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 2017  novembre 03 Venerdì calendario

Ma il terrore non ferma i maratoneti di New York

“NYC stronger”. La scritta ondeggia, mossa dal vento leggero, insieme all’arco di palloncini sulla ciclabile della strage. «In realtà la maratona non passerà da qui, ma siamo venuti a vedere dov’è successo tutto. Sono da poche ore a New York è ho già capito cosa significa veramente quello “stronger”». Franz Rossi, quarantenne milanese, è alla sua trentaquattresima gara in giro per il mondo e come altri cinquantamila runner ha preparato meticolosamente, giorno dopo giorno durante gli ultimi cinque mesi, l’appuntamento con la maratona per antonomasia. Quasi nessuno ha rinunciato dopo la notizia dell’attentato. Sono arrivati tutti. Con gli italiani come tradizione numerosissimi, una rappresentanza tra i partecipanti seconda soltanto alla comunità americana.
Eccola, dunque, l’emozione di ogni volta alla vigilia dei 42,195 chilometri. «Ma oggi sento che c’è qualcosa in più. Me ne sono accorto stamattina mentre, allenandomi al Central Park, incrociavo lo sguardo degli altri podisti e dei newyorkesi a passeggio. E poi la gentilezza quasi esagerata dei volontari alla consegna dei pettorali…». Quel qualcosa in più è l’idea di trasformare la maratona in un messaggio di pace e di libertà. Un riscatto della normalità. “Stronger”. Più forte del terrorismo e della paura. Era già successo sedici anni fa, il 4 novembre 2001, quando il serpentone multicolore dei runner dilagò nella Grande Mela appena due mesi dopo l’attacco alle Torri Gemelle: “United we run” gridavano gli striscioni e le bandiere lungo la strada, uno slogan ripetuto dai milioni di spettatori sui marciapiedi e alle finestre delle case di Staten Island, Brooklyn, Queens, Bronx, Manhattan, Central Park. Divenne il marchio di una maratona memorabile, silenziosa solo nel passaggio sul ponte di Verrazzano mentre quel melting pot di razze in pace tra di loro, correndo guardava il vuoto lasciato dal crollo del World Trade Center nello skyline di Manhattan.
Magari, quest’anno, toccherà a “NYC stronger”. “Stronger”, come il titolo del film sulla tragedia e la rinascita dell’uomo che ha perso le gambe nell’attentato al traguardo della Maratona di Boston del 2013. Anche lì la paura uscì sconfitta dalla forza dello sconfinato popolo dei runner che, un anno dopo, segnò il record di iscritti per la competizione della capitale del Massachusetts, la più antica al mondo.
«C’è grande tranquillità, tutto sembra sotto controllo – dice Alessandro Bertani, pure lui a New York per correre – i controlli della polizia sono molto discreti. Ma ci sono. Certo, correremo con un sottile filo di preoccupazione, ma è più forte la voglia di andare avanti. Nonostante tutto». E Alessandro di tensione se ne intende, perché è il vicepresidente di Emergency: «Ecco, anche questa volta la maratona dimostra tutta la sua forza. Una metafora straordinaria, perché se anche io e, come me, migliaia di persone normali possono correre per oltre 42 chilometri, allora tutto è possibile. Anche fermare le guerre». E non potrebbe essere altrimenti per uno sport ispirato alle gesta di Filippide, «il guerriero ateniese senza armi e corazza – ha scritto un tempo Giorgio Bocca – che annuncia alla polis la salvezza. Non lo sterminio dei nemici ma la salvezza delle spose, dei genitori, dei figli».
Domenica il democratico popolo dei runner, che non conosce distinzioni di razza, sesso o religione, da New York urlerà al mondo l’ennesima vittoria sulla paura: «Da casa ci telefonano per sapere che cosa succede qui, che aria tira – racconta ancora Franz -. Beh, correndo penseremo anche all’attentato, ma quando scambieremo l’high-five con i bambini del pubblico avremo riconquistato la normalità. La normalità di una grande festa».