La Lettura, 5 novembre 2017
Sotto terra, tutti in fila. La Frontiera è in un tunnel
L’agente della Border Patrol ha trascorso notti e giorni a guardia del muro che divide Stati Uniti e Messico. Conosce canyon, sentieri, passaggi battuti dai clandestini che provano a entrare in cerca del sogno americano cioè, soprattutto, di lavoro. Arrivano dal Centro America, dall’India, dall’Europa orientale e dalla Cina. Tentano tutte le strade, le guardie sono l’argine. «Se intimiamo l’alt ai latinos, si sparpagliano cercando di far perdere le tracce. Se intercettiamo un gruppo di cinesi e diciamo di fermarsi quasi sempre obbediscono: non sanno dove andare, sono abituati alla disciplina, è più complicato per loro mescolarsi nell’ambiente circostante».
Piccole differenze di una realtà in evoluzione. I migranti cambiano strada, si adeguano – non hanno scelta – alle regole dettate da polleros e dai coyotes, trafficanti e «guide», esosi come pochi, senz’anima al pari dei narcos, con i quali sono in affari da quando i cartelli messicani hanno conficcato gli artigli nel racket dell’immigrazione. Per fare soldi sono pronti a tutto, persino a usare metodi fino a oggi riservati alla merce più preziosa: la droga.
Poche settimane fa è cambiato ancora una volta qualcosa su questa frontiera selvaggia. Nei pressi di Otay Mesa, a sud di San Diego, California, a pochi metri dalla rete, è stato bloccato un gruppo di illegali appena sbucato da un tunnel segreto. Una trentina, in stragrande maggioranza di nazionalità cinese.
Raccontiamo la storia perché è raro che le organizzazioni utilizzino le gallerie per far transitare migranti. Non capita mai o quasi mai, dicono gli esperti. I passaggi sotterranei sono costosi per i contrabbandieri – costruirne uno richiede «investimenti» superiori al milione di dollari – e di solito i cartelli li riservano alla marijuana, alla cocaina e alle pillole. Prodotti preziosi per le gang; prodotti di grande valore. Come, appunto, i migranti cinesi. Un guatemalteco paga fino a diecimila dollari di pedaggio ai banditi: mille di caparra, il resto all’arrivo. Cifre nettamente superiori a quelle degli anni Duemila: allora erano cento d’anticipo, tra mille e tremila a cose fatte. Un orientale – e qui sta la differenza – sborsa tra i 30 e i 70 mila dollari. Somma enorme perché sono molti i passaggi che gonfiano la «tassa»: i coyotes messicani a ridosso della muraglia, quelli che agiscono lungo le tappe intermedie del viaggio, il network asiatico di solito legato alle Triadi, le famiglie mafiose. Sì, perché il clandestino arriva qui da molto lontano, con giri tortuosi – aerei, autobus e pullman, barconi, vetture... Infine, nell’ultimo tratto, a piedi. I pellegrini di quest’odissea non sempre hanno il denaro sufficiente, così, per ripagare il debito, sono costretti a lavorare in condizioni proibitive finché non saldano i conti.
È andata così per una vita. L’immigrazione clandestina dalla Cina agli Usa è un capitolo antico. Operai arrivati da Oriente hanno contribuito alla costruzione della ferrovia americana, i minatori hanno sgobbato nelle viscere delle montagne, loro connazionali hanno aperto negozi, ristoranti e attività commerciali. Una comunità laboriosa spesso discriminata e violentata. Vennero persino messi al bando con una legge del 1882. Fu una pagina vergognosa che spinse gli asiatici a insediarsi nelle cittadine messicane di confine, a partire da Mexicali, dove realizzarono un labirinto di rifugi sotterranei nel quartiere La Chinesca. Seminterrati, passaggi nascosti, cunicoli per proteggersi. Da che cosa? Dal clima inclemente, dagli xenofobi, dalla legge. Fenomeno ripetuto in numerose località del Nord America, da San Francisco al Colorado. Nel West non sono pochi i villaggi-fantasma dove resistono le loro tombe, traccia del sacrificio nella conquista del Grande Paese.
Oggi vivono negli Stati Uniti circa due milioni di cinesi, il 10% illegali. Le vie battute da questi disperati sono infinite. I più fortunati bussano alla porta principale: gli aeroporti. Acquistano un passaporto falso, si comportano da turisti e rimangono trovando occupazioni saltuarie oppure sistemazioni garantite da conoscenti e da «mercanti». È praticata, in California e Texas, la tecnica della «nascita»: donne cinesi incinte volano negli Usa e partoriscono in cliniche compiacenti. Il figlio è americano di diritto.
È un’infiltrazione di solito lenta e paziente, che a volte conosce brusche accelerazioni. Nel giugno 1993 una gang fa arenare il cargo Golden Venture a Rockaway Beach, nel Queens, costa orientale. A bordo 286 illegali cinesi. Regista dell’operazione una donna leggendaria per molti connazionali: Cheng Chui, detta Sister Ping o «testa del serpente». Arrivata negli Stati Uniti nell’81, diventa dopo qualche anno il capo di una rete poderosa in grado di muovere centinaia di migranti, è dura e combattiva, ha la sua legge, ingaggia duelli con i rivali. Continua finché non l’arrestano: la condannano a 35 anni di galera. Espulsa e ricondotta nel suo Paese, muore di malattia nel 2014. Da quello sbarco – clamoroso – sono cambiate alcune cose. Ora è complicato spiaggiare un mercantile, Guardia costiera e Dogana vegliano; dunque è necessario trovare altri varchi. Con triangolazioni complicate. Abbiamo provato a seguirne tre.
