Corriere della Sera, 31 ottobre 2017
Nella partita dei collegi cresce il Nord Minniti, Romani e Giorgetti in contatto
ROMA Prosegue la luna di miele tra le forze che hanno scritto il Rosatellum. Dopo aver superato la prova del Parlamento, si sono messe a lavorare di comune accordo alla ridefinizione dei collegi elettorali, che è l’aspetto più delicato del nuovo sistema di voto e anche quello più temuto dai candidati: dal modo in cui saranno disegnati i collegi, potrebbe dipendere infatti il risultato locale. E la loro sorte. Il compito formalmente spetta a una commissione tecnica del Viminale, e una norma del Rosatellum ne delinea il quadro d’intervento. Ma siccome un meccanismo tecnico può avere una forte influenza politica, i partiti si sono portati avanti.
Lo dimostrano i contatti tra il titolare dell’Interno e i dirigenti di Forza Italia e della Lega incaricati di seguire il dossier: fonti autorevoli descrivono un clima di «grande collaborazione» tra il ministro Minniti, il capogruppo azzurro Romani e il vice segretario del Carroccio Giorgetti. Il lavoro di «rimodulazione» è facilitato dal fatto che si è adottata come base di partenza l’impianto del Mattarellum: i collegi verranno modificati solo se in quell’area sarà stato registrato uno scostamento di popolazione superiore al venti percento.
Ed ecco il problema. Il Mattarellum risale al 1993, mentre l’ultimo censimento – preso come riferimento – è del 2011. Per effetto del fenomeno migratorio dal Sud verso Nord che si è registrato in Italia, alcune regioni perderanno dei seggi: la Sicilia, per esempio, dovrebbe perdere un eletto e la Basilicata due, mentre Lombardia e Piemonte dovrebbero aumentare di due. Se così fosse, sarebbe necessario ridisegnare i collegi in quelle zone. E la politica ha interesse a sapere come.
Nei colloqui riservati e informali dev’esser stato sottolineato che il centrodestra potrebbe teoricamente avvantaggiarsi dalla nuova distribuzione, se è vero che – tra il serio e il faceto – il leghista Giorgetti ha detto a Minniti: «Fate come volete, tanto al Nord vinciamo noi». Ma un conto sarebbe vincere le elezioni, altra cosa garantirsi una maggioranza parlamentare. Per raggiungere l’obiettivo, secondo calcoli elaborati nel centrodestra, la coalizione dovrebbe puntare a «quota 40%» nel proporzionale e conquistare così oltre il sessanta percento dei collegi uninominali. Altrimenti, per formare un governo, dovrebbe trovare degli alleati alle Camere: impossibile in quel caso immaginare un comune «piano B» per Berlusconi e Salvini.
Lo si capisce dalle parole del leader leghista: la sua idea di chiamare «eventualmente» Grillo per un accordo testimonia un progetto simmetrico e contrario a quello del Cavaliere, che vede nei Cinquestelle il «nemico» e tesse invece le lodi del «dinamico» Gentiloni, prefigurando uno scenario di larghe intese. Non conta il «niet» pronunciato da Di Maio: la sfida è tutta interna al centrodestra, è anticipatrice di quella che sarà una durissima trattativa sulla divisione dei collegi tra i partiti della coalizione ed è il segnale che lo scontro proseguirà anche in campagna elettorale.
In fondo Salvini ha ribadito quanto già affermato in estate. Allora a colpire era stata semmai la sortita dell’azzurro Toti, che – dopo il voto tedesco – oltre a pronunciare il de profundis delle larghe intese Cdu-Spd, aveva detto: «Quando i Cinquestelle avranno trovato la loro dimensione, sarò pronto a dialogare». Un’eresia per il Cavaliere. Ma il governatore ligure è ancora oggi convinto che «per ricostruire il bipolarismo serve sfidare i grillini al confronto, per sterilizzarli e poi assorbirli. Puntare sulle larghe intese alimenterebbe invece la loro crescita».
È una strategia di medio-periodo che va oltre Berlusconi e che perciò non piace a Berlusconi, impegnato a vincere il derby con la Lega nelle urne e perciò pronto ad accogliere sotto le insegne di Forza Italia il progetto della lista civica dell’ex ministro Costa e la Democrazia cristiana di Cesa. Ma in prospettiva al Cavaliere potrebbe non bastare il rilancio sul nome di Tajani come premier per tenere unito il partito e rassicurare il politburo del Ppe, dove attendono di verificare se davvero – come Berlusconi ha promesso – riuscirà a «tenere a bada» Salvini.