Avvenire, 4 novembre 2017
Intanto in Siria e Iraq il Califfato resta senza terra
È una evidente perdita di terreno quella del Daesh in Iraq e in Siria avviata nel 2015. Due anni dopo la sconfitta militare di Abu Bakr al-Baghdadi e seguaci sembra aver ormai privato il Califfato della sua essenza stessa: il controllo di un territorio. Ma la disfatta militare del Califfato non è ancora quella del terrorismo jihadista.
Proprio ieri i media di regime siriani hanno annunciato la «liberazione» da parte delle forze di Assad di Deir ez-Zor. Altre fonti, non allineate con il regime, riferiscono di ultime sacche di resistenza nel capoluogo della provincia al confine con l’Iraq. Un vero assedio a tenaglia se nelle stesse ore le forze di Baghdad e le milizie alleate sciite del Risveglio popolare hanno ripreso il controllo del valico di al-Qaim, proprio al confine con la Siria e circa 150 chilometri a Sud Est da Deir ez-Zor. Dopo duri scontri, i terroristi sono fuggitidall’area. Il prossimo obiettivo dell’avanzata irachena sarà Rawa. «I membri di Daesh devono scegliere se arrendersi o morire», ha dichiarato il primo ministro iracheno, Haider al-Abadi, annunciando l’inizio di quella che sembra essere l’ennesima offensiva finale.
Di roccaforte in roccaforte espugnata dalle forze governative, il cosiddetto Stato islamico fondato con enfasi il 29 giungo 2014 dal califfo con il turbante nero nella moschea di al-Nouri – rasa al suolo la scorsa estate nell’assedio di Mosul – ormai non esiste più. Secondo la coalizione internazionale a guida Usa, il Daesh ha perso più del 96% del territorio che un tempo controllava in Iraq e Siria. Resta in mano ai jihadisti una esigua striscia di terreno sul confine iracheno e circa il 40% della provincia di Deir ez-Zor, ricca di petrolio.
L’ultimissimo rifugio dei milziani è ora al-Bukamal, a ridosso dal valico di al-Qaim. Ma questo non significa la fine del Daesh perché specialmente le terre del deserto dell’Ambar o di Diyala in Iraq sono terreni, per la loro endemica instabilità, molto vulnerabili al morbo jihadista. Resta poi il dilemma, incubo delle intelligence occidentali, della sorte degli oltre 40 mila foreign fighter ora di ritorno nei loro Paesi. Se un trasferimento del Califfato in altri scenari (Libia, Afghanistan, Yemen) pare poco probabile, la propaganda ancora attiva, la persistenza di finanziamenti illeciti e la libera uscita di elementi radicalizzati fa temere una ondata di attacchi urbani. Un Califfato senza terra, non sconfitto.