fa, l’affluenza è leggermente in calo in tutte le province. La più bassa è a Enna con il 27,23% (30,92%), segue Caltanissetta 29,94% (32,39%). La percentuale di votanti più alta si registra a Messina con il 40,7% (42,16%), seguono Catania con il 39,75% (39,86%), Siracusa con il 38,42% (38,97%) e Ragusa con il 37,6% (37,84%). A Palermo ha votato il 36,34% (37,48%), a Trapani il 35,87% (38,6%), ad Agrigento il 30,19% (32,07%). In totale hanno votato finora 1.696.204 di elettori (1.750.074 nel 2012) su 4.661.111 aventi diritto.

Le urne per l’elezione del presidente della Regione e dell’Assemblea regionale siciliana si sono aperte stamattina alle 8. Al voto 4 milioni 661.123 elettori chiamati a scegliere uno dei cinque candidati governatori. Con un avversario in più da battere: l’astensionismo. Nel 2012 si recarono ai seggi solo 2,2 milioni di siciliani, appena il 47,07%. C’è tempo fino alle 22 di stasera. Lo spoglio inizierà domani alle 8, cosa che ha suscitato non poche polemiche.
  Elezioni Sicilia, i cinque candidati presidenti per Palazzo d’Orleans Navigazione per la galleria fotografica 1 di 9 Immagine Precedente Immagine Successiva Slideshow A Mazzarrà Sant’Andrea (Messina), Comune commissariato per infiltrazioni mafiose, si eleggono anche il sindaco e il Consiglio comunale.

· UNA SCHEDA, PIU’ VOTI. DEBUTTA ARS PIU’ SNELLA
Non è previsto turno di ballottaggio: è eletto presidente chi ottiene più voti. In base alla legge regionale, la scheda è unica e l’elettore dispone di due voti, uno per la scelta della lista regionale, il cui capolista è candidato alla carica di presidente della Regione, l’altro per la lista provinciale. Nell’ambito della lista provinciale prescelta, l’elettore può altresì esprimere la preferenza per uno dei candidati alla carica di deputato regionale compreso nella stessa lista. Possibile, dunque, il voto disgiunto.

· COME SI VOTA · LE LISTE DEI CANDIDATI

E per la prima volta si dovranno scegliere non 90, ma 70 deputati: conseguenza della norma costituzionale del 7 febbraio 2013 di modifica dello Statuto regionale che ha ridotto la composizione di Sala d’Ercole.

SISTEMA ELETTORALE

Ogni elettore avrà a disposizione una scheda unica, di colore giallo, per votare sia il candidato presidente che una lista di partito.

L’elettore può esprimere il voto nei seguenti modi:

fare solo un segno sul nome o sul simbolo di uno dei partiti: in questo caso il voto si trasferisce al candidato presidente collegatofare solo un segno sul nome del candidato presidente: in questo caso il voto non si trasferisce alla lista o alle liste collegatefare un segno sul nome di un candidato presidente e su quella di un partito, non per forza collegati: è consentito quindi il voto disgiunto

Per ulteriore chiarezza: un elettore può votare un candidato presidente e un partito diverso da quelli che lo sostengono.

Inoltre l’elettore può esprimere una preferenza, indicando il cognome (o nome e cognome) del candidato all’Ars preferito nello spazio accanto al simbolo della lista.

Il candidato presidente che otterrà più voti risulterà eletto direttamente. Il secondo candidato più votato sarà eletto automaticamente deputato.

I 70 deputati dell’Ars sono eletti con una legge elettorale proporzionale su base provinciale, con soglia di sbarramento al 5% a livello regionale e con premio di maggioranza (il cosiddetto listino del presidente).
Il territorio è diviso in collegi provinciali, all’interno del quale ogni lista presenta un listino di candidati. La ripartizione dei seggi avviene a livello provinciale.

Il candidato presidente eletto riceve ’in dote’ sette seggi, che vanno ai candidati inclusi nel suo listino, che gli possono servire per raggiungere una maggioranza. Ma la legge elettorale non garantisce che il presidente la ottenga. La soglia è 29 deputati eletti nella parte proporzionale, a cui si aggiungerebbero i 7 del listino per avere i 36 seggi che sono la maggioranza.

In caso contrario il presidente - che risulta eletto comunque e con mandato diretto - dovrà trovare alleanze a sostegno della sua maggioranza.

I CINQUE CANDIDATI

Nello Musumeci, 62 anni, sposato, è un bancario e giornalista pubblicista. E’ un deputato uscente, ex presidente dell’Antimafia e della Provincia di Catania, ex sottosegretario ed eurodeputato. Nel 2012 arrivò secondo, dietro il presidente della Regione Sicilia uscente, Rosario Crocetta. E’ il candidato di centrodestra sostenuto da numerose liste: Forza Italia, Udc, Mpa, Cantiere popolare, Lega Nord, Fratelli d’Italia, Energie per l’Italia, Idea Sicilia. Il suo slogan è: "Diventerà bellissima". Gli uomini chiave della campagna elettorale: Gianfranco Miccichè, Roberto Lagalla, Gaetano Armao. Le sue proposte simbolo: piano Marshall per la riqualificazione dei centri storici,  riorganizzazione della macchina burocratica, recupero strade provinciali

(STAMPA) È la terza volta che Sebastiano detto Nello Musumeci, classe 1955, si candida alla più alta carica di Palazzo d’Orleans. Questa volta, rispetto al 2006 e al 2012, con maggiori chance di essere eletto presidente della Regione Sicilia. È stato definito «fascista perbene», ma lui tra le due definizioni preferisce far cadere la prima perché «la parola fascista è ormai consegnata alla storia».

Il candidato del centrodestra non nega le sue origini. A 15 anni entra nel Msi, poi a 20 viene eletto al consiglio comunale del suo paese, Militello in provincia di Catania. Da missino, con l’elezione diretta, diventa presidente della provincia etnea per due mandati, poi l’approdo in Alleanza Nazionale e al Parlamento di Strasburgo, dove entrava con 116 mila preferenze. Nel 2006 il centrodestra gli preferisce Totò Cuffaro e lui si candida lo stesso alla presidenza delle Regione.
È stato sottosegretario al Lavoro con Berlusconi e - ultimo incarico - presidente della Commissione Antimafia all’Assemblea regionale siciliana. Musumeci si è creato un suo movimento che si chiama “Sarà bellissima”, prendendo a prestito una frase di Borsellino. Mai chiacchierato, inquisito, Nello assicura che questa sarà la sua ultima esperienza politica, sia che vinca sia che perda.



GIANCARLO Cancelleri Geometra, consigliere regionale uscente, 42 anni, separato: è Giancarlo Cancelleri, il candidato presidente degli M5s. Il suo slogan è: "Scegliete il futuro". Gli uomini chiave della sua campagna elettorale, Giampiero Trizzino e Angelo Cambiano. Le sue proposte simbolo: nessun manager siciliano per la Sanità, no ai termovalorizzatori, cancellazione dei vitalizi (ansa)

(STAMPA) Nelle ultime ore Giancarlo Cancelleri si esercita a infondere ottimismo nel M5S: «Tranquilli, se vinco una maggioranza in consiglio regionale la trovo», continua a dire al leader Luigi Di Maio e al capo-stratega Davide Casaleggio. Sì, perché adesso la paura è di vincere ma di non avere i numeri per governare, il che sarebbe un paradosso pericoloso a pochi mesi dal voto nazionale. Ma Cancelleri ha speso gli ultimi anni della sua vita per questa giornata e la corona da governatore è troppo preziosa ai suoi occhi, per farsela scippare da quisquilie di algebra. È già pronto a trattare con alcune liste apparentate altrove per vedersi seduto dove da cinque anni sogna di essere. Da quando nel 2012 perse contro Rosario Crocetta, portando però il M5S in cima come primo partito dell’isola.

