Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  novembre 01 Mercoledì calendario

Nel nome del Padre del Figlio e del mercato

Il filosofo greco Diogene di Sinope (sì, quello che viveva nella botte e che disse ad Alessandro Magno di togliersi dai piedi perché gli oscurava il sole) non aveva una grande concezione del mercato, definito come «un luogo appartato dove gli uomini possono ingannarsi l’un l’altro».
Questo atteggiamento malfidato verso l’economia di mercato e i mercanti si è mantenuto nei secoli successivi e solo grazie agli illuministi scozzesi come David Hume e Adam Smith si è diffusa la consapevolezza che l’egoismo individuale poteva essere benefico per l’interesse collettivo attraverso l’eterogenesi dei fini rappresentata dalla famosa mano invisibile. Però, per lo meno nella cultura cattolica e più tardi in quella secolarizzata socialista, il libero mercato ha continuato a essere visto o come un «luogo», per dirla alla Diogene, di sfruttamento o, al massimo, come uno strumento di efficiente allocazione delle risorse, tuttavia separato dalla moralità. Nonostante i teologi di Salamanca e l’etica protestante un po’ idealizzata da Max Weber, in generale il comportamento moralmente commendevole non è mai stato considerato quello di chi produce, compra e vende beni e servizi.
Nell’ambito della Chiesa cattolica, poi, nel XVIII e nel XIX secolo il liberalismo è stato prima avversato tout-court e solo con papa Leone XIII si è tentato alla fine dell’800 quel sincretismo che va sotto il nome di «dottrina sociale della Chiesa». Papa Francesco ultimamente, invece, prende frequente posizione contro la globalizzazione che uccide, il mercato, il dio denaro e ogni altro genere di mostro materialistico. 
Ecco perché il libro di padre Robert Sirico, sacerdote paolino e presidente dell’Acton Institute, A difesa del mercato. Le ragioni morali della libertà economica, in uscita per Cantagalli (pp. 259, € 17), si fa notare. Padre Bob per la verità è un tipo originale. Cresciuto a Brooklyn negli Anni 50 e 60, si trasferisce successivamente in California e comincia a frequentare gli ambienti della sinistra radicale. Diviene attivista per i diritti gay e amico di Jane Fonda che cortesemente rifornisce di marijuana quando è a secco; partecipa a ogni sit-in e manifestazione di protesta possibile; abbandona la Chiesa cattolica e si fa «evangelico sperimentale»; sogna una rivoluzione che renderà tutti uguali e metterà chiunque in condizione «di fare shopping da Gucci». A un certo punto però inizia un processo di maturazione (involuzione, secondo i suoi vecchi amici) che prima lo porterà a indossare la tonaca e poi a diventare uno dei più eloquenti e conosciuti fautori dell’economia di mercato all’interno della Chiesa.
Il presupposto da cui parte padre Bob per certi versi è geniale. «Dio è il primo “imprenditore”, il modello di tutta l’imprenditorialità, il creatore che è generoso nella sua creatività», scrive nel suo libro. E la dottrina del peccato originale «non ci permette di immaginare che ci sia un gruppo di eletti incorrotti cui potere affidare un potere politico incontrollato». Se questa visione teologica ribalta molte teorie egalitaristiche che si sentono in ambito cristiano, essa è adottabile anche da chi è laico. L’ateo o l’agnostico o il semplice teista ritiene che se l’uomo non è immagine di Dio, sia allora fallibile, corruttibile, limitato e perciò, sempre come scrive padre Sirico, non si può presupporre che «i burocrati, i pubblici ufficiali e i politici – essendo privi del peccato originale degli affari – siano concepiti come esseri immacolati e non soggetti alle tentazioni o inclini agli errori».
Il libro si articola in capitoli ciascuno dei quali affronta un argomento specifico: l’assistenza sanitaria, il welfare, l’ambiente (il modo migliore per difenderlo è assegnare chiari diritti di proprietà), l’imprenditorialità, la distruzione creatrice e così via. In ognuno di essi si argomenta, con abbondanza di esempi e di riferimenti bibliografici, come le soluzioni lasciate al mercato e alla cooperazione tra individui siano non solo più efficienti per l’economia, ma efficaci nel combattere le cause della povertà materiale e spirituale.
Una lettura a parte merita la lunga introduzione scritta per l’edizione italiana. Da questa si evince la grande ammirazione che padre Bob aveva per Giovanni Paolo II (cui si riferisce come il Grande) e la perplessità (eufemisticamente parlando) che gli suscita Bergoglio. In primis, Sirico ricorda ed enfatizza un pilastro dottrinale: quando discetta di economia il Papa non parla ex cathedra, la sua è un’opinione come altre. In secondo luogo, il Pontefice spesso afferma proposizioni che si basano su dati empirici inesatti (quelli relativi alla povertà o agli effetti della globalizzazione, per citarne due): che ci stanno a fare i suoi consiglieri? Dovrebbero aiutarlo meglio, anche perché, ricorda con una certa arguzia l’intraprendente sacerdote, «Francesco stesso ha detto non solo di non avere esperienza nelle discipline economiche, ma pure di avere “una grande allergia all’economia”». Amen.
Presidente The Adam Smith Society