Corriere della Sera, 2 novembre 2017
La pista uzbeca e il precedente di Istanbul
L’inchiesta sulla strage di Manhattan rilancia la pista uzbeca. Sayfullo Saipov era in contatto con alcuni connazionali arrestati nel 2015 negli Stati Uniti. Volevano raggiungere il Califfato ma si erano detti pronti a uccidere Obama se qualcuno gli avesse dato l’ordine. All’apparenza la polizia non aveva trovato indizi sul futuro killer.
Gli estremisti uzbechi sono attivi da lungo tempo. Nel 2008 un’indagine in Olanda, Francia e Germania ha individuato un network qaedista con radici profonde nei santuari afghani e pachistani. I militanti, alleati dei talebani, si sono in seguito spaccati in diverse fazioni. Una, guidata da Usman Ghazi, ha aderito nell’agosto 2015 al Califfato, ma forti scontri ne hanno compresso la stessa esistenza. Un’altra componente ha trovato spazio, invece, nel conflitto siro-iracheno.
Due mujaheddin uzbechi facevano parte del commando coinvolto nel massacro all’aeroporto di Istanbul, nell’estate 2016. Ancora un uzbeco ha condotto l’attacco di Capodanno nella città sul Bosforo. Stessa nazionalità di Rakhmat Akirov, il rifugiato che ha ucciso numerosi pedoni nel centro di Stoccolma usando un camion, e dell’uomo che ha piazzato una bomba nel metrò di San Pietroburgo (aprile).
Cellule e individui hanno utilizzato per comunicare sistemi criptati. Sarà interessante capire se anche Saipov, radicalizzatosi – dicono – negli Usa, fosse in contatto con qualche referente Isis. Di certo ha applicato alla lettera le istruzioni diffuse dalla rivista «Rumiyah»: uso del mezzo a noleggio, presenza di armi secondarie, rivendicazione.