Il geometra di Caltanissetta, magazziniere promosso a impiegato, che cantava Bella ciao alle feste dell’Unità, ha cominciato a scrivere la sua epopea politica assieme alla sorella Azzurra, seguendo Sonia Alfano, candidata nel 2007 per gli Amici di Beppe Grillo, il proto-M5S che in Sicilia debuttò con chiari riferimenti politici a sinistra. L’area è la stessa che frequenta Giancarlo, sostenitore di politiche di inclusione dei migranti fino a quando su questi temi il M5S non cambia verso. La sorella viene eletta alla Camera, lui fa il capogruppo in Regione. Il legame con Di Maio lo trasforma in un predestinato. Girano la Sicilia con l’abito buono e i migranti poco a poco tornano a essere indesiderati.

Fabrizio Micari, 54 anni, sposato, docente universitario, ingegnere e Rettore dell’Università di Palermo. E’ un candidato indipendente sostenuto dal centrosinistra. Gli uomini chiave della sua campagna elettorale, Leoluca Orlando, Davide Faraone e Giovanni La Via. il suo slogan: "La sfida gentile". Le sue proposte simbolo: il Ponte sullo Stretto, le Olimpiadi in Sicilia nel 2032, la stabilizzazione dei precari. I partiti che lo appoggiano? Pd, Ap di Angelino Alfano, Centristi, Movimento dei territori, Sicilia futura, Megafono 

STAMPA Il suo nome l’ha tirato fuori dal cappello Leoluca Orlando dopo il no di Piero Grasso. Lui, Fabrizio Micari, 54 anni, rettore dell’Università di Palermo, ha accettato subito entusiasticamente, mettendosi in congedo dall’Ateneo (con non poche polemiche tra studenti e professori, 71 dei quali hanno firmato una lettera aperta per chiederne le dimissioni) e tuffandosi nella nuova avventura politica. Prima di questo passo, una carriera tutta universitaria dopo la laurea in Ingegneria meccanica. D’altronde Micari non è nuovo a scelte che fanno discutere: l’anno scorso, alla vigilia del referendum, invitò Renzi a inaugurare l’anno accademico dell’Università, suscitando non pochi mugugni sull’opportunità della scelta.

E pochi giorni fa, in piena campagna elettorale, si è sposato con la sua nuova compagna in un tripudio di baci e di promesse di amore. La sua candidatura avrebbe dovuto riprodurre il modello “civico” e di larga convergenza che ha portato alla riconferma di Orlando alla guida della città, ma sul suo nome la sinistra si è spaccata: con lui solo il Pd e Alfano (che ha perduto metà del suo partito, transitato nel centrodestra), mentre Mdp e Sinistra italiana hanno trovato il loro candidato in Claudio Fava.

Claudio Fava, 61 anni, deputato nazionale e vicepresidente della Commissione antimafia. La lista che lo sostiene è "Claudio Fava presidente – Cento Passi per la Sicilia", i partiti che lo affiancano Mdp-Articolo 1,Rifondazione comunista, Sinistra Italiana, Possibile e Verdi. Le sue proposte simbolo, la legge per il diritto allo studio, il piano per il riassetto idrogeologico del territorio e la riforma del sistema dei rifiuti. Il suo uomo chiave Ottavio Navarra, lo slogan, "il vero voto utile"

STAMPA Li chiamavano «i carusi di Pippo Fava», i giovani della redazione de «I Siciliani» rimasti «orfani» del loro direttore il 5 gennaio 1984, il giorno in cui la mafia uccise il giornalista e scrittore catanese. Tra loro c’era anche Claudio Fava, figlio di Pippo, che raccolse il testimone insanguinato: da giornalista, da scrittore e da siciliano impegnato nel riscatto sociale della sua terra.
Sessant’anni, dieci trascorsi al Parlamento europeo e gli ultimi cinque in quello italiano come vice presidente della Commissione antimafia. Carattere spigoloso e avaro di sorrisi, Claudio Fava ha deciso di accettare l’offerta dei partiti e dei gruppi di sinistra a fine estate: «Mi candido in Sicilia per vincere», è stato il suo slogan. Probabilmente non vincerà ma la sua candidatura con la lista «Cento passi per la Sicilia», in nome della legalità - al punto da tenere il comizio d’apertura nel quartiere San Cristoforo di Catania, regno di Santapaola, e quello di chiusura a Castelvetrano, regno di Messina Denaro - ha spaventato il centrosinistra che allo spoglio di domani teme di arrivare dietro di lui.

Avvocato di 61 anni, sposato, Roberto La Rosa si candida col Movimento Siciliani liberi. Il suo slogan: Indipendenza economica è libertà. I suoi uomini-chiave Massimo Merighi e Ciro Lomonte. Le proposte -simbolo: istituzione di Zone economiche speciali, reddito a sostegno di casalinghe, studenti e giovani, contenzioso con lo Stato  (ansa)

CORRIERE DI STAMATTINA

I brogli evocati e l’appello di Grillo Minniti ai prefetti: vigilate sul voto

Oggi le urne in Sicilia, domani lo spoglio. La sinistra: trasparenza a rischio. M5S sotto accusa: silenzio violato

Felice Cavallaro

PALERMO Mentre ancora echeggiano le polemiche sugli «impresentabili», nel giorno del silenzio elettorale, alla vigilia del voto, ecco Beppe Grillo lanciare un messaggio ai siciliani e il suo cavallo in gara come governatore, Giancarlo Cancelleri, pronto a rilanciarlo via Facebook. Dei social in effetti nessuna legge parla, ma per gli avversari più temuti dai grillini, i sostenitori di Nello Musumeci, siamo comunque davanti a una clamorosa violazione delle regole, come tuona Ruggero Razza dalla cabina di regia di «Diventerà bellissima», il partito del candidato di centrodestra. Grillo insiste col suo Sos, una chiamata dei siciliani al «referendum tra un mondo e un altro», ma trova la sferzata di Alessandro Pagano, transitato da Forza Italia alla Lega, duro con i pentastellati: «Il loro gioco, la loro doppiezza gli italiani l’hanno scoperta». Intanto Grillo sguaina gli artigli contro gli avversari: «Segnano il territorio come i cani. E noi che guardiamo l’orizzonte...». Messaggi che compaiono e spariscono sui profili di Cancelleri, ma nella giungla della Rete c’è chi copia e rilancia. Facendo saltare un silenzio interrotto anche da una polemica legata allo scrutinio di queste elezioni per le quali oggi sono chiamati alle urne più di 4 milioni e mezzo di siciliani, dalle 8 alle 22, senza procedere però allo spoglio immediato. In Sicilia va così. Urne chiuse per tutta la notte. E inizio conteggio alle 8 di lunedì. Quanto basta per accendere i dubbi di Sinistra italiana, il pensiero alle amministrative di dieci anni fa, a Palermo: «Il voto venne falsato come accertato con sentenza passata in giudicato». Di qui l’appello «per un rafforzamento della sorveglianza dei seggi». Un errore lasciare le urne la notte nelle scuole: «Se qualcuno volesse fare il furbo avrebbe maggiori opportunità». Preoccupato per il rischio di brogli anche il governatore uscente Crocetta: nel 2012 è stato eletto con la stessa legge che si è poi rammaricato di non avere cambiato. Il ministro degli Interni, Marco Minniti, già nei giorni scorsi aveva inviato una nota ai prefetti per chiedere di attenzionare i «momenti più delicati del voto e dello scrutinio dove più spesso si verificano irregolarità». Quindi non solo l’attenzione alle schede nella notte elettorale, ma anche controlli scrupolosi durante le fasi dello spoglio.

