Gazzetta dello Sport, 31 ottobre 2017
I collaboratori di Trump si consegnano all’Fbi. Il Russiagate potrebbe demolire il Presidente?

Ieri, quando a Washington erano le 8.15 di mattina, Paul Manafort, ex manager della campagna presidenziale di Donald Trump, e il suo collaboratore ed ex socio in affari Rick Gates, si sono consegnati all’Fbi. Un modo per evitare le manette. I due sono accusati di dodici reati, che includono frode fiscale, riciclaggio e cospirazione contro gli Stati Uniti. Entrambi si sono dichiarati «non colpevoli» e ora sono agli arresti domiciliari con cauzioni. Le cauzioni sono state fissate rispettivamente in 10 e in 5 milioni di dollari. È il primo grande colpo della cosiddetta inchiesta sul Russiagate.
• Non ricordo bene, cos’è questo Russiagate?
È un’indagine giudiziaria che riguarda le interferenze del governo russo nel corso delle ultime elezioni americane, la presunta collaborazione tra il governo di Vladimir Putin e il comitato elettorale di Donald Trump, e gli ipotetici tentativi dello stesso Trump di ostacolare l’indagine. Queste presunte collusioni avrebbero avuto lo scopo di danneggiare Hillary Clinton che, come sicuramente ricorderà, è stata la candidata democratica nella corsa verso la Casa Bianca. L’indagine è condotta dal procuratore speciale Robert Mueller, nominato dopo che Trump licenziò il capo dell’Fbi James Comey.
• E ieri cosa è successo?
Secondo il quotidiano New York Times, che ha pubblicato sul proprio sito le 31 pagine dell’atto d’accusa ufficiale, nel 2016 Manafort avrebbe partecipato a un incontro con alcuni personaggi legati a Mosca, i quali promettevano rivelazioni compromettenti su Hillary Clinton. L’ex capo della campagna elettorale di Trