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 2017  novembre 05 Domenica calendario

Jenna Abrams, la costruzione di un falso (virale)

Scintillante coi suoi post sarcastici coi quali prendeva in giro Kim Kardashan per il suo abbigliamento pacchiano fino a finire nella hit parade dei 15 migliori tweet della settimana. Ma anche politicamente molto determinata sulla linea della alt-right americana, con tesi costruite per scioccare. Come la proposta di migliorare i rapporti interrazziali tornando alla segregazione: «Meglio per tutti, credetemi, lo pensano anche i neri». Ovviamente una fan di Trump, oltre che della bandiera dei confederati «perché la guerra di Secessione fu fatta per soldi, non per difendere lo schiavismo».
Comunicatrice penetrante e abilissima questa Jenna Abrams: una vera mattatrice dei social che dal 2014 ha alimentato polemiche in rete: discussioni alle quali hanno partecipato anche storici e personaggi dello spettacolo, perfino ambasciatori. E che sono state riprese da tutti i giornali, dal New York Times a USA Today. Salvo che la giovane e biondissima Jenna non esiste: è un altro troll russo. Un’altra geniale, raffinata invenzione della Internet Research Agency di San Pietroburgo, la fabbrica dei falsi usati da Mosca per infiltrarsi nella campagna elettorale americana e, più in generale, per seminare discordia e accentuare i conflitti che dilaniano l’avversario storico della Russia.
Le aziende della Silicon Valley che, pur riconoscendo la gravità delle infiltrazioni nelle loro piattaforme, continuano a minimizzare l’impatto del Russiagate, sono servite: nella loro mentalità ingegneristica contano il numero di tweet o di post su Facebook. Quanti followers, quanti like. Jenna di followers ne aveva 66 mila. Comunque non pochi. Ma quello che conta è la capacità psicologica mostrata da chi ha fabbricato Jenna, di costruire un personaggio credibile, capace di fare opinione, di alimentare dibattiti, molto al di là del suo seguito su Internet.
Colpisce soprattutto la capacità di imporre nel web un megafono che ha ingannato perfino l’ex ambasciatore americano a Mosca Michael McFaul che, pure, è un esperto di propaganda russa, nell’era sovietica e dopo. McFaul ha discusso online con lei senza sospettare nulla. Nemmeno Ironghazi, un troll americano che l’ha attaccata, ha minimamente sospettato di aver preso come bersaglio un altro troll.
Ma c’è anche un’altra cosa che colpisce in questa storia: la smaterializzazione delle nostre vite, la totale digitalizzazione della comunicazione è arrivata fino al punto di dare per scontato che si possano condurre lunghi dibattiti con qualcuno col quale non si è mai avuto alcuni contatto fisico. Mai un’intervista di persona, la partecipazione a un convegno, una foto, una telefonata.
Quante Jenna ci sono nel web? E cos’altro riusciranno a inventare in futuro i geniali manipolatori di piattaforme digitali che fin qui sono state prive di regolamentazione dello Stato e di controlli da parte di Big Tech? L’altro giorno Mark Zuckerberg, dopo aver festeggiato un aumento del 79 per cento dei profitti di Facebook, ha sospirato spiegando che in futuro le cose andranno meno bene perché mettersi a controllare quello che circola sulla sua piattaforma costerà caro. 
Non è mai troppo tardi? Forse stavolta lo è. E comunque aziende tecnologiche che dovrebbero essere all’avanguardia sembrano ora inseguire affannosamente i genietti malefici di San Pietroburgo. Lo ammette lo stesso presidente di Alphabet Google, Eric Schmidt, quando dice che la sua azienda sta facendo il possibile per correre i ripari, ma che lui è già preoccupato per le elezioni presidenziali del 2020, consapevole che i russi, nel frattempo, inventeranno qualcosa di nuovo.
Scenari preoccupanti per l’America: nessuno vuole, ovviamente, limiti alla libertà di comunicare, ma l’apertura e e la vulnerabilità della democrazia Usa la espongono ad azioni che somigliano a una guerriglia psicologica elettronica. Come nel caso, scoperto di recente, dei troll russi che, fingendosi attivisti statunitensi, hanno alimentato manifestazioni anti-islamiche in Texas diffondendo storie false sul progetto di una moschea e quindi incitando la gente alla rivolta.
Con Jenna è tutto molto più raffinato: un progetto coltivato pazientemente per raccoglierne i frutti a distanza di anni. E i progettisti di queste infiltrazioni non si sono di certo fermati al 2014. E neanche la tecnologia.