Intanto, stasera saranno gli exit poll ad alimentare in tv il dibattito sui risultati. La partita vedrebbe un testa a testa fra i grillini e il centrodestra di Musumeci. Seguono i due candidati che guardano a sinistra. Il rettore Fabrizio Micari sostenuto dal sindaco Leoluca Orlando e dal Pd. E Claudio Fava, ormai punto di incrocio di Bersani, D’Alema e della schiera dei big che, mollato il Pd, giocano una partita che ha per bersaglio Renzi. Quando si parla di una valenza nazionale del voto si pensa anche agli effetti che le urne siciliane avranno a sinistra. Oggi il voto. Non solo nell’isola. Urne aperte anche a Roma, per il municipio di Ostia.

CAZZULLO

S e il sistema in Italia vacilla, in Sicilia può crollare. Se vince Grillo solo contro il centrodestra unito (5 simboli, 300 candidati) tutto può accadere.

I l candidato del centrodestra alla presidenza della Regione, Nello Musumeci, è un galantuomo: «Faccio politica da quando avevo 15 anni. Ne ho 62. Mi hanno rivoltato come un guanto; non hanno trovato nulla». È anche una persona seria: «Nel ’94 ero presidente della Provincia di Catania, quando la mafia mi condannò a morte. Ho avuto la scorta per nove anni. Ma non ho mai fatto il perseguitato di professione». Ha la tempra di chi è sopravvissuto a un figlio, e quindi non ha più paura di niente. Nel 2012 perse perché la destra era divisa; contro di lui si presentò Gianfranco Miccichè, che ora è il suo grande sponsor, ha convinto Berlusconi ad appoggiarlo nonostante le rughe, gli occhiali e il pizzetto bianco. Stavolta a dividersi è la sinistra, che si dilania per stabilire se farà meno peggio il rettore uscente e rientrante di Palermo, Fabrizio Micari, o il solito Claudio Fava. Se oggi Musumeci rischia di perdere, è perché dietro di lui avanza la Sicilia dell’eterno ritorno, dove tutto all’apparenza è in movimento ma in realtà è immobile, come i mascheroni barocchi da secoli spalancati in oscene boccacce sotto i balconi di Catania.

Totò e Raffaele, sempre in campo

Quattordici deputati — come vengono chiamati qui i consiglieri regionali, stipendiati meglio di Trump e della Merkel — che sostenevano l’ex comunista Crocetta sostengono l’ex missino Musumeci. Totò Lentini ha fatto uno slalom sinistra-destra-sinistra-destra, con un’agilità tipo Thoeni nei suoi momenti più belli. Alessandro Porto, presidente del gruppo «Con Enzo Bianco» al Comune di Catania, si candida con Berlusconi. Antonello Rizza ha quattro processi e 22 capi di imputazione. Francantonio Genovese, ex pd, condannato a 11 anni di carcere, è sostituito dal figlio ventenne Luigi. C’è pure Francesco Cascio, ex presidente dell’Assemblea regionale, ex alfaniano, condannato per corruzione. Forza Italia ha perso Vincenzo Figuccia, passato all’Udc, ma ha messo in lista Onofrio Figuccia «detto Vincenzo»: qualche elettore di sicuro si confonderà. Gaetano Armao, in teoria vice di Musumeci, non si candida ma piazza il suo teologo e padre spirituale Pietro Garonna, «detto Armao». E dietro di loro spunta il profilo sempiterno di Saverio Romano e Renato Schifani, nati a destra, passati a Roma con il centrosinistra e ora tornati al nido come rondini a primavera quando il clima muta e il vento si fa favorevole.

Lo spettacolo è tale da disgustare pure Totò Cuffaro, che cinque anni fa era a Rebibbia («guardate com’è dimagrito, la galera per lui è stata una beauty farm» ha detto Grillo con una battuta crudele). Totò non vota perché ha perso i diritti civili ma fa sapere che sostiene Roberto La Galla per un nobile motivo: è primario della moglie radiologa. Molto attivo anche il fratello Silvio Cuffaro, sindaco di Raffadali il paese natale. Ridiscende in campo Raffaele Lombardo, che aveva preso sei anni e otto mesi per mafia ma è stato assolto in appello — confermati solo i due anni per voto di scambio, che sarà mai —: il gabbiano, simbolo del suo Movimento per l’autonomia, vola in una delle liste di Musumeci.

Resta da capire se gli elettori sono mandanti o vittime.

Grillo arriva a nuoto o va in barca

Se i siciliani che abitano case abusive, fanno lavori precari, campano di sussidi, sono complici o non hanno scelta. «Ribellatevi, sono cent’anni che vi prendono in giro! — grida Grillo in piazza —. Dovreste essere i più ricchi d’Italia e invece siete i più poveri. Avete tutto, l’arte i vulcani le spiagge, e non avete nulla». A Grillo la Sicilia porta bene, qui ha avuto la prima affermazione, il 18% alle scorse regionali. Lui arrivò a nuoto, Gianroberto Casaleggio lo vegliava in piedi dalla barca con basco alla Che Guevara e mantello a nascondere il salvagente, nella bufera pareva Washington al passaggio del Potomac, «non è propaganda è un evento fondativo, la prova che può accadere qualsiasi cosa» mormorò allo sbarco. Aveva ragione. Grillo trovò i cronisti ad attenderlo e ancora gocciolante li salutò ferocemente serafico: «Cosa siete venuti a fare? Ormai non contate più nulla. C’è la rete. Quando tornerete in redazione non troverete più le scrivanie. Il tuo giornale ha chiuso, il tuo sta chiudendo, il tuo chiuderà...». Stavolta è stato ancora più diretto: «Se perdo non torno a nuoto, vengo qui con una barca di 25 metri e vi mando tutti affanculo». Il grillino che tallona Musumeci nei sondaggi, Giancarlo Cancelleri, come molti candidati Cinque Stelle è quasi trasparente. L’elettore deve avere l’impressione di votare per se stesso. Geometra, ha cominciato come magazziniere; il che è un merito, e lo sarebbe ancora di più se avesse aggiunto al curriculum un’esperienza amministrativa che però non ha; in compenso ha mandato in Parlamento la sorella Azzurra. Grillo lo chiama Cancellieri, con la i, anche se lo conosce da quando organizzò il Vaffaday a Caltanissetta e fondò i Grilli nisseni, prendendo l’1%. Ma il disastro complessivo è tale che molti siciliani guardano ai 5 Stelle come a un grimaldello per far saltare la macchina di debiti della Regione, e liberare le energie della comunità

La Sicilia è tecnicamente fallita. «Dovrebbe portare i libri in tribunale — dice Pietrangelo Buttafuoco —. Le elezioni non servono a conquistare un potere che non c’è. Sono un concorso per assegnare posti pubblici». E Pippo Baudo: «Musumeci è mio compaesano, di Militello come me, ma non mi pronuncio; sono troppo amareggiato». Gli sprechi sono tali che a un certo punto la Regione stabilì di potersi permettere un’orca: un’orca marina vera, comprata e messa a pensione nei mari del Nord — «non si ha idea di quanto costi allevare un’orca» sorride Buttafuoco — in attesa di essere portata al parco marino di Sciacca, che non si è mai fatto. La sinistra punta su volti nuovi: Mirello Crisafulli, ribaldo compiaciuto — «se fossi di Forza Italia sarei già a Guantanamo» —, che sostiene Luisa Lantieri, ex cuffariana; e Totò Cardinale, che nonostante la sua vicenda politica quasi secolare guida una lista che si chiama minacciosamente Sicilia futura.

