Il Messaggero, 4 novembre 2017
Cosa resta di Ostia, la Gomorra del litorale, dopo 26 mesi di commissariamento (e alla vigilia del voto)
Ostia, ufficio Commercio del Municipio, interno giorno: «Firma!», strilla un uomo alla funzionaria comunale. «Firma questa licenza oppure vedi cosa succede alla tua famiglia...». Non siamo però in una fiction di Netflix, è successo davvero. Lunedì scorso, nella sede del più grande distretto d’Italia mai sciolto per mafia, la violenza dell’intimidazione è sboccata come un rigurgito del passato. Sembra quasi che, a una manciata di giorni dal voto che farà uscire di scena i commissari e tornare i politici, qualcuno voglia ricordare ai travet del X distretto di Roma le vecchie abitudini. Del resto, quando i prefetti sono entrati negli uffici pubblici di Ostia, due anni fa, certi signori erano abituati a piazzarsi davanti alle scrivanie di geometri e impiegati e a scostare la giacca, per far vedere il calcio della pistola. Ora non succede più, ma le minacce arrivano uguale.
Forse non è la Suburra di film e serie tv, quella che ci ha abituato a scenografiche smitragliate tra le dune in stile Gomorra, ma è un blocco di potere che in 26 mesi di commissariamento ha perso terreno e ora vuole riprenderselo. Ora o mai più. Un viluppo di interessi criminali di cui ha parlato il procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, quando, nella recente lettera al Messaggero, ha ricordato la forza delle cosche del lungomare romano, quelle «famiglie senza alcuna derivazione dalle tradizionali mafie meridionali, ma ugualmente in grado di controllare il loro territorio». Una forza violenta e temuta, come si legge in almeno una decina di sentenze, due delle quali definitive, contro esponenti dei clan Fasciani e Spada.
DIPENDENTI TRASFERITI
Il Decimo, come chiamano in Campidoglio il municipio di Ostia, è un distretto di frontiera che gli impiegati pubblici scansano come una iattura. Basta pensare che negli ultimi due anni, su quasi 24mila dipendenti capitolini, solo in 3 hanno fatto domanda di trasferimento per gli uffici del litorale. Due erano dietiste. Si maneggiano dossier delicati e si toccano affari sporchi. Da quando è arrivata la commissione del Viminale, guidata dal prefetto Domenico Vulpiani, sono stati fatti ruotare 250 impiegati su 400, seguendo il solco tracciato dall’Anticorruzione di Raffaele Cantone. Un tecnico su due ha cambiato ufficio, quindi; una decina di dipendenti, invece, hanno dovuto proprio cambiare il municipio, via, in altri quartieri della città. Come se ne sono andati, ora, potrebbero tornare. Altri trasferimenti sono ancora aperti, come si dice in gergo, impantanati nella burocrazia capitolina. E dopo le elezioni, potrebbe non restarne traccia.
«Il ritorno delle cosche mi fa paura», ammette il prefetto Vulpiani, già capo della Digos di Roma poi direttore della Polizia Postale. I clan, racconta il commissario, non hanno mai smesso di controllare pezzi dell’economia di questo territorio che dal mare di Castelporziano si allunga fino a Dragona, 150 chilometri quadrati e 230mila abitanti. «Non basta qualche arresto per fermare certi affari». Come gli alloggi popolari di Nuova Ostia e Acilia, dove le famiglie criminali chiedono il pizzo e, dice Vulpiani, «stabiliscono chi ci deve stare e chi no». Su 6.400 case di edilizia residenziale pubblica sono calcoli del Municipio 2.800 sono occupate illegalmente. Case che si moltiplicano nel segno dell’abusivismo, come i garage trasformati in minuscoli appartamenti in spregio a qualunque regola edilizia, oppure i lavatoi diventati attici senza lo straccio di un’autorizzazione. Del resto fino a gennaio anche i tecnici del Municipio erano costretti a lavorare in negozi trasformati alla buona in uffici.
Ma la vera sfida è quella del mare, 18 chilometri di costa spacchettati in 71 mini-lotti in mano alle stesse famiglie di sempre. Prima di ritirarsi, Vulpiani vorrebbe firmare l’ultima riforma. Una tagliola sulle licenze dei balneari, che finirebbero decimate. Rimarrebbero solo 7-8 macro-concessioni e soprattutto metà del litorale di Ostia si trasformerebbe in spiaggia libera, togliendo metri e profitti agli stabilimenti. Il 40% delle costruzioni verrebbe buttato giù dalle ruspe. Una rivoluzione. Ma Vulpiani ha poteri limitati. Potrà al massimo firmare un atto di indirizzo. Sta a chi verrà dopo metterlo in pratica. Se vorrà e se ne avrà la forza. Per il momento, mentre un esponente della famiglia Spada fa il tifo su Facebook per i neo-fascisti di Casapound, i cassonetti bruciano a giorni alterni davanti alla sede del Municipio. L’assalto al fortino della legalità riconquistata. Vulpiani lo sa. «È un messaggio per noi. Vogliono dirci: ci siamo ancora».