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 2017  novembre 02 Giovedì calendario

Il petrolio ai massimi spinge le Borse

Nuovi record di prezzo per il petrolio e per i metalli industriali – con il nickel a livelli che non si vedevano da due anni e lo zinco da dieci – hanno regalato ulteriore slancio alle borse di tutto il mondo, in una seduta segnata dall’attesa per la riunione della Federal Reserve, che come previsto ha lasciato invariati i tassi di interesse Usa, e soprattutto per i dati di bilancio di alcuni fra i grossi calibri del settore tecnologico, quali Facebook (che ha pubblicato la trimestrale ieri sera, ma dopo la chiusura) e Apple (i cui risultati sono invece previsti oggi).
Al traino dei titoli minerari e petroliferi (i cui sottoindici Stoxx hanno guadagnato rispettivamente il 2,7% e lo 0,9%) l’Europa ha toccato i massimi dal 2015. La spinta si è vista soprattutto a Francoforte (+1,78%, sostenuta anche dal settore auto, dai chimici e dai tecnologici) e anche a Milano (+0,9%) dove si sono messe in evidenza Saipem (+5,3%) ed Eni (+1,3%), ma anche Fca (+2,1%). Più cautela invece a Parigi (+0,2%), Londra (-0,07%) e Madrid (-0,16%). Dopo aver registrato l’ennesimo record storico in apertura, Wall Street ha prima rallentato sulle incertezza che circondano l’attesa riforma fiscale targata Trump per poi accelerare di nuovo dopo il responso Fed.
La riunione di ieri, da parte sua, ha in realtà portato con sé pochi elementi di novità: il mercato è ancora convinto di un rialzo dei tassi a dicembre (evento al quale i valori dei future sui Fed Funds assegnano una probabilità dell’87%) e si concentra più sul nome del successore di Janet Yellen, ieri alla penultima riunione, alla presidenza della Banca. «Continuiamo a pensare che assisteremo a un ulteriore aumento di 25 punti base a dicembre – conferma Antoine Lesné, responsabile Emea della strategia di Spdr Etfs – ma anche che la direzione futura dei rendimenti dipenda dall’annuncio del prossimo numero uno della Fed».
Anche per questo forse ieri i Treasury non hanno registrato movimenti rilevanti, con il decennale al 2,37 per cento, e anche il dollaro ha mantenuto sostanzialmente le posizioni poco sopra 1,16 nei confronti dell’euro. Oggi, sempre in tema istituti centrali, sarà la volta della Banca d’Inghilterra, che potrebbe essa stessa procedere a una stretta monetaria per la prima da dieci anni. Sul versante obbligazionario è invece da rilevare l’ulteriore riduzione dello spread BTp-Bund, sceso a quota 142: minimi da un anno e 15 punti in meno da quando venerdì scorso S&P ha migliorato il rating dell’Italia per la prima volta dal 2002.
Tornando alle materie prime, il petrolio Brent – che venerdì scorso aveva riguadagnato quota 60 dollari al barile – si è spinto fino a 61,70 dollari, aggiornando il massimo da due anni. L’americano Wti ha invece varcato la soglia dei soglia dei 55 dollari, ma soprattutto – sia pure brevemente – ha finalmente seguito il riferimento europeo e il Dubai nella condizione di backwardation, in cui il prezzo a pronti è più elevato di quello per il greggio con consegna differita: una struttura di mercato che non si osservava dal 2014, quando il prezzo del barile volava oltre 100 dollari, e che dovrebbe dare un’ulteriore accelerazione allo smaltimento delle scorte petrolifere. Queste peraltro stanno già calando da mesi a un ritmo sostenuto, anche negli Usa, come confermato ieri dalle statistiche Eia.
Washington non ha mai esportato tanto greggio: la settimana scorsa ha inviato all’estero 2,13 milioni di barili, una quantità paragonabile all’export del Kuwait, che ha ulteriormente svuotato gli stoccaggi (-2,4 mb). Anche le scorte di carburante sono intanto diminuite, di 4 mb nel caso delle benzine e di 0,3 mb nel caso dei distillati.