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 2017  novembre 01 Mercoledì calendario

I falliti del Medio Evo dovevano girare con un cappello verde

Nella nuova disciplina del diritto fallimentare a cambiare sarà anche il lessico: il fallimento non si chiamerà più «fallimento» ma «liquidazione giudiziale». E si tratta in realtà di una novità culturale, più ancora che lessicale e formale. L’intenzione del legislatore sembra chiara nel voler eliminare o attenuare lo “stigma” sociale e morale derivante, nel senso comune, dalla circostanza di essere falliti, come se il fallimento fosse un’onta per l’imprenditore. In effetti, questo è ciò che insegna la Storia, se è vero ad esempio che nel medioevo i falliti dovevano indossare un cappello verde per essere riconoscibili da tutti; ed è ciò che insegna anche la pratica quotidiana, se è vero che la crisi è spesso vissuta come un male da nascondere piuttosto che come una situazione da gestire. Non a caso, le domande di fallimento in proprio (vale a dire: presentate dall’imprenditore stesso) sono ipotesi rare. Ora, il legislatore vuole invece restituire al fallimento una dimensione più fisiologica, anche dal punto di vista della percezione estetica: la crisi deve essere interpretata come una semplice eventualità nella quale un imprenditore può incorrere.
necessaria la domanda 
Oltre al nome, moltissime altre cose cambieranno, tra le quali in primo luogo le norme di accesso alla procedura. Per esempio, dovrà essere abrogato il fallimento d’ufficio, con la conseguenza che il fallimento, o meglio la liquidazione giudiziale, potrà conseguire solo ad apposita domanda; e dovrà essere introdotto un unico modello processuale di accertamento dello stato di crisi, cui dovrà essere assoggettabile ogni categoria di debitori, dall’imprenditore commerciale di qualunque genere, ai consumatori, al professionista (esclusi solo gli enti pubblici). Ciò significa che la liquidazione giudiziale, nel prendere il posto del fallimento, riguarderà anche coloro che fino ad oggi ne erano esclusi, e dunque anche gli imprenditori non commerciali (i cosiddetti debitori civili), i quali attualmente possono accedere alla procedura di composizione della crisi prevista dalla legge n. 1 del 2012 (assimilabile più a un concordato che a un fallimento), che a sua volta risulterà assorbita dalla nuova disciplina. In ogni caso, permarrà una differenza tra debitori e debitori, perché il legislatore delegato dovrà prevedere procedure diverse in relazione alla qualità soggettiva di ciascuno: secondo i casi, la procedura dovrà avere carattere conservativo o liquidatorio, da un lato, e concordato o coattivo da un altro lato. Ma non solo. Verrà anche meno qualunque riferimento alle soglie dimensionali dell’attività d’impresa: semplicemente, anche in questo caso la disciplina dovrà essere diversa nelle singole situazioni (secondo che il “profilo dimensionale” risulti inferiore o superiore a certi parametri dati).
costi e durata 
In secondo luogo, il legislatore delegato dovrà assicurare la riduzione della durata e dei costi delle procedure, anche attraverso “misure di responsabilizzazione degli organi di gestione e di contenimento delle ipotesi di prededuzione”, oltre che attraverso una più razionale distribuzione delle competenze fra i tribunali presenti sul territorio.
le regole del gioco 
In terzo luogo, quanto alle regole di svolgimento della procedura, la nuova disciplina dovrà ispirarsi a princìpi di maggior efficacia e funzionalità: per esempio dovrà garantire al curatore il potere di accesso alle pubbliche amministrazioni e alle banche dati (secondo quanto già previsto, del resto, dal cosiddetto decreto Banche del 2016), al fine di esercitare le azioni di recupero nei confronti dei soggetti verso i quali la procedura abbia ragioni di credito; dovrà escludere l’operatività di esecuzioni speciali, quali quelle fondiarie; e dovrà far decorrere il periodo sospetto, in relazione alle azioni revocatorie e di inefficacia, a ritroso non dall’apertura della liquidazione ma dalla domanda che ne ha fatto richiesta. 
l’accertamento del passivo 
In quarto luogo, anche il sistema di accertamento del passivo e le operazioni di liquidazione dell’attivo dovranno ispirarsi a regole di maggior funzionalità. Quanto all’accertamento del passivo, per esempio attraverso la fissazione di preclusioni già nella fase monocratica, davanti al giudice delegato, oppure la previsione di “forme semplificate per le domande di minor valore o complessità”. Quanto alla liquidazione dell’attivo, attraverso l’affidamento del riparto al curatore (fatte salve le opposizioni) o l’incentivazione di proposte di carattere liquidatorio da parte dei creditori o dei terzi o dello stesso debitore.
Ma sono moltissime altre ancora le novità previste, in relazione a ciascuna fase della procedura. L’elemento comune a quasi tutte sembra consistere nel fatto che, nella maggior parte dei casi, la legge delega si limita a fissare princìpi generali, che potrebbero essere riempiti di diversi contenuti, secondo l’impronta che il legislatore delegato vorrà dare alla nuova disciplina.