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 2017  novembre 01 Mercoledì calendario

Le due cupole di piazza del Popolo hanno colori diversi

Trova le differenze. Due cupole – date da secoli per gemelle – di colpo non lo sono più. Roma, Piazza del Popolo, spalle all’obelisco: sulla sinistra, c’è la Chiesa di Santa Maria in Montesanto; sulla destra, la Chiesa di Santa Maria dei Miracoli. Sono tornato a osservarle da vicino, nella luce grigia di fine ottobre – e in effetti non c’è dubbio: la prima cupola ha una tinta che dà sul giallo, l’altra dà sull’azzurro. Il passato, così ingombrante a Roma, in teoria dovrebbe star fermo. Stavolta, in pratica, qualcosa dimostra il contrario. Com’è possibile? La simmetria fra Santa Maria in Montesanto e Santa Maria dei Miracoli risale al tardo Seicento, ed è parziale: la pianta non coincide (una è ellittica, l’altra circolare), ma alla mano magica del solito Bernini si devono gli espedienti ottici per apparentarle. Basta comunque pescare a caso una fotografia di qualche anno fa, per avere la prova dello stesso colore delle due cupole. A questo punto, la differenza mette in crisi: qual è il colore “giusto”? Il giallo-crema o la tinta ardesia? A detta della Soprintendenza, quest’ultima: per via delle formelle di lavagna poste su entrambe le cupole dall’architetto Carlo Fontana a fine diciassettesimo secolo. Difficile capire come il restauro finito prima – Santa Maria in Montesanto – abbia un risultato impreciso; mentre quello più recente – Santa Maria dei Miracoli, ancora coperta dai ponteggi – offra la versione corretta. Povere ex gemelle! Nei lavori sulla prima chiesa, i fondi non sono bastati a eseguire il trattamento per ripristinare il color ardesia. Messa in sicurezza la volta, giù i ponteggi, e amen. Sarà per la prossima volta. Mentre per la seconda chiesa – restauro iniziato nel novembre del 2015; «data presunta fine lavori», come si legge sul cartello, 15 gennaio 2018 – i fondi disponibili o la fortuna hanno consentito alla cupola di non cambiare look. E ora? Committente – il Vicariato di Roma – e impresa promettono di rimettere a posto la parentela fra cupole. Quando? La misura di Roma, si sa, è l’eterno. E l’aspetto vagamente comico della vicenda riguarda proprio il rapporto con il tempo. Un presente approssimativo, quando non sciatto e pasticcione, sempre a corto di mezzi, si prende cura del passato, ma finisce per manometterlo. Lo costringe a cambiare faccia, a non somigliare più a sé stesso. Per carità: la storia dell’urbanistica è fitta di correzioni improprie, di ripensamenti e sventramenti, di affronti alla filologia, di manie (anche legittime) di grandezza dei moderni a scapito degli antichi. Non è questo il caso; e forse non si tratta nemmeno di un vero e proprio errore di restauro. Qualche anno fa, fece il giro del mondo – ovvero dei social – l’immagine di un affresco spagnolo raffigurante Gesù Cristo, maldestramente restaurato da una parrocchiana ottantenne in una cittadina dalle parti di Saragozza. L’Ecce Homo di un minore del tardo diciannovesimo secolo era stato letteralmente sfigurato dal pennello incauto della pensionata. Ma si trattava di un’impresa fai da te. Operazioni di restauro ben più sofisticate – lo sa anche uno studente al primo esame – presentano sempre ampi margini di rischio. E che una tinta appaia infine diversa, è frequentissimo: tanto più se e quando il lavoro di archeologia del colore ha funzionato. Nel caso delle due chiese di Piazza del Popolo, sembra piuttosto un piccolo, gigantesco gesto di sbadataggine. Gemelle da più di tre secoli, erano tali anche quando Goethe – duecentotrentuno anni fa esatti, proprio il 1° novembre del 1786 – metteva piede a Roma. Annotò che solo dopo essere entrato in Piazza del Popolo, ebbe «la certezza di poter godere Roma». Ma ora quella stessa certezza – fra le pochissime rimaste a residenti e turisti (e perfino gratuita) – vacilla e cambia colore. La domanda è lecita: se nessuno avesse fatto caso alla fresca differenza fra le antiche cupole, zitti zitti, le lasciavamo così? Roma – dicono voci proverbiali – si abitua a tutto. Anche a un glorioso passato che, senza dare troppo nell’occhio, si presenta trasformato da mattina a sera? Che storia. Uno si aspetta che, una volta tanto, cambi qualcosa nel presente, e invece – guarda te – cambia nel passato.