la Repubblica, 1 novembre 2017
Di cosa si parla a Sofia. La disobbedienza dei top gun
Difendere la patria e i suoi cieli è dovere di ogni pilota militare. Ma ogni pilota militare è anche un essere umano, pensante, e sa che volare su un ferrovecchio arrugginito può essere letale. In Bulgaria, per la prima volta a memoria di cronache in un paese membro della Nato, i top gun non vogliono volare. Non minacciano certo di disobbedire a eventuali ordini di decollo su allarme rosso, ma di quei ferrivecchi non ne possono piú. Cari politici, sono anni che promettete invano, decidetevi infine a dotarci di caccia moderni, all’altezza dei tempi, sicuri, hanno detto in pubblico alla base di Graf Ignatievo, punto-chiave della difesa aerea bulgara. Qual è il problema? Semplice: anni e anni dopo l’ingresso nell’Alleanza atlantica, la forza aerea bulgara continua ad avere solo 16 decrepiti e mal tenuti MiG 29 russi di vecchie versioni e una ventina di cacciabombardieri Sukhoi 25, non in miglior stato. Manutenzione pessima, guasti continui, niente pezzi di ricambio. I politici da anni hanno promesso di spendere 770 milioni di euro, ma da un governo all’altro, indecisi tra nuovi modelli, non hanno poi ordinato un solo jet. Né i Gripen svedesi in dotazione a Cechia e Ungheria, né gli F-16 blocco 52 americani, punta di lancia dell’aviazione polacca. Nulla. Hanno comprato solo pochi motori di ricambio per i MiG 29, ma sono in pessime condizioni. E allora i piloti non stanno piú al gioco, e tocca agli altri paesi Nato garantire la difesa aerea bulgara.