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 2017  novembre 05 Domenica calendario

Mai nessuno come l’ambidestro Verdi: due piedi oltre la barriera


Viva Verdi: se gioca lui, è un invito all’opera. Il Bologna si è fatto rimontare dal Crotone, ma nella storia resterà la prodezza dell’attaccante pavese, capace di due punizioni vincenti, una di sinistro, l’altra di destro.«Dovevo sbloccarmi, era ora», si limiterà a dire dopo.Titolare contro la Macedonia a ottobre, non è stato chiamato da Ventura.Verdi, nemmeno suo padre sa dire quale sia il suo piede.«Perché mi ha sempre visto così. Mangio e scrivo con la destra, ma da bambino sono stato lasciato libero. Papà, portiere dilettante, costruì nella tavernetta un campetto, finiti i compiti correvo a giocare con mio fratello, abbiamo rotto lo stesso vetro quattro volte... Un rigore? Lo tiro di destro. Una punizione? Dipende dalla posizione. Nella mia testa, non c’è distinzione. È un vantaggio sui difensori, che non sanno su quale lato portarmi. E per questo io sento che devo dare di più».Ma è una questione di geni o di allenamento?«Non saprei. Mio fratello Mattia, che gioca in Promozione, il sinistro lo usa per scendere dal letto. Credo che per un destro non sia difficile affinare il piede debole, se ci lavora su. I grandi mancini, invece, hanno difficoltà a coordinarsi con l’altro piede. Oggi penso a Hernanes e Pedro, ambidestri».Come comincia la sua storia?«Nato a Broni, ma sono di Travacò Siccomario, colline pavesi. Papà Roberto lavora al centro elaborazione dati in banca, mamma Simona è casalinga. Si sono separati che ero piccolo, e anche questo ha rafforzato il legame con mio fratello, di due anni più grande: sulla schiena ho un tatuaggio con il suo numero, il 5. Si è laureato martedì in Scienze Motorie con una tesi sul calciatore moderno usando me come esempio. Comincio a giocare seguendo lui all’Audax, la squadra del paese, a quattro anni. Non ho l’età, mio padre convince i dirigenti».E poi?«A 8 vado al Piacenza, un bus mi prende a scuola e mi riaccompagna a tarda sera dopo l’allenamento. Ma gli altri bambini mi escludono, mi fanno sentire fuori luogo. Un giorno torno a casa piangendo, mio padre mi ricorda che il calcio è un divertimento, e io riparto dall’Audax. A 11 faccio due provini, Milan e Inter. Scelgo il Milan».È esploso a Bologna dopo un giro lunghissimo.«Non dimostrai di essere da Milan. Al Toro ero troppo giovane, non ancora pronto alla vita da calciatore. A Empoli Sarri ha creduto in me come trequartista. All’Eibar in Spagna ho giocato poco ma imparato tanto. A Carpi ero forse quello con più qualità, ma l’allenatore puntava su altri tipi di giocatori per salvarsi. Oggi ho un rapporto speciale con Donadoni, mi fa sentire la sua fiducia ogni giorno. Forse un po’ si rivede in me, ma lui era un gigante. Bologna è una piazza storicamente importante, ha vinto sette scudetti ma la gente ti lascia tranquillo, è sempre pronta a incitarti. Per la prima volta ho un legame così bello con il pubblico. Tranquillizzo tutti: ho un contratto fino al 2021, intendo onorarlo».Perché gioca con il 9?«Perché amo i numeri piccoli, quelli di una volta, e perché nasco punta centrale, anche se ora faccio la seconda punta o l’esterno d’attacco».Cosa fa fuori dal campo?«Lunghe passeggiate lontano dal caos, con la mia ragazza Laura, bolognese. Oppure guardo un film: commedia o horror, passione contagiata da mio cugino Luca. Sono un ragazzo umile e generoso, cerco di far sorridere gli altri intorno a me, perché solo così poi sono felice anch’io».Quanti tatuaggi ha?«Tantissimi. Molti sono dedicati al mio amico Manuel, morto d’infarto tre anni fa. Ho un’àncora sulla mano sinistra, quella che lui usava per scrivere. Una matrioska, che all’interno nasconde un’altra vita. Un cuore ferito da un pugnale. E una sua immagine, con una frase che dice: “La vita è un lampo di tempo fra due eternità”».