FIORELLO

ROMA Il nome del suo show su Facebook è «Il Socialista». Ma è una boutade, naturalmente, perché si tratta solo di uno «show socialfonico», come lo chiama Fiorello, che socialista non è stato mai. Anzi, nel 2013, dichiarò persino di votare per Giorgia Meloni, di Fratelli d’Italia. E ora? Che pensa il catanese Rosario Tindaro Fiorello delle imminenti elezioni siciliane? Ne pensa piuttosto male, con un tasso di sfiducia decisamente elevato: «La politica — spiega — non ha mai cambiato le cose in Sicilia. E non lo farà neanche questa volta». A proposito di promesse, Fiorello è disincantato: «Mi fanno ridere tutti questi che promettono acqua frizzante che esce dai rubinetti e treni superveloci tra Catania e Palermo. Addirittura, se tutti i siciliani che negli anni hanno lasciato l’isola dovessero tornare, non pagherebbero le tasse... Ho letto anche questo». Niente acqua frizzante e niente treni superveloci: «Per quanto mi riguarda, non credo a nessuno». Però un piccolo spazio di speranza per il dopo elezioni lo lascia. E anche qualche indicazione utile per chi uscirà vincente dalle urne: «Ci si convinca con i fatti. La Sicilia ha bisogno di infrastrutture importanti che supportino il turismo. Bisogna puntare sulle bellezze naturali e sull’accoglienza dei siciliani».

Che Fiorello sia sinceramente interessato alle sorti della sua patria natale, è fuori discussione. Basti guardare quante volte è intervenuto per chiedere più attenzione per la Sicilia. Solo quest’estate, è sceso in campo per l’emergenza acqua e per le fiamme a Messina. Due anni fa spiegò ai cronisti: «La Sicilia? È una femmina abbandonata. Siamo messi davvero male, ma è inutile prendersela col politico di turno, ci siamo ormai rassegnati a questo stato di cose». Non è rassegnazione, però, la sua consapevolezza che finora la politica in Sicilia è stata spesso fallimentare, con responsabilità che hanno aggravato le condizioni di vita della popolazione. Eppure, spiega ora Fiorello, «la Sicilia non è un problema, non può essere vissuto come tale, perché è invece una risorsa per il Paese». E allora il suo «non credo a nessuno», potrà essere smentito solo dal dopo voto, quando si vedrà al lavoro la nuova amministrazione. Perché, come conclude Fiorello, «bisogna parlare meno e fare di più».

OSTIA

Alle 19 l’affluenza al voto per le elezioni del Municipio X di Roma, quello del territorio di Ostia, è stata del 28,67%. E’ quanto emerge dai dati riportati sul sito di Roma Capitale. Sul totale dei 185.661 aventi diritto nelle 183 sezioni allestite hanno votato in 53.233. Alle elezioni comunali del 2016, quando il municipio era commissariato per mafia, nel territorio municipale alle 19 l’affluenza era stata del 39,34%. Rispetto all’attuale tornata elettorale c’è stato un calo di oltre 10 punti percentuali nell’affluenza.

LA SITUAZIONE

Ora che Mafia Capitale non c’é più - almeno dopo il primo grado di giudizio - un pezzo grande di Roma torna al voto dopo due anni di commissariamento per infiltrazioni mafiose: il decimo Municipio, Ostia e il suo hinterland, il mare della metropoli a 30 chilometri dal centro e i quartieri residenziali o semi-abusivi (o entrambe le cose), gli scavi romani di Ostia Antica - l’altra Pompei - e le zone un tempo paludose. Circa 230 mila residenti, una città italiana di medie dimensioni: domani saranno oltre 185 mila gli aventi diritto al primo turno delle elezioni per scegliere il presidente e il Consiglio municipale, che si insedieranno nell’ex Palazzo del Governatorato a Ostia.

Con lo spauracchio dell’astensione, evocata come il nemico ieri da Virginia Raggi. Ed è una sfida che assume contorni di consultazione di ’midterm’, di verifica indiretta di metà mandato per la sindaca, eletta in realtà solo un anno e mezzo fa. Nel X Municipio M5S ha ottenuto risultati strepitosi alle comunali 2016 (Raggi 46% al primo turno e oltre 76% al ballottaggio) e ci si chiede se l’andamento difficile del Campidoglio a 5 Stelle tra cambi di assessori e inchieste inciderà sull’elettorato. M5S si presenta con Giuliana Di Pillo, 55 anni, insegnante di sostegno, ex consigliere municipale di opposizione, poi delegato al litorale della sindaca.

L’avversaria più accreditata é Monica Picca di Fratelli d’Italia, professoressa di lettere al liceo, che rappresenta il centrodestra, 46 anni. Il Pd teme il crollo e deve far dimenticare l’ultimo presidente, Andrea Tassone, arrestato per Mafia Capitale e condannato a 5 anni. Ci prova con Athos De Luca, 71 anni il 15 novembre, ex senatore ed ex consigliere comunale, un passato nei Verdi. C’é poi l’incognita CasaPound con Luca Marsella, 32 anni: il movimento di estrema destra é molto attivo e punta a entrare nelle istituzioni. Ha ricevuto un imbarazzante endorsement da un esponente del clan Spada, pur promettendo lotta senza quartiere alla mafia.

In corsa anche il prete 71/enne Franco De Donno - paladino Caritas e antiracket - con una lista civica gradita alla sinistra di Mdp e Insieme. Ci sono infine il giornalista Andrea Bozzi, unico a volere Ostia comune autonomo, l’imprenditore Marco Lombardi, Eugenio Bellomo di Sinistra Unita, il Partito della Famiglia con Giovanni Fiori. In tutto 16 liste e 372 candidati per 24 posti in Consiglio municipale. I problemi del Decimo e di Ostia sono l’abusivismo edilizio e l’assegnazione delle case popolari, le concessioni degli stabilimenti balneari e i trasporti, la carenza di servizi.

Il convitato di pietra sono le mafie: le inchieste e i processi (con sentenze contraddittorie), ne hanno delineate diverse: i Fasciani, autoctoni; i Triassi, legati a Cosa Nostra; i nomadi italiani Spada e altri gruppi. Infiltrazioni che hanno portato arresti eccellenti e lo scioglimento nel 2015 del Municipio, unico a Roma. Ma passeggiando tra l’Idroscalo dove fu ucciso Pierpaolo Pasolini e l’ex Colonia Vittorio Emanuele III, l’antropologo Stefano Portelli ipotizza che "la città abbia proiettato tutto il male su Ostia per allontanarlo da sé...".

