Il Messaggero, 5 novembre 2017
Quell’inutile sentenza sull’eros di Baudelaire
Il 20 Agosto 1857, pochi mesi dopo l’assoluzione di Flaubert, la sesta sezione del tribunale di Parigi ospitò un’altra cause célèbre, sempre istruita dal devoto procuratore Ernest Pinard, che aveva trascinato in giudizio – senza successo – l’autore di Madame Bovary. Il compito era più facile, perché l’opera incriminata conteneva alcune poesie inneggianti all’amore saffico con vaghe divagazioni sadomaso. Quella raccolta sarebbe diventata la più incantevole, o comunque la più discussa, dell’Ottocento europeo. Oggi si studia (con cautela) nelle scuole, e il suo autore, Charles Baudelaire, è annoverato tra i massimi poeti della letteratura mondiale.
Baudelaire era quello che allora si chiamava un genio maledetto. Fumava l’oppio e celebrò, in pagine abbastanza prolisse, l’effetto dei paradisi artificiali. Viveva da bohemien senza rendite né impiego, dilapidando i denari di famiglia. Ce n’era dunque abbastanza per insospettire l’occhiuta polizia del Secondo Impero, sempre sensibile all’ordine morale e sociale. Quando alla sregolatezza si aggiunse il libertinaggio letterario la misura fu colma e Pinard, ligio esecutore governativo, decise di intervenire. Tra le tante poesie che costituivano la raccolta Les Fleurs du Mal il puntiglioso magistrato ne scelse sei.
IN AULA
Per la verità avrebbe potuto triplicarne il numero, perché di materiale frizzante ce n’era in abbondanza. Ma forse – ammonito dalla salutare assoluzione di Flaubert – preferì concentrarsi su quelle con il titolo più allarmante. La più significativa Lesbos è estremamente esplicita (..Vergini dal cuore sublime, il vostro amore riderà dell’Inferno e del Cielo..). Le altre sono più o meno sullo stesso tono. L’accusa fu, come al solito di pubblicazioni oscene. Inizialmente Pinard vi aveva inserito anche l’oltraggio alla religione, ma poi vi rinunciò.
LO SPLEEN
In effetti più che con la Chiesa, Baudelaire se la prendeva con il Padre Eterno, o meglio con la vita, fonte di quello spleen esistenziale che solo l’amore, il vino e la droga riescono precariamente a mitigare. Comunque fosse, il procuratore preferì procedere in modo selettivo. Il difensore, maitre Chaix d’Est-Anges, fu inadeguato e maldestro. Ancora una volta (come con Flaubert) sostenne la tesi che il poeta avesse dipinto il vizio per combatterlo meglio. L’imputato si irritò, chiese inutilmente di difendersi da solo, e comunque proclamò di rifiutare un giudizio penale sull’opera d’arte in genere, e sulla sua in particolare. I giudici sorrisero, lo condannarono a trecento franchi di ammenda, e disposero la distruzione delle sei poesie incriminate. Baudelaire chiese accoratamente all’Imperatrice la grazia e la somma fu ridotta a cinquanta: anche la trasgressione scende a compromessi economici. In compenso integrò la sua raccolta con 32 poesie nuove, che apparvero nelle edizioni successive. Quelle proibite, intanto, giravano liberamente nella clandestinità. Si dovette aspettare fino al 1949 perché lo scrittore fosse definitivamente riabilitato, con la pubblicazione integrale dell’opera. Ogni persona colta ne possedeva comunque una copia. Le classi più umili, e i loro rappresentanti, furono meno favorevoli: il loro idolo era Zola.
SENSIBILITÀ
Baudelaire in effetti non è né facile né accessibile a tutti. Alcune sue divagazioni sull’hashish e sulle fantasie sessuali possono turbare anche oggi qualche mente impreparata, e la sua sensibilità sociale si limita a una distaccata simpatia verso gli straccioni ubriachi. Tuttavia il suo genio è indiscusso, il suo fascino intrigante e il suo stile raffinato. D’altro canto le sue cosiddette perversioni sono vecchie quanto il mondo: meno disgustose dell’incesto delle figlie di Lot raccontate dalla Genesi, e meno pornografiche delle avventure di Oola e Ooliba nel libro di Ezechiele. I vizi della natura umana fanno parte integrante della Creazione, ed è ingenuo, oltre che inutile, proteggerli con una cortina di codici. Ma il devoto procuratore Pinard, che come molti cattolici non aveva letto l’Antico Testamento, era convinto del contrario, e i giudici gli diedero ragione. Le sei poesie incriminate furono destinate al macero. Per fortuna la Francia smentì il celebre detto di Heine che dove si bruciano i libri si finisce per bruciare anche gli uomini. A differenza di Hitler, Napoleone III si limitò a un piccolo falò di poesie, senza costruire i forni di Auschwitz: i dittatori temono chi incuriosisce i cervelli, non chi stimola le gonadi.
UN ERRORE
Tuttavia considerare Baudelaire un autore osceno non fu soltanto una mostruosità estetica e un errore giuridico. Fu la paralisi mentale di una magistratura miope anche nel suo asservimento al regime. Baudelaire costituiva davvero un pericolo: ma non per le sue tirate saffiche e le sue invocazioni blasfeme, ma perché iniziava quell’opera di corrosivo nichilismo che avrebbe dissolto i tradizionali valori e i consolidati pregiudizi. L’illuminismo del Settecento aveva demolito le certezze religiose, ma le aveva sostituite – o almeno ci aveva provato – con la fede nella ragione e nel progresso dello spirito umano. Così come, un secolo dopo, i positivisti e i marxisti avrebbero predicato il mito della solidarietà fraterna e della giustizia sociale. In Baudelaire non v’è nulla di costruttivo: i suoi relitti (les épaves) affondano nell’abisso dei piaceri effimeri, nella sessualità precaria, e nel torbido gorgo della droga. Ma questo disperato messaggio dissacratore è così seducente e insidioso da tentare anche i cuori più saldi e le menti più disciplinate. E molti caddero in questo tranello mortale. Dal decadentismo estetizzante, al dadaismo sterile, fino all’eresia futurista della guerra come igiene del mondo, gli eredi di Baudelaire hanno minato irreversibilmente le certezze di un una civiltà faticosamente costruita sulla logica greca e sulla morale cristiana. Ecco perché, davanti a un’offensiva così strategica, il povero procuratore Pinard sembra una figura tanto inadeguata e meschina. Come accade anche oggi, talvolta il magistrato vuole mirare alla luna e si limita a vedere il dito.