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 2017  novembre 05 Domenica calendario

Lo Zecchino d’Oro festeggia mestamente le 60 edizioni

Ironie della storia. Il 1968 sarà ricordato non solo come anno cruciale, come l’anno della «contestazione giovanile», delle manifestazioni contro la guerra del Vietnam, delle occupazioni delle università, del più grande sommovimento politico, sociale e culturale del dopoguerra. No, sarà ricordato anche per alcune piccole cose, quelle che definiamo, con pacata indulgenza, la «quotidianità» delle nostre vite. Una di queste è lo Zecchino d’Oro: nell’edizione del 1968 presentò canzoni come Torero Camomillo, Il valzer del moscerino, Quarantaquattro gatti. Alzi la mano chi non ha mai cantato Quarantaquattro gatti ? «Quarantaquattro gatti, in fila per sei col resto di due, si unirono compatti, in fila per sei col resto di due, coi baffi allineati, in fila per sei col resto di due, le code attorcigliate, in fila per sei col resto di due…».
Se solo per un attimo cedo ai ricordi, mi rivedo a casa di un compagno di scuola, figlio di un dentista (a casa non avevo il televisore e non sapevo cosa volesse dire «24 pollici»), a mangiare pane e marmellata e a canticchiare «Carissimo Pinocchio, amico dei giorni più lieti…».
Dunque c’è anche una generazione che è stata Zecchino-dipendente e forse questa è una possibile chiave di lettura per chi un giorno avrà la bontà di stillare la lista dei nostri fallimenti. Tuttavia non si possono imputare al mago Zurlì colpe che sono esclusivamente di nostra pertinenza. I testi di quelle canzoni erano quelli che erano: Maddalena faceva rima con balena, Barbà, Cicci e Coccò son tre civette col paltò, cri, cri, cri fa la cicala notte e dì, da mezzanotte sino all’una i pupazzetti ammiran la luna. A ben vedere, non è che i testi di Mogol siano più esaltanti.
In passato, lo Zecchino d’Oro non ha mai combinato seri guai, i motivi erano molto orecchiabili e si cantava. È importante cantare nella vita. E pazienza se molti di noi sono cresciuti con il «parlar zurlese». Che è quello strano modo che hanno gli adulti di rivolgersi ai più piccini, immaginandosi una lingua artificiosa che non esiste. Artificio per artificio, meglio crescere con il «parlare zurlese» che con il «politicamente corretto».
Però qualcosa sul Mago Zurlì bisogna dirlo. Era il 24 settembre 1959 quando dal Teatro dell’Arte di Milano andò in onda sulla Rai la prima edizione dello Zecchino. Lui, il Mago, c’era già, era «Zurlì mago del giovedì». Pare sia stato Umberto Eco, allora giovane funzionario Rai della sede di Milano, a convincere Tortorella a passare in tv dopo aver visto la pièce teatrale Zurlì, il mago Lipperlì. La capacità, appresa al Piccolo di Milano durante i corsi di recitazione tenuti dal celebre mimo Lecocq, di comunicare con la gestualità più che con le parole, consentirono a Tortorella di entrare subito in sintonia con l’universo e il linguaggio dei piccoli. L’occasione della partenza fu il Salone del Bambino, che quell’anno s’ispirava a Pinocchio. Tortorella ideò la rassegna canora come una successione di momenti rievocativi della favola di Collodi. La trama fu affidata a Carlo Triberti – allora direttore del «Corriere dei Piccoli» – che scrisse una fiaba-varietà ispirata al racconto collodiano, con lo scopo di costituire un’ossatura per una rassegna-concorso di canzoni nuove per bambini, cantate da bambini e giudicate da bambini. Triberti divise lo spettacolo in tre parti per tre giorni: Pomeriggio di Mangiafuoco, Il gatto e la volpe, Il campo dei miracoli. Quello dove sarebbe dovuto nascere l’albero di zecchini. E, secondo il racconto, al termine della gara canora la canzone vincitrice avrebbe avuto in premio uno zecchino d’oro, staccato da quell’albero spuntato (in barba alla storia originale) dal campo miracoloso.
Ma alla terza edizione, siamo nel 1961, il concorso non si tiene più a Milano ma nel cinema-teatro dell’Antoniano di Bologna. «I responsabili del Salone non vollero proseguire perché, a parer loro, costava troppo. Mi trovai per caso a Bologna, incontrai i Frati dell’Antoniano che m’invitarono a fare lo Zecchino» (Cino Tortorella). I frati prima di accettare ci pensarono una settimana: «Se fosse una bella manifestazione, i milanesi di certo non se la farebbero scappare», pensavano. La direzione del coro fu affidata a Maria Rachele Ventre, detta Mariele. Era una parrocchiana diplomata al magistero e in pianoforte, desiderosa di dare una mano. Sognava di fare la concertista e di metter su una famiglia numerosa con almeno sette figli.
Nel 1976, sotto il patrocinio dell’Unicef, lo Zecchino diventa festival internazionale. Tra gli autori che hanno firmato i testi delle canzoni ci sono Fred Bongusto, Pino Daniele, Tata Giacobetti, Gorni Kramer, Augusto Martelli, Mogol, Paola Pitagora, Paolo Poli, Memo Remigi, Tony Renis, Virgilio Savona, Sandro Tuminelli e molti altri.
Nel 2008, lo Zecchino d’Oro è il primo programma televisivo al mondo a diventare patrimonio dell’umanità. L’Unesco consegna all’Antoniano di Bologna la targa in cui si attesta l’inserimento dello Zecchino nella lista del programma decennale Unesco «Patrimoni per una cultura di pace».
Tutte le volte che ci capita di assistere alla rassegna, però, monta la rabbia per come è stato dissipato il patrimonio della tv dei ragazzi, quel prezioso capitale che la Rai aveva sagacemente accumulato nei primi anni della sua vita. Con tutto il rispetto, 59 anni e 60 edizioni sono tanti, specie per una formula che sostanzialmente non si è mai rinnovata (era e resta l’ultimo scampolo di una tv arcadica, nonostante strani innesti, tipo Anna Falchi) e che, malgrado le buone intenzioni, continua a ricalcare l’idea di un Festival di Sanremo per bambini. Non c’è neanche più Topo Gigio, per questioni di budget. In origine, l’idea dello Zecchino era quella di rappresentare una festa, un gioco, una gara di canzoni e non di cantanti, ma è davvero ancora così? I frati canterini dell’Antoniano hanno ormai fatto della manifestazione un business; a fin di bene, dicono loro, ma sempre di business si tratta; i bambini sentono la presenza delle telecamere e si comportano come piccoli divi (magari spinti dalle ambizioni dei genitori); tutta la tv generalista è ormai piena di programmi fatti da bambini e il contagio è inevitabile.
Bisogna prendere atto che da tempo è finita la tv dei ragazzi perché è finito un rapporto privilegiato, quello attraverso cui la tv delle origini stringeva magicamente lo spettatore attraverso un vincolo di ingenuità e di stupore. La morale dello Zecchino insegna, a noi e ai frati, che le leggi dello showbiz non sempre coincidono con la cura delle anime.