pezzo della stampa

Il bastone ben puntato a terra, il piede si solleva a fatica per scavalcare un residuo di plastica rimasto sull’asfalto, annerito dal fuoco. «Ne sono andati a fuoco una trentina di cassonetti l’altra notte» - «Qui non c’è quasi mai nulla che brucia per caso». Bruno e Gastone, pensionati, passeggiano nella foschia mattutina che avvolge il litorale romano, sul lungomare di Ostia, «arresi» al degrado e all’illegalità che da anni ormai li circonda.
Alle loro spalle, in attesa di essere smontati, si stagliano gli scheletri di tre palchi, l’uno a poche centinaia di metri dall’altro, sui quali la sera prima si sono svolti gli ultimi comizi elettorali. Dovrebbero simboleggiare il baluardo della politica contro l’illegalità, ma qui, a poche ore dal voto, al riscatto di Ostia ci credono in pochi; nonostante queste elezioni segnino la fine, dopo due anni, di un pesante commissariamento per mafia. Già, perché oggi non c’è solo la Sicilia, terra di conquista politica fondamentale per il suo valore simbolico in vista delle politiche nazionali. Chi osserva con attenzione questa tornata elettorale, guarda anche a Ostia. Cuore del decimo municipio di Roma, con i suoi 230mila abitanti ha la forza di una vera e propria città e si candida ad essere la possibile cartina di tornasole di più ampi sviluppi politici.
Ostia è il mare della Capitale, ma solo per tre mesi l’anno. Il resto del tempo, quando terminano le file per prendere un lettino e i locali sulla spiaggia si spengono, torna ad essere il laboratorio della mafia romana. Le famiglie Falciani, Spada e Triassi si spartiscono da anni territorio e potere, tra estorsioni, spaccio di droga, affari imprenditoriali e sparatorie in strada alla luce del giorno. Gli Spada avevano pensato di candidare alla presidenza del municipio il reggente della famiglia, Roberto Spada. Dopo le passate simpatie espresse pubblicamente per il Movimento 5 stelle, lo stesso Roberto Spada ha deciso di appoggiare il candidato di CasaPound. Il movimento di estrema destra a Ostia è ben radicato e si è fatto portabandiera, negli ultimi anni, della battaglia per il diritto alla casa. Un mondo su cui, non a caso, pesano gli interessi degli stessi Spada, che hanno già subito sette arresti e altrettante condanne in primo grado per il racket degli alloggi popolari del litorale romano. Il consenso di CasaPound, però, cresce. «I miei ex alunni votano quasi tutti CasaPound o Movimento 5 stelle, lo vedo dalle loro bacheche di Facebook», racconta Elsa, professoressa di liceo che ha raggiunto Bruno e Gastone al tavolo del bar di fronte al lungomare. I Cinque stelle, che alle elezioni del 2016 per il sindaco di Roma a Ostia hanno conquistato il 44% dei consensi, rimangono i favoriti, ma dovranno pesare la probabile emorragia di voti post-Raggi. I cavalli di battaglia grillini dell’«onestà» e della «legalità», poi, sono diventati le parole d’ordine di tutti i candidati, dal Pd - che ha visto il suo ex presidente di municipio arrestato causando il commissariamento per mafia - fino al centrodestra, che si presenta unito (ma con comizi categoricamente separati) e viene accreditato come probabile sfidante del M5S per la vittoria finale. In tanti, però, pensano di non andare a votare, estremizzando nell’astensionismo anche quel voto di protesta che aveva portato al trionfo Virginia Raggi.
Questo, d’altronde, è il quartiere più complesso di una città come Roma, che viene considerata a sua volta la più difficile da amministrare d’Italia. È un quartiere sul mare dove, per assurdo, il mare non si vede, oscurato da un muro infinito, costruito calpestando con noncuranza la legge. Ostia è l’unico municipio in cui un tribunale ha accertato la presenza di mafia e dove, al tempo stesso, il distaccamento del Tribunale di Roma è stato chiuso. Dove l’eroina non se ne è mai andata, e viaggia tra gli strip club, le slot machine, la prostituzione, proprio come nella serie televisiva «Suburra». Con i neon che nella notte danno sfoggio di una città malata, mentre il commissariato di polizia, fino a poco tempo fa, poteva contare solo su una volante da mettere in strada a ogni turno. Insomma, una terra di sperimentazione distruttiva in cui, all’alba del voto, ha già vinto la dilagante sfiducia di chi si è arreso.
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Il bastone ben puntato a terra, il piede si solleva a fatica per scavalcare un residuo di plastica rimasto sull’asfalto, annerito dal fuoco. «Ne sono andati a fuoco una trentina di cassonetti l’altra notte» - «Qui non c’è quasi mai nulla che brucia per caso». Bruno e Gastone, pensionati, passeggiano nella foschia mattutina che avvolge il litorale romano, sul lungomare di Ostia, «arresi» al degrado e all’illegalità che da anni ormai li circonda.
Alle loro spalle, in attesa di essere smontati, si stagliano gli scheletri di tre palchi, l’uno a poche centinaia di metri dall’altro, sui quali la sera prima si sono svolti gli ultimi comizi elettorali. Dovrebbero simboleggiare il baluardo della politica contro l’illegalità, ma qui, a poche ore dal voto, al riscatto di Ostia ci credono in pochi; nonostante queste elezioni segnino la fine, dopo due anni, di un pesante commissariamento per mafia. Già, perché oggi non c’è solo la Sicilia, terra di conquista politica fondamentale per il suo valore simbolico in vista delle politiche nazionali. Chi osserva con attenzione questa tornata elettorale, guarda anche a Ostia. Cuore del decimo municipio di Roma, con i suoi 230mila abitanti ha la forza di una vera e propria città e si candida ad essere la possibile cartina di tornasole di più ampi sviluppi politici.
Ostia è il mare della Capitale, ma solo per tre mesi l’anno. Il resto del tempo, quando terminano le file per prendere un lettino e i locali sulla spiaggia si spengono, torna ad essere il laboratorio della mafia romana. Le famiglie Falciani, Spada e Triassi si spartiscono da anni territorio e potere, tra estorsioni, spaccio di droga, affari imprenditoriali e sparatorie in strada alla luce del giorno. Gli Spada avevano pensato di candidare alla presidenza del municipio il reggente della famiglia, Roberto Spada. Dopo le passate simpatie espresse pubblicamente per il Movimento 5 stelle, lo stesso Roberto Spada ha deciso di appoggiare il candidato di CasaPound. Il movimento di estrema destra a Ostia è ben radicato e si è fatto portabandiera, negli ultimi anni, della battaglia per il diritto alla casa. Un mondo su cui, non a caso, pesano gli interessi degli stessi Spada, che hanno già subito sette arresti e altrettante condanne in primo grado per il racket degli alloggi popolari del litorale romano. Il consenso di CasaPound, però, cresce. «I miei ex alunni votano quasi tutti CasaPound o Movimento 5 stelle, lo vedo dalle loro bacheche di Facebook», racconta Elsa, professoressa di liceo che ha raggiunto Bruno e Gastone al tavolo del bar di fronte al lungomare. I Cinque stelle, che alle elezioni del 2016 per il sindaco di Roma a Ostia hanno conquistato il 44% dei consensi, rimangono i favoriti, ma dovranno pesare la probabile emorragia di voti post-Raggi. I cavalli di battaglia grillini dell’«onestà» e della «legalità», poi, sono diventati le parole d’ordine di tutti i candidati, dal Pd - che ha visto il suo ex presidente di municipio arrestato causando il commissariamento per mafia - fino al centrodestra, che si presenta unito (ma con comizi categoricamente separati) e viene accreditato come probabile sfidante del M5S per la vittoria finale. In tanti, però, pensano di non andare a votare, estremizzando nell’astensionismo anche quel voto di protesta che aveva portato al trionfo Virginia Raggi.
Questo, d’altronde, è il quartiere più complesso di una città come Roma, che viene considerata a sua volta la più difficile da amministrare d’Italia. È un quartiere sul mare dove, per assurdo, il mare non si vede, oscurato da un muro infinito, costruito calpestando con noncuranza la legge. Ostia è l’unico municipio in cui un tribunale ha accertato la presenza di mafia e dove, al tempo stesso, il distaccamento del Tribunale di Roma è stato chiuso. Dove l’eroina non se ne è mai andata, e viaggia tra gli strip club, le slot machine, la prostituzione, proprio come nella serie televisiva «Suburra». Con i neon che nella notte danno sfoggio di una città malata, mentre il commissariato di polizia, fino a poco tempo fa, poteva contare solo su una volante da mettere in strada a ogni turno. Insomma, una terra di sperimentazione distruttiva in cui, all’alba del voto, ha già vinto la dilagante sfiducia di chi si è arreso.
