Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  novembre 05 Domenica calendario

Dalle rapine al traffico di rifiuti sempre nel nome dei Seferovic. «Ma non siamo tutti uguali»

ROMA «Adesso non possiamo più entrare in un bar che ci guardano storto: pensano che siamo tutti come Mario, che siamo suoi complici. Ma non è così, lui ha sbagliato e ora deve andare in galera». I ragazzi di via di Salone hanno le idee chiare e mettono le mani avanti. Con la storia del duplice stupro del Collatino non vogliono avere niente a che fare. Fra loro ci sono anche dei Seferovic, come il giovane arrestato dai carabinieri. Qualcuno dice che siano loro parenti, forse cugini, ma la famiglia dell’arrestato nega. «Non siamo tutti uguali – spiegano —, non siamo tutti dei santi, è vero, ma gli stupri sono un’altra cosa». La violenza sessuale sulle due quattordicenni ha però lasciato il segno in una comunità dove si cresce in fretta e a vent’anni si può essere già dei capi clan. 
Mai come negli ultimi undici mesi tuttavia il cognome Seferovic è finito sui giornali e alla ribalta della cronaca più cupa. Prima la tragica fine della studentessa cinese Zhang Yao, investita da un treno il 5 dicembre dell’anno scorso a Tor Sapienza mentre cercava di acciuffare gli scippatori che l’avevano derubata, seguita dall’arresto e dalla condanna a due anni di Serif Seferovic, 20 anni, e di Gianfranco Ramovic (un anno e mezzo), subito scarcerati dopo il patteggiamento. Poi la morte delle tre sorelline Halilovic, rimaste uccise il 10 maggio nel parcheggio di un centro commerciale a Centocelle nel rogo del camper dove dormivano con la famiglia: quattro Seferovic arrestati dalla polizia, fra loro sempre Serif. Adesso lo stupro della ragazzina adescata su una chat e della sua amica del cuore, con Mario Seferovic riconosciuto dalle vittime come il violentatore. 
Lui e gli altri tutti molto giovani, parte della seconda generazione di una gigantesca famiglia allargata che comprenderebbe circa 300 persone, e che – come hanno ricostruito le forze dell’ordine, anche nel corso di alcune indagini – è ormai arrivata quasi alla terza. 
Le cronache romane ricordano tuttavia alcuni Seferovic già nel campo simbolo dei nomadi romani, quello del Casilino 900, smantellato anni fa, dopo che per decenni ci avevano convissuto rom di etnie diverse, accampati in baracche e in condizioni igieniche al limite della sopportazione costruite su colline fatte di rifiuti e pezzi di carrozzeria, sotto le quali i vigili urbani trovarono anche oro e gioielli. Lo sgombero definitivo nel 2010 ha diviso i rami dei Seferovic in altri maxi-insediamenti. 
Dai censimenti svolti dalla polizia municipale e dal Comune – e prima ancora dalla Croce Rossa – risultano presenti soprattutto a Castel Romano (sulla Pontina), così come in quello di via Candoni (Magliana) e in via Salviati, proprio a Tor Sapienza. C’è poi il campo in via di Salone, fra Collatina e Tiburtina. Accertamenti di polizia e carabinieri hanno però dimostrato collegamenti con analoghe strutture in altre città, al Nord in particolare, e soprattutto a Torino. Lì, ad esempio, è stato rintracciato e arrestato Serif Seferovic. Ma in questo caso è stato scoperto anche dell’altro.
Le indagini della Mobile, coordinate dal pm Antonino Di Maio, sul triplice omicidio di Angelica, Elisabeth e Francesca hanno rivelato infatti l’esistenza di una faida nei campi romani – specialmente quelli di Salviati e della Barbuta – fra gruppi di Seferovic e alcuni Halilovic, per questioni di interessi soprattutto: in quel caso raccolta di metalli e ricettazione di gioielli. Settori, in particolare quello del rovistaggio, per il quale alcuni rom con lo stesso cognome di Mario sono rimasti coinvolti in indagini delle forze dell’ordine, come anche per lo smaltimento illecito di rifiuti (in discariche abusive sorte attorno ai campi, dove vengono spesso bruciate le guaine dei cavi di rame), i furti nei centri commerciali e qualche rapina nelle sale slot. Un mondo in fermento, con le condizioni delle famiglie rom che peggiorano negli insediamenti ma che fin troppo spesso finiscono in secondo piano, dietro scontri fra clan e vendette.