la Repubblica, 4 novembre 2017
L’assalto di Trump ai mercati dell’Asia ma la minaccia di Kim può favorire la Cina
«Pensa come un miliardario», «Nghi nhuu môt tý phú», strilla Donald J. Trump tra una biografia di Steve Jobs e una di Jack Ma dal bancone della libreria Trang Trien. Tra la Mela e Alibaba: poteva trovare collocazione migliore il presidente che il Vietnam si appresta ad accogliere a braccia aperte, ma con una mano tesa anche alla Cina? Il murale di Ho Chi Minh vigila sulla boutique di Christian Louboutin, lo stilistadelle scarpe dalle suole rosse, nelle vie del centro dove sfrecciare in Vespa è come rombare su una Maserati. Ma a mostrare un’anima divisa in due non è solo questo paese, tutto il continente tra pochi giorni celebrerà qui i primi 25 anni dell’Apec, l’associazione per la cooperazione economica, ospitando l’uomo che al grido di “America First” sta ritirando gli yankees da tutti i trattati.
«STORICO VIAGGIO»All’ultimo minuto ha deciso di fermarsi un giorno in più in questo “storico viaggio” (copyright suo) partecipando nelle Filippine all’Asean, il vertice dei paesi del sud-est. Ma chi ci crede? All’Asia Trump ha cambiato persino nome e la sua Amministrazione parla di «Indo-Pacifico»: per allargare il campo del Risiko, ipotizza il Washington Post, e svuotare le pretese egemoniche di Pechino. È questo l’interrogativo quaggiù: con l’America o con la Cina? Domanda da due milioni di morti: quelli che potrebbe fare in due giorni una nuova guerra, perché l’Indo-Pacifico sarebbe anche lo scenario del fungo atomico della Corea di Kim Jong-un, che rischia di approfittare della visita – dice a Repubblica l’analista indo- americano Ankit Panda – per «un paio di lanci». Dalla guerra di Corea al Vietnam e ritorno: la maledizione a stelle e strisce?Sembra un’ironia della storia ma è a Danang, l’ex base Usa della “sporca guerra”, che Trump terrà il discorso che disegnerà la nuova strategia dopo la “stracciatura” del Tpp, la Trans-Pacific Partnership, il trattato di libero scambio che doveva certificare il “pivot to Asia” pensato da Barack Obama per fermare il Dragone. Che dirà? Tutto dipende da come sarà andato l’incontro più importante, quello con Xi Jinping. Il nuovo Mao ha già lavorato gli americani alle corde ricevendo i signori della Silicon Valley che per il più grande mercato del mondo, 1 miliardo e 450 milioni di abitanti, farebbero follie: dal capo di Apple Tim Cook al guru di Facebook Mark Zuckerberg. Ed è un caso che lo yuan sia schizzato in alto? La rivalutazione del 5% non assorbe il 6,5% perso lo scorso anno ma azzera le accuse americane di ribasso per facilitare l’export. I dossier ruotano tutti attorno allo squilibrio commerciale che nel 2016 ha toccato il 3,5% e i 350 miliardi. Come finirà? «Il deficit va giù e gli investimenti cinesi in America aumentano», profetizza Michele Geraci, docente di finanza alla New York University di Shanghai. «Trump alza le tariffe ma Xi annuncia investimenti negli States soprattutto in infrastrutture». Una partita di giro e l’impegno a stringere su Kim: è fatta?IL PRIMO BRIVIDO A TOKYOL’incubo atomico ha premiato Shinzo Abe andato al voto con la promessa di ritoccare la costituzione pacifista. Il viaggio di Trump comincia domani proprio da Tokyo e l’antipasto offerto ieri da Ivanka non promette bene. La First Daughter era arrivata per promuovere un convegno sull’impegno delle donne sul lavoro – priorità dell’Abenomics – e a pontificare in pieno caso Weinstein sulle molestie in ufficio: ma la sala era semivuota. Altro segno del disamore? Quella giapponese dovrebbe essere la tappa più liscia per papà: tolto l’incontro con l’imperatore Akihito, c’è da chiedersi cosa potrà mai saltar fuori dal summit con Abe oltre