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Il bastone ben puntato a terra, il piede si solleva a fatica per scavalcare un residuo di plastica rimasto sull’asfalto, annerito dal fuoco. «Ne sono andati a fuoco una trentina di cassonetti l’altra notte» - «Qui non c’è quasi mai nulla che brucia per caso». Bruno e Gastone, pensionati, passeggiano nella foschia mattutina che avvolge il litorale romano, sul lungomare di Ostia, «arresi» al degrado e all’illegalità che da anni ormai li circonda.
Alle loro spalle, in attesa di essere smontati, si stagliano gli scheletri di tre palchi, l’uno a poche centinaia di metri dall’altro, sui quali la sera prima si sono svolti gli ultimi comizi elettorali. Dovrebbero simboleggiare il baluardo della politica contro l’illegalità, ma qui, a poche ore dal voto, al riscatto di Ostia ci credono in pochi; nonostante queste elezioni segnino la fine, dopo due anni, di un pesante commissariamento per mafia. Già, perché oggi non c’è solo la Sicilia, terra di conquista politica fondamentale per il suo valore simbolico in vista delle politiche nazionali. Chi osserva con attenzione questa tornata elettorale, guarda anche a Ostia. Cuore del decimo municipio di Roma, con i suoi 230mila abitanti ha la forza di una vera e propria città e si candida ad essere la possibile cartina di tornasole di più ampi sviluppi politici.
Ostia è il mare della Capitale, ma solo per tre mesi l’anno. Il resto del tempo, quando terminano le file per prendere un lettino e i locali sulla spiaggia si spengono, torna ad essere il laboratorio della mafia romana. Le famiglie Falciani, Spada e Triassi si spartiscono da anni territorio e potere, tra estorsioni, spaccio di droga, affari imprenditoriali e sparatorie in strada alla luce del giorno. Gli Spada avevano pensato di candidare alla presidenza del municipio il reggente della famiglia, Roberto Spada. Dopo le passate simpatie espresse pubblicamente per il Movimento 5 stelle, lo stesso Roberto Spada ha deciso di appoggiare il candidato di CasaPound. Il movimento di estrema destra a Ostia è ben radicato e si è fatto portabandiera, negli ultimi anni, della battaglia per il diritto alla casa. Un mondo su cui, non a caso, pesano gli interessi degli stessi Spada, che hanno già subito sette arresti e altrettante condanne in primo grado per il racket degli alloggi popolari del litorale romano. Il consenso di CasaPound, però, cresce. «I miei ex alunni votano quasi tutti CasaPound o Movimento 5 stelle, lo vedo dalle loro bacheche di Facebook», racconta Elsa, professoressa di liceo che ha raggiunto Bruno e Gastone al tavolo del bar di fronte al lungomare. I Cinque stelle, che alle elezioni del 2016 per il sindaco di Roma a Ostia hanno conquistato il 44% dei consensi, rimangono i favoriti, ma dovranno pesare la probabile emorragia di voti post-Raggi. I cavalli di battaglia grillini dell’«onestà» e della «legalità», poi, sono diventati le parole d’ordine di tutti i candidati, dal Pd - che ha visto il suo ex presidente di municipio arrestato causando il commissariamento per mafia - fino al centrodestra, che si presenta unito (ma con comizi categoricamente separati) e viene accreditato come probabile sfidante del M5S per la vittoria finale. In tanti, però, pensano di non andare a votare, estremizzando nell’astensionismo anche quel voto di protesta che aveva portato al trionfo Virginia Raggi.
Questo, d’altronde, è il quartiere più complesso di una città come Roma, che viene considerata a sua volta la più difficile da amministrare d’Italia. È un quartiere sul mare dove, per assurdo, il mare non si vede, oscurato da un muro infinito, costruito calpestando con noncuranza la legge. Ostia è l’unico municipio in cui un tribunale ha accertato la presenza di mafia e dove, al tempo stesso, il distaccamento del Tribunale di Roma è stato chiuso. Dove l’eroina non se ne è mai andata, e viaggia tra gli strip club, le slot machine, la prostituzione, proprio come nella serie televisiva «Suburra». Con i neon che nella notte danno sfoggio di una città malata, mentre il commissariato di polizia, fino a poco tempo fa, poteva contare solo su una volante da mettere in strada a ogni turno. Insomma, una terra di sperimentazione distruttiva in cui, all’alba del voto, ha già vinto la dilagante sfiducia di chi si è arreso.
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Il bastone ben puntato a terra, il piede si solleva a fatica per scavalcare un residuo di plastica rimasto sull’asfalto, annerito dal fuoco. «Ne sono andati a fuoco una trentina di cassonetti l’altra notte» - «Qui non c’è quasi mai nulla che brucia per caso». Bruno e Gastone, pensionati, passeggiano nella foschia mattutina che avvolge il litorale romano, sul lungomare di Ostia, «arresi» al degrado e all’illegalità che da anni ormai li circonda.
Alle loro spalle, in attesa di essere smontati, si stagliano gli scheletri di tre palchi, l’uno a poche centinaia di metri dall’altro, sui quali la sera prima si sono svolti gli ultimi comizi elettorali. Dovrebbero simboleggiare il baluardo della politica contro l’illegalità, ma qui, a poche ore dal voto, al riscatto di Ostia ci credono in pochi; nonostante queste elezioni segnino la fine, dopo due anni, di un pesante commissariamento per mafia. Già, perché oggi non c’è solo la Sicilia, terra di conquista politica fondamentale per il suo valore simbolico in vista delle politiche nazionali. Chi osserva con attenzione questa tornata elettorale, guarda anche a Ostia. Cuore del decimo municipio di Roma, con i suoi 230mila abitanti ha la forza di una vera e propria città e si candida ad essere la possibile cartina di tornasole di più ampi sviluppi politici.
Ostia è il mare della Capitale, ma solo per tre mesi l’anno. Il resto del tempo, quando terminano le file per prendere un lettino e i locali sulla spiaggia si spengono, torna ad essere il laboratorio della mafia romana. Le famiglie Falciani, Spada e Triassi si spartiscono da anni territorio e potere, tra estorsioni, spaccio di droga, affari imprenditoriali e sparatorie in strada alla luce del giorno. Gli Spada avevano pensato di candidare alla presidenza del municipio il reggente della famiglia, Roberto Spada. Dopo le passate simpatie espresse pubblicamente per il Movimento 5 stelle, lo stesso Roberto Spada ha deciso di appoggiare il candidato di CasaPound. Il movimento di estrema destra a Ostia è ben radicato e si è fatto portabandiera, negli ultimi anni, della battaglia per il diritto alla casa. Un mondo su cui, non a caso, pesano gli interessi degli stessi Spada, che hanno già subito sette arresti e altrettante condanne in primo grado per il racket degli alloggi popolari del litorale romano. Il consenso di CasaPound, però, cresce. «I miei ex alunni votano quasi tutti CasaPound o Movimento 5 stelle, lo vedo dalle loro bacheche di Facebook», racconta Elsa, professoressa di liceo che ha raggiunto Bruno e Gastone al tavolo del bar di fronte al lungomare. I Cinque stelle, che alle elezioni del 2016 per il sindaco di Roma a Ostia hanno conquistato il 44% dei consensi, rimangono i favoriti, ma dovranno pesare la probabile emorragia di voti post-Raggi. I cavalli di battaglia grillini dell’«onestà» e della «legalità», poi, sono diventati le parole d’ordine di tutti i candidati, dal Pd - che ha visto il suo ex presidente di municipio arrestato causando il commissariamento per mafia - fino al centrodestra, che si presenta unito (ma con comizi categoricamente separati) e viene accreditato come probabile sfidante del M5S per la vittoria finale. In tanti, però, pensano di non andare a votare, estremizzando nell’astensionismo anche quel voto di protesta che aveva portato al trionfo Virginia Raggi.
Questo, d’altronde, è il quartiere più complesso di una città come Roma, che viene considerata a sua volta la più difficile da amministrare d’Italia. È un quartiere sul mare dove, per assurdo, il mare non si vede, oscurato da un muro infinito, costruito calpestando con noncuranza la legge. Ostia è l’unico municipio in cui un tribunale ha accertato la presenza di mafia e dove, al tempo stesso, il distaccamento del Tribunale di Roma è stato chiuso. Dove l’eroina non se ne è mai andata, e viaggia tra gli strip club, le slot machine, la prostituzione, proprio come nella serie televisiva «Suburra». Con i neon che nella notte danno sfoggio di una città malata, mentre il commissariato di polizia, fino a poco tempo fa, poteva contare solo su una volante da mettere in strada a ogni turno. Insomma, una terra di sperimentazione distruttiva in cui, all’alba del voto, ha già vinto la dilagante sfiducia di chi si è arreso.
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REPUBBLICA

