la Repubblica, 1 novembre 2017
Da Bergamo a Comiso così la gara dei sussidi fa volare le low cost
MILANO Gli aeroporti italiani hanno pagato circa 1,2 miliardi di euro in 10 anni (150 milioni solo nel 2016) per dribblare la crisi Alitalia – accelerandola e attirare sulle loro piste l’Eldorado volante delle compagnie low-cost. Le regole d’ingaggio del patto aereo sono chiare: Ryanair & C. impongono la legge del più forte. Se decidono di volare su uno scalo possono cambiare i destini di un intero territorio portando turismo e lavoro. Se stracciano un contratto lasciano in eredità solo macerie. Gli azionisti delle società di gestione – spesso pubblici – hanno così poca scelta: o aprono il portafoglio o rischiano di chiudere i battenti.
Il sussidio ha tanti volti ed è quasi sempre ben nascosto nelle pieghe dei bilanci dei gestori: alcuni lo camuffano da marketing pubblicitario, spese per valorizzare il turismo locale; altri lo catalogano come “costi per lo sviluppo di nuove rotte”, la formula più gettonata per aggirare i dubbi della Ue. Spesso si tratta di agevolazioni striscianti sotto forma di sconti alle tariffe per la gestione dei bagagli e dei servizi a terra.
Il risultato finale però è lo stesso: questa valanga di aiuti ha cambiato radicalmente l’identikit del trasporto aereo nazionale: nel 2004 solo 6 milioni di passeggeri – il 6% del totale viaggiava a bordo di aerolinee a basso costo. Oggi sono 81 milioni il 49,5% del traffico nei cieli italiani. E la vittima sacrificale di questa metamorfosi è stata Alitalia, stritolata sui voli a breve e medio raggio dalle offerte della concorrenza.
Alcuni aeroporti hanno ormai legato mani e piedi il loro destino a quello delle low-cost. Bergamo Orio al Serio è l’esempio più eclatante di come funziona questa formula magica. Nel 2000 faceva viaggiare 1,2 milioni di persone. Poi ha iniziato a sovvenzionare Ryanair (solo nel 2016 ha pagato alle low-cost 33 milioni) e ha fatto boom. Ad agosto di quest’anno ha fatto volare più viaggiatori dell’intero 2000 e ormai è saldamente il terzo scalo italiano per volumi di traffico, con 8,3 milioni di passeggeri nei primi otto mesi 2016 di cui nove su 10 viaggiano a basso costo. Il gioco vale la candela? A giudicare dai suoi conti, ampiamente in attivo malgrado la “tassa” low cost, si direbbe di sì. Il meccanismo funziona anche per Torino, Bologna (che spende 24 milioni l’anno per sviluppo traffico) per gli Aeroporti della Puglia – 14 milioni di aiuti finiti pure sotto inchiesta della Procura – e per quelli della Toscana.
La droga dei vettori a basso prezzo ha finito però in qualche caso per trasformarsi in un boomerang: Trapani, dove Ryanair garantiva il 96% del traffico, ha rinunciato proprio ieri di firmare un accordo di co-marketing con la società irlandese dopo un lungo braccio di ferro che aveva portato alla cancellazione di tutti i voli. La Regione Sicilia ha messo a disposizione 6 milioni per il rinnovo e ora il futuro di Birgi è in bilico. In condizioni non troppo differenti si trova Alghero, finita nel mirino di Bruxelles in passato per le decine di milioni pagati in passato a Dublino.