Rotta uno. Molti cinesi del Fujian seguono una mappa che li porta prima in Europa, poi a Cuba (in aereo), da qui raggiungono a bordo di battelli la penisola messicana dello Yucatan, dove sono presi «in carico» da esponenti vicini ai cartelli per il trasferimento verso nord. In un paio di casi è anche emerso che i viaggiatori nella loro lunga marcia hanno toccato Roma prima del balzo, su un aereo, verso L’Avana.
Rotta due. Dalla Cina al Guatemala (oppure Paesi vicini), quindi verso il Messico.
Rotta tre. Una variante della precedente: invece del Centro America i clandestini virano su Paesi come Ecuador, Argentina, Brasile. Non sempre il cammino è spedito. Può accadere che i «profughi» siano costretti a soggiornare nei Paesi che attraversano. Aspettano documenti, passaggi buoni, il momento propizio. Intanto lavorano.
L’approdo intermedio è per tutti la «linea». Prima sono concentrati in luoghi di raccolta sul versante messicano, poi, una volta dall’altra parte, possono essere nascosti in una serie di case-rifugio tra Texas e Arizona. I trafficanti li tengono segregati con poco cibo e qualche bottiglia d’acqua. Spesso senza neppure il misero rancio. Devono aspettare che l’organizzazione pensi al passo successivo: la partenza per le grandi città americane. Ogni «gestore» di questi rifugi riceve circa 200 dollari alla settimana, più un bonus. Non di rado gli immigrati diventano ostaggi: i criminali cambiano tariffa in corso d’opera chiedendo più soldi. Parte così un negoziato con le famiglie, contattate al telefono oppure con la complicità di intermediari. Situazione che riguarda soprattutto i latini. Fonti citate dal «Washington Post» hanno rivelato che nell’ultimo anno nel solo Texas sono state scoperte 259 «case». Scovate con le indagini ma anche grazie alle soffiate. Lo Stato offre 2.500 dollari di ricompensa a chi fornisce l’informazione giusta.
Se tutto fila liscio i clandestini – cinesi o sudamericani, il sistema è uguale – sono divisi in nuclei: c’è chi è nascosto all’interno di un camion, chi «scavalla» il muro e chi ha la fortuna (e i bigliettoni) per passare «sotto», cioè – appunto – in una galleria. A fine marzo i doganieri statunitensi in servizio a San Isidro hanno fermato una Chrysler 200. C’era qualcosa di anomalo e hanno chiesto l’intervento dell’unità cinofila. Il cane è andato a colpo sicuro verso il bagagliaio: all’interno quattro cinesi. Durante l’interrogatorio hanno ammesso di aver versato all’autista 30 mila dollari. Ma non è finita qui. L’uomo al volante era il figlio del noto cantante messicano Pepe Aguilar. Evidentemente non gli bastavano i soldi del padre, una star. Qualche settimana dopo ecco la vicenda del tunnel. Che potrebbe indicare l’inizio di una nuova strategia. Da ottobre 2016 al maggio scorso sono stati catturati 700 cinesi, un dato clamoroso rispetto ai 5 del 2014 e ai 48 del 2015.
Con l’amministrazione Trump le autorità, oltre alla promessa di rafforzare la barriera, hanno accresciuto la deterrenza. Le minacce di rastrellamenti, gli arresti (più 33%) e l’aumento degli agenti hanno spinto le gang di trafficanti a maggiore prudenza. Poiché non sono disposti a mollare l’osso, devono inventarsi altri metodi. E con le Triadi cinesi – in particolare il Dragone Rosso – ci sono molte opzioni. I clandestini sono infatti soltanto uno dei «pezzi». I narcos importano precursori chimici dall’Asia, componenti essenziali per la realizzazione delle anfetamine; ma sono anche attivi nel business degli oggetti taroccati. Esistono allora buoni margini di intesa e nulla spaventa chi trae grandi guadagni. È già avvenuto in momenti difficili: inventano trucchi e alzano il pizzo. Se serve impiegheranno ancora le gallerie.
Dal 1990 sono stati scoperti almeno 224 tunnel, con due punti caldi. Nogales, in Arizona. Otay Mesa, in California. Nel primo quadrante sono favoriti da una serie di fattori. L’esistenza di una grande conduttura per l’acqua usata come appoggio per gli scavi: ci è stata anche «la Lettura», esplorando con gli agenti uno dei passaggi per poi sbucare alle spalle di un fast food. Un’enorme struttura al coperto, umida e buia, spesso con canali paralleli. La contiguità dei centri abitati – messicano e americano, letteralmente incollati – consente di realizzare «opere» corte con le bande costantemente alla caccia di case da affittare nei pressi del muro. La presenza di squadre di «minatori» con grande esperienza, arruolati dal cartello di Sinaloa, supera gli ostacoli logistici. Nel secondo caso, a Tijuana, li aiuta la composizione del terreno, la vicinanza dell’aeroporto internazionale che copre i rumori, l’esistenza di capannoni usati come punto d’uscita.
I dettagli tecnici aiutano a comprendere perché potrebbe essere davvero un affare convogliare i clandestini cinesi lungo la via sotterranea. E sembra di tornare al passato, ai segreti delle Chinatown d’America, con storie di sofferenza, speranza, angoscia. Questa è una partita dove non esistono regole, i giocatori sono disperati e più scaltri degli arbitri. Non finirà troppo presto.