LENTINI

BRIZIO LENTINI

LA SICILIA avrà stasera un governatore “virtuale”. Resterà in carica dalle 22, quando le urne si chiuderanno e la Rai renderà noti i risultati degli exit poll curati dagli istituti di Noto e Piepoli, e la tarda mattinata di domani, quando lo spoglio, che comincia alle 8, darà il verdetto reale. Una situazione paradossale, figlia della “specialità” siciliana che assegna alla Regione la competenza in materia elettorale. Tanto che nel 2005 il Parlamento più antico d’Europa, infischiandosene di quel che accade nel resto del mondo occidentale, stabilì di mandare a letto dopo il voto presidenti di seggio e scrutatori, e di avviare lo spoglio il giorno dopo. Così si è fatto nel 2006, nel 2008 e nel 2012. L’anomalia oggi diventa plateale. Il governatore uscente Crocetta fa autocritica, i 5 Stelle e Sinistra italiana paventano un rischio brogli e chiedono al ministero dell’Interno di «vigilare» sulle urne sigillate e solitarie. Intanto, in tv e sui giornali, si commenterà e si dibatterà per dodici ore sulla base dei sondaggi fatti all’uscita dei seggi. Situazione pressoché inedita in Italia, se si esclude la lontana disavventura occorsa nel giugno 1993 all’ambientalista agrigentino Giuseppe Arnone, proclamato virtualmente sindaco da Doxa e Rai e detronizzato la mattina dopo dai numeri reali. Un incubo che insegue oggi i due front runner delle regionali, appaiati secondo i sondaggisti: Nello Musumeci del centrodestra e Giancarlo Cancelleri del M5S. Perché, mentre la Sicilia mette in scena l’elezione al rallentatore, la politica-spettacolo combinata con una norma anacronistica pretende subito il risultato. A costo di “incoronare” un governatore per una notte.

FICO
CUZZOCREA ROMA. «Comunque vada, avremo dimostrato che noi non facciamo trucchi e andiamo al voto mettendoci la faccia». Il leader degli “ortodossi” Roberto Fico mette un punto ai malumori dell’ultimo anno e loda il candidato premier del Movimento 5 stelle Luigi Di Maio: «Ha fatto una campagna straordinaria». Avete puntato tutto sul voto in Sicilia, perché? «Perché lì c’è una vera emergenza legalità. E abbiamo il serio timore che questo voto possa aprire le porte ancora una volta a una classe politica che si sente invincibile e impunita. Se i cittadini non danno un segnale forte, questi personaggi si sentiranno autorizzati per l’ennesima volta a usare le istituzioni e i soldi pubblici come mangiatoia». Fuori dalla propaganda, questa è sicuramente una grande opportunità, ma anche un grosso rischio: che succede se perdete nonostante il vostro candidato premier ci abbia messo così tanto la faccia? «Intanto le dico che se dovessimo vincere, per tutti i siciliani sarebbe un nuovo inizio, perché avremmo finalmente la possibilità di cambiare tutto, dalla sanità ai trasporti. E sarebbe un risultato ancor più significativo perché in questa campagna eravamo noi da soli contro un’accozzaglia di liste che pur di vincere non ha esitato a raccattare portatori di voti condannati e indagati». Avete indagati anche nelle vostre file e avevate un condannato in lista. Però mi dica prima cosa succede se perdete. «Sentiremmo comunque di aver fatto la cosa giusta, perché abbiamo affrontato questa campagna elettorale da soli, mettendoci le nostre facce in maniera chiara, trasparente, senza ricorrere ai trucchi delle liste civetta o di alleanze che si stringono solo con l’obiettivo di spartirsi le poltrone. E comunque saremmo la prima forza politica della Sicilia e una parte del merito, oltre che di Giancarlo Cancelleri, sarebbe anche di Luigi, che si è speso tantissimo e ha fatto una campagna straordinaria». Avevate un condannato in lista. Forse non bastano i filtri “meccanici”, come la fedina penale pulita. Bisogna conoscere le persone, non crede? «Il punto è cosa accade quando veniamo a sapere che uno dei nostri candidati è condannato: noi lo abbiamo mandato via immediatamente, anche se si trattava di una condanna di 2 mesi emessa dal tribunale militare perché quando era carabiniere aveva lasciato il posto di blocco incustodito. Gli altri partiti invece si tengono arrestati, condannati per reati di corruzione, associazione a delinquere e altri reati gravissimi. C’è una differenza abissale». Un vostro militante, prescelto da Cancelleri come assessore, ha dovuto chiedere scusa per alcuni tweet violenti. Il famoso “Ti bruciamo vivo” rivolto al pd Ettore Rosato. Il Movimento ha un problema con la violenza verbale? «Parisi ha sbagliato, se n’è reso conto anche lui e ha chiesto scusa. La violenza, in ogni sua forma, non ci appartiene, anzi, abbiamo a il merito di aver incanalato la rabbia della gente in un percorso di partecipazione democratica ». È un mantra che ripetete da tempo. Poi soffiate sullo scontento con parole di fuoco. «Mi sarebbe piaciuto vedere la stessa indignazione anche quando Vincenzo De Luca ha invitato ad ammazzare Di Maio e Di Battista, ma in quell’occasione nessuno ha avuto da ridire e soprattutto nessuno ha chiesto scusa». Mattarella ha firmato la legge elettorale: come cambia il vostro rapporto col capo dello Stato? Vi ha deluso? «Noi rispettiamo il Capo dello Stato, ma continuiamo a sostenere che il Rosatellum sia una legge incostituzionale, oltre che fraudolenta nei confronti dei cittadini. Ora toccherà alla Corte Costituzionale approfondire». Perché chiedere un confronto a Renzi dopo il voto? Che senso ha? «Dopo la Sicilia inizia la campagna nazionale e vogliamo che tutti abbiano chiare sin da subito le sue menzogne e promesse fallite. Renzi sta tentando di rifarsi un’immagine, prova a spacciarsi per difensore dei risparmiatori italiani. Noi gli ricorderemo che fino a ieri ha fatto solo gli interessi delle banche e dei banchieri».
LA STAMPAI MIGRANTI E IL VOTO IN SICILIA
Uno strano fenomeno si sta verificando in questi giorni, in queste ore. Sarà pure una coincidenza, ma è un fatto che siano ripresi alla grande i viaggi dei migranti. Le navi di salvataggio, però, circumnavigano la Sicilia e vanno altrove. E sono migliaia gli africani che stanno arrivando proprio in queste ore nei porti pugliesi e calabresi. Si calcola che siano circa duemila. Poche notizie, poca pubblicità anche dei vari morti che sono stati trovati a bordo. A cosa è dovuto il fatto che la Sicilia viene «scavalcata»? C’è chi insinua che ci siano di mezzo le elezioni regionali. La Sicilia è sempre stata la prima terra degli approdi dei migranti, migliaia e migliaia sbarcati sulle coste clandestinamente o portati e soccorsi a Lampedusa, Pozzallo, Catania, Palermo. Centri di accoglienza affollati, il Cara di Mineo al centro di un’inchiesta giudiziaria con risvolti politici.
Eppure la campagna elettorale per le regionali siciliane non è stata combattuta su questo tema. Pochi i riferimenti nei comizi, altrettanti pochi nei programmi dei candidati alla presidenza. Comunque non al primo posto. Anche Matteo Salvini e la stessa Giorgia Meloni, che a livello nazionale hanno costruito sull’immigrazione le loro «fortune» politiche, non hanno calcato la mano più di tanto. Nei suoi cinque giorni nell’isola il leader leghista ha fatto tappa solo a Villa Sikania, a Siculiana, un resort trasformato in hotspot. Per non parlare degli altri candidati. Quelli di sinistra, Micari e Fava, il tema migranti non l’hanno nemmeno sfiorato.
Nello Musumeci, dalle chiare radici missine e di destra, non ha posizioni radicali in proposito. È più accogliente, come il resto dei siciliani. Tuttavia il candidato presidente del centrodestra ha detto che, quando e se verrà eletto, chiederà al governo di essere nominato commissionario straordinario per l’emergenza migranti, con potere relativo anche allo smistamento. La stessa richiesta la farà Giancarlo Cancelleri, il candidato dei 5 Stelle, che al problema ha dedicato poche parole. Come se il tema fosse dimenticato, complice il fatto che di sbarchi in Sicilia non ce ne sono più stati. Appunto.
Da più di un mese nell’isola sbarchi praticamente azzerati, pochissimi, quasi niente. È vero che le partenze dalla Libia sono diminuite drasticamente, ma è anche vero che negli ultimissimi giorni di migranti ne sono arrivati circa due mila. Non se n’è saputo molto, poche immagini televisive, scarsa attenzione al fenomeno (con l’unica eccezione di Radio Radicale) che ha avuto invece una ripresa consistente. Solo che queste migliaia di persone non state portate in Trinacria: sono tutte dirottate altrove. Oggi una nave spagnola è approdata a Salerno con 400 disperati a bordo e una ventina di salme. Ieri a Reggio Calabria la «Diciotti» ha portato 5 donne e 3 uomini morti e oltre 765 naufraghi, tutti recuperati al largo delle coste libiche. Ancora, 588 persone sono state trasportate nelle ultime ore a Vibo Valentia dalla nave Ong Aquarius. Altri 322 sono sbarcati a Taranto dalla tedesca Mecklemburg. OpenArms ha trasportato 380 migranti a Crotone.
Forse non si è voluto interferire con la competizione elettorale, cercando di tenere alla larga dall’isola i disperati che vengono dall’Africa avvolti nelle coperte termiche? A non avere alcun dubbio che di questo si tratti è Gregorio Fontana di Forza Italia, componente della Commissione parlamentare d’inchiesta sui migranti. Dice che «contrariamente a quanto annunciato dal governo, gli sbarchi sono ripresi in grande stile. Solo che vengono dirottati dalla Sicilia verso le coste pugliesi e calabresi per evitare che l’ennesimo fallimento dell’esecutivo vada ad interferire con le elezioni siciliane». Il punto è che avrebbe forse dovuto favorire il candidato del Pd Micari, che non sembra invece in grande spolvero. Bene che vada arriverà terzo. «Servirebbe uno sforzo immediato per arginare gli arrivi - ha detto il parlamentare europeo di Forza Italia Stefano Maullu - ma evidentemente il governo ha altro di cui occuparsi: dopotutto ci troviamo a poche ore da un appuntamento elettorale che potrebbe affossare definitivamente le speranze del Pd di riconfermarsi alla guida del Paese, per cui tutta l’attenzione dell’esecutivo dev’essere concentrata sulla Sicilia, nella vana speranza di salvare il partito di Renzi da una figuraccia colossale e ormai inevitabile».
Nel frattempo gli sbarchi continuano, la Guardia Costiera è sotto pressione, e il Corpo Soccorso dell’Ordine di Malta (i cui staff medici operano ufficialmente a bordo delle navi della GC) ha affidato a un tweet la sua lettura degli eventi in queste ore: «Non basta il silenzio per ignorare la morte degli invisibili».