all’annunciata disfida a golf e l’ultimatum a Kim. «Perfino la riforma della costituzione non stravolgerebbe un gran che», dice Kristin Surak, l’esperta di politica giapponese all’Università di Londra. «Ci sono già 40 mila truppe Usa: e cosa cambierebbe per la sicurezza dell’arcipelago?». Per l’arcipelago forse no: per l’arcigno Dragone sì. Vera ragione per cui i cinesi si danno una mossa sulla Corea che da loro dipende per il 90% del commercio. «L’incubo è che il nucleare di Pyongyang possa portare i giapponesi a costruirsi la Bomba», sintetizza Robert Lawrence-Kuhn, l’autore di Come pensano i leader cinesi e l’uomo che ai leader cinesi sussurra. «Ecco perché Kim è pericoloso: a quel punto anche la Corea del Sud potrebbe volere la sua». Il presidente Moon ha detto il contrario, ma questo fa parte del riavvicinamento a Pechino. Il sì al sistema antimissile Thaad voluto dagli americani è costato a Seul un boicottaggio cinese da 7,5 miliardi di dollari, cioè lo 0,5% del Pil. E Moon, che per riportare l’economia a crescere del 3% ha bisogno di loro, ha avviato l’ennesima trattativa su cui sorvolerà con Trump. «Le esercitazioni militari hanno trasmesso l’immagine del solidissimo alleato: in realtà Moon ha incaricato l’inviato per il Nord di tenere una linea così soft che per molti, qui, è implicitamente anti- americana», ti apre gli occhi Brian Myers, l’autore di quel La razza più pura che di questi tempi è il libro più letto al Pentagono. «Non credo che l’Amministrazione l’abbia bevuta. Ma il chiarimento avverrà a porte chiuse: in pubblico rivedremo le solite dichiarazioni di alleanza».L’ULTIMA SORPRESAL’ultima sorpresa potrà arrivare dall’ennesimo paese tentato tra Est e Ovest: le Filippine. E chissà lo show tra Duterte e il successore di quell’Obama che il presidente- sceriffo, 7mila morti nella guerra ai drogati, definì «figlio di». Anche don Rodrigo ha minacciato di mettere in gioco la secolare fedeltà agli Usa: «Sono cinese, mio nonno viene da lì», ha rivelato portandosi a casa 43 miliardi di dollari di investimenti e rimettendo nel cassetto la sentenza del tribunale dell’Onu che ha dato ragione alle Filippine contro le pretese cinesi sulle isole contese. «Ma Manila è nata come crocevia dei due mondi, il porto nel Pacifico che già 4 secoli fa faceva da smistamento tra i tesori della Cina e quelli del Nuovo Mondo», racconta Peter Gordon, l’autore di La via dell’argento: «Normale che oggi torni a giocare come potenza di mezzo». Potenza vera: la decima economia a crescere più velocemente e a ritmi da 7%. Motivo per guardare anche lì con apprensione alle scelte Usa: basteranno i trattati bilaterali a contrastare la Nuova Via della Seta da mille miliardi di dollari?È la stessa preoccupazione del Vietnam che si rimette a lustro per l’Apec. L’amore odio per i cinesi è risaputo. A comandare, come in Cina, sono i comunisti. Però le ferite della guerra del 1979, l’ultima di una rivalità millenaria, bruciano ancora: per non parlare della lite pure qui sulle isole contese. Obama l’anno scorso sbarcò a Hanoi, mangiando noodle per strada con lo chef-star Anthony Bourdain, per togliere l’embargo sulla vendita di armi: in chiave anticinese. E sempre in chiave anticinese i vietnamiti, che crescono anche loro del 7%, avevano scommesso sul Ttp ripudiato da Trump. Il premier Nguyen Xuan Phuc a giugno è volato a Washington per avere rassicurazioni: ma gli 8 miliardi di macchinari spesi lì sono poca cosa rispetto a un deficit commerciale di una trentina di miliardi. The Donald non presenterà certo il conto durante la visita. Ma dopo? No che non basta «Nghi nhum?tt?phú», «Pensare come un miliardario»: per contrastare il “Chinese Dream” chi non agisce è perduto nell’Asia dall’anima divisa in due.