Il Sole 24 Ore, 4 novembre 2017
Castelvetrano, il voto freddo nel feudo di Messina Denaro
Fuori dal Palazzo dei principi Tagliavia-Aragona-Pignatelli a Castelvetrano, che ospitò Garibaldi, si nasconde, chissà dove, il boss di Cosa nostra Matteo Messina Denaro.
Dentro quel palazzo nobiliare, sede del Comune, a meno di tre metri dalla stanza del commissario straordinario, ruba l’occhio e l’anima il ritratto di Paolo Borsellino, della cui morte il boss, secondo la Procura di Caltanissetta, è stato il mandante.
Questo contrasto aspro tra l’onnipresenza conclamata sul territorio di un fantasma che mangia mafia, potere e latitanza e la forza serena della legge esercitata dal giudice, fa i conti con l’indifferenza dei castelvetranesi verso il voto regionale di domani, 5 novembre.
Non che i candidati Governatori abbiano fatto più di tanto per scaldare l’attesa del voto e, in verità, neppure per darsele politicamente di santa ragione sui temi della legalità e della lotta a Cosa nostra e ai sistemi criminali integrati.
I candidati Governatori alla larga
A entusiasmare la folla della città il cui consiglio comunale è stato sciolto per mafia il 6 giugno di quest’anno, non è riuscito il candidato Governatore del centrodestra Nello Musumeci che il 27 ottobre ha avuto un incontro con la cittadinanza separato e distinto da quello tenuto, due ore dopo, dal candidato della sua coalizione Giovanni Lo Sciuto. All’apparenza separati in casa. Un evento atipico, quello di Musumeci, organizzato dall’imprenditrice Elena Ferraro, che però ha tenuto a precisare che non si trattava di una presentazione dei partiti della coalizione e che non erano previsti interventi di altre persone. L’imprenditrice ha dichiarato di aver invitato Musumeci «per il rapporto di amicizia che ci lega da tempo. E – ha aggiunto – vorrei restare fuori da dinamiche politiche cittadine che non conosco e di cui non saprei neppure parlare».
Questa atipica modalità di incontro-non incontro elettorale ha offerto facilmente a Claudio Fava (Cento Passi per la Sicilia) il destro per affermare di essere stato l’unico candidato Governatore a mettere la propria faccia e quella della propria candidata di Castelvetrano, l’ambientalista Lucia Titone, insieme sullo stesso palco. Neppure lui, però, il 31 ottobre, è riuscito a infiammare gli animi. Chissà, forse perché ha parlato di corda in casa dell’impiccato, ossia di Cosa nostra.
Gli altri principali candidati alla presidenza della Regione, Fabrizio Micari per il centrosinistra e Giancarlo Cancelleri (M5S), da queste parti non si sono proprio visti.
Eppure Micari il suo bel giro in provincia di Trapani lo ha fatto, per non parlare del candidato grillino, il cui tour elettorale è partito in estate e ha toccato centinaia di centri grandi, medi e piccoli. Castelvetrano, però, nella loro agenda non è entrata.
Senza trasporto elettorale
Questo paesone di oltre 31mila abitanti ha vissuto con poco trasporto questa campagna elettorale. Un’indifferenza, qua e là smossa da qualche incontro di candidati locali con la cittadinanza, che potrebbe sembrare la maggior forma di disprezzo verso le urne chiamate ad eleggere il nuovo Governatore dell’isola, eppure...
Eppure le dinamiche del voto di scambio che passano dalle cabine elettorali, non possono sparire d’incanto e ben lo sa il viceprefetto Salvatore Caccamo che, con Elisa Borbone e Maria Concetta Musca, dal 9 giugno di quest’anno reggerà per 18 mesi (almeno) le sorti del Municipio sciolto per mafia.
Per uno strano segno del destino questa tornata elettorale non registra solo lo scioglimento del consiglio comunale di Castelvetrano, ma anche quello di Corleone, in provincia di Palermo, disposto dal Governo il 10 agosto 2016. Come a dire che nei regni delle famiglia Messina Denaro e Riina non si muove foglia che i padrini di Cosa nostra non vogliano. E i Municipi non possono sfuggire, direttamente o indirettamente, alla regola.
Caccamo, che passa molte ore al giorno dentro una stanza al secondo piano di un palazzo che nulla fa per nascondere all’occhio del visitatore la nobiltà decaduta, dichiara al Sole 24 Ore che «non c’è fermento elettorale, nulla di visibile ma dal territorio si percepisce che qualche ambiguo meccanismo elettorale è stato messo in moto». Eppure...
Eppure, sempre a microfoni spenti e taccuini riposti, molti cittadini sottolineano un’altra faccia della caleidoscopica realtà locale: sono stufi di credere che le cose possano cambiare e, se proprio proprio devono scaldarsi, sono pronti a farlo per le elezioni amministrative, quando la terna prefettizia saluterà la città.
Su e giù per il corso
Prima di arrivare al Municipio, non si fatica a parlare con i castelvetranesi. Su e giù per il corso principale, se entri in un bar, ti fermi davanti alle vetrine di un comitato elettorale o ciondoli verso una delle logge che regolano la vita della provincia trapanese, incontri solo gentilezza e sorrisi.