FRANCESCO LA LICATA
Riflettendo su quelli che sono stati i temi di quest’ultima campagna elettorale siciliana, non si può non notare quanto «atipico» sia stato il contenuto delle scontro politico. Abbiamo visto come il tema della mafia sia stato tenuto lontano da dibattiti e comizi, con l’eccezione del candidato Claudio Fava. Eppure non è questa l’unica anomalia di una campagna che sembra essersi omologata ai temi più nazionali che strettamente locali. Abbiamo sentito parlare di sanità, di servizi, di privilegi, di amministrazione, buona e cattiva. Abbiamo ascoltato promesse più o meno vaghe e velleitarie e raccolto certezze utopistiche, «diventerà più bella», parole che riportano alla memoria un passato non indimenticabile che sentenziava: «La Sicilia è bella, facciamola più bella».
E sin qui, tutto nella normalità. Eppure è mancato qualcosa, nel dibattito. Qualcosa di non secondaria importanza, qualcosa su cui il resto del Paese si è spaccato fino alle lacerazioni traumatiche. Qualcosa che è molto presente in Sicilia, ma evidentemente è stato ritenuto dai partiti un tema che è meglio evitare. La campagna elettorale isolana ha lasciato fuori la tragedia dei migranti e le paure di chi, più o meno entusiasticamente, li salva e li accoglie.
Davvero strano, se si pensa che la Sicilia figura fra le Regioni che, anche per ragioni prettamente geografiche, ospita il maggior numero di esuli provenienti da più parti e soprattutto dal Mediterraneo. Basti pensare per un attimo alla situazione di Lampedusa, per capire quanto possa incidere nella vita dei siciliani il nuovo fenomeno migratorio. Ci sono centri grandi e piccoli, nell’isola, che si sono aperti agli «stranieri».
È soltanto l’ennesima conferma della vocazione all’accoglienza del generoso popolo di Sicilia. E se così è, come mai un tema tanto pregnante non è entrato a far parte del dibattito che vede protagonisti vecchi arnesi della politica, ma anche nuove formazioni, forse più adatte a cercare soluzioni a fenomeni inediti?
Certo, l’isola ha un Dna storico-culturale che la rende particolarmente ben disposta alla tolleranza verso gli «altri», fossero anche con la pelle nera. «Li Turchi», i Mori, sono stati presenti nella storia siciliana, tanto da indurre gli abitanti a identificare come «turco» qualsiasi straniero con la pelle scura. I palermitani e i mazaresi, in particolare, hanno imparato - nei secoli - a convivere con ogni genere di «nero» che venga scaricato nei rispettivi porti. Tunisini, marocchini ed egiziani da tempo sono stati «metabolizzati» nei vicoli della Kalsa di Palermo e delle vicinanza del Porto. In questo pezzo di città, da tempo è possibile leggere indicazioni per locande e ristoranti nella doppia lingua siculo-magrebina. Convivenza, persino con qualche «esagerazione», come quella delle prostitute nigeriane invise ai palermitani non per il colore della loro pelle, ma per l’incontenibile vocazione allo schiamazzo notturno. A Mazara del Vallo i matrimoni misti sono una realtà ormai consolidata e i pescherecci vengono governati da equipaggi composti da siciliani e magrebini, al cinquanta e cinquanta. Insomma, è vero che lo scontro razziale è meno probabile in Sicilia.
Ma forse non è solo il senso di tolleranza che ha indotto i partiti siciliani a star lontano dalla vicenda dei migranti. I siciliani, si sa, sono capaci di grandi slanci di generosità, ma la loro storia è permeata da una certa vocazione alla concretezza. Quelli che giungono nell’isola, sia i dominatori del passato che gli attuali «stranieri», vengono trasformati via via in buone opportunità e concrete, appunto, occasioni di vantaggi. L’arrivo di tanti migranti, certamente, può creare qualche problema. Ma può rivelarsi pure buona occasione di guadagni. Pensiamo ai «nivuri» (neri, ndr) che lavorano nelle serre del Ragusano, sottopagati e iperproduttivi. Quanti sono? Nessuno riesce mai a censirli, come non si riesce a contare l’esercito di «irregolari» che si arruolano nella grande miniera della illegalità: gli esattori del pizzo, pagati per andare in carcere al posto dei bianchi, gli spacciatori che non parlano la lingua e dunque non possono accusare nessuno, l’esercito di posteggiatori abusivi e di cuochi e lavapiatti non registrati. Per non parlare del business legale dei centri di accoglienza: cooperative ammanigliate con le amministrazioni locali e con «mamma Regione». Ecco, forse anche per questo è preferibile non fermare l’attenzione politica sul problema dei «nivuri».