Bene, pensi. È il momento giusto, in questo giro che casuale non è, di domandare cosa rappresentano Cosa nostra e la massoneria in questa cittadina che, come tutta la Sicilia, sarà chiamata al voto regionale. Senza taccuini, registratori e telecamere è una pacchia. Il cassiere del bar a due passi da un comitato elettorale ti dice che la mafia, qui, la tagli nell’aria. Ma va... Allora, prego, trascrivo. Un sorriso e sei congedato.
Esci dal bar e ti fermi davanti al faccione sorridente di un politico immortalato in un santino elettorale. Fai lo gnorri e chiedi se è vero che è chiacchierato. Certo che lo è, ti risponde quello che all’apparenza potrebbe essere un bancario, un geometra o un maestro. Comunque, alla vista, una persona distinta e perbene, come la maggioranza delle persone di questa città. Oltre che la voce, pensi, ci metterà la faccia. Macché.
Giri i tacchi e la loggia che punti è a pochi passi. Ti fermi e cerchi di capire se è vero quanto ha scritto il 24 maggio l’allora prefetto di Trapani Giuseppe Priolo al ministro dell’Interno, Marco Minniti. In una relazione di ben 31 pagine sulla situazione del Comune di Castelvetrano, già a pagina due si legge che «…venne in luce la elevata presenza di iscritti alla massoneria tra gli assessori (quattro su cinque), tra i consiglieri comunali (sette su trenta) e tra i dirigenti e i dipendenti comunali in un ambito territoriale, quello di Castelvetrano, nel quale veniva segnalata la presenza di ben sei logge massoniche sulle 16 operanti nell’intera provincia». Un comune Dom, a Denominazione di origine massonica. Dio solo sa quant’è stato facile fermarsi a parlare amichevolmente sotto una loggia. Allora, registriamo? Arrivederci e grazie.
La sfiducia avanza
Nessun biasimo per la gente che sorride e ti licenzia. Provateci voi, o il cronista che leggete, a vivere a Castelvetrano e a parlare senza tener conto che, qui come in gran parte del sud (e non solo) si vive in un clima di democrazia sospesa. O di “stato” nello Stato, fate voi. Non è omertà, che pure non manca in tanti. Per la massa è sfiducia. Anche nei confronti dei giornalisti.
Così non resta che camminare verso il Municipio. Il primo volto che si incontra è quello di una commessa che chiede di riempire e firmare un foglio precompilato nel quale spieghi chi sei e perché vuoi essere ricevuto dalla Commissione straordinaria. Finora sono state inoltrate circa 100 domande, a testimonianza del fatto che se lo Stato c’è, i cittadini provano a bussare alle sue porte.
Parola al commissario prefettizio
Davanti alla stanza del commissario straordinario, fino a pochi mesi fa abitata dal sindaco, spendi due ore a fissare a farti fissare sottecchi da un dipendente che da oltre 20 anni si vede rinnovato, al massimo ogni 12 mesi, il contratto di lavoro.
Dopo due ore dallo sguardo si passa alla parola. È la volta buona, pensi. Questo parla. Parla, ma è lui che si fa dare nome, cognome e testata, avuta la certezza che sei un giornalista. Il suo profilo resta avvolto nel mistero di un volto (precario) delle Istituzioni, che ti racconta di come il tempo abbia infarcito di raccomandati il Comune e di quante facce non raccomandabili abbiano varcato la sua soglia.
Finalmente parola al commissario. «La situazione è complessa – spiega Caccamo – perché ho riscontrato un apparato burocratico deficitario con assenza di figure apicali. Una situazione incancrenita senza erogazione dei servizi se non attraverso una selezione dei servizi stessi».
Tutto qui? Magari. Impossibile dispiegare uno strumento finanziario per fare programmazione. Il bilancio trovato, spiega Caccamo «è inesistente o quanto meno fittizio. È come se fosse in atto il dissesto, con una posizione debitoria di oltre sette milioni e a fronte di questo nulla è stato fatto perché finisse quella politica di assistenzialismo che la politica ha praticato attraverso contributi, sussidi e sostegni di altra natura. Tutte le concessioni edilizie e i permessi a costruire sono stati rilasciati sulle zone di inedificabilità assoluta. È il segnale tangibile di una politica che ha voluto creare favoritismi. È chiaro che i provvedimenti che la Commissione adotta stanno toccando interessi sensibili». Minacce, però, finora nessuna.
Garibaldi, in una lettera da Caprera del 13 ottobre 1866, scrisse: «Pantaleo è la personificazione del progresso italiano, morale e materiale». Frà Giovanni Pantaleo, patriota e cappellano dei Mille, era nato a Castelvetrano il 5 agosto 1831. Come può la Sicilia onesta tollerare che la sua nobile figura sia oscurata nella storiografia patria da un mafioso nato a Castelvetrano il 26 aprile 1962, latitante da quasi un quarto di secolo?
Neppure questa ennesima elezione saprà dare una risposta.
.Guardie o ladri
roberto.galullo.blog.ilsole24ore.com
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Quinto e ultimo di una serie di articoli I precedenti sono stati pubblicati sul Sole 24 Ore del 17, 24, 27 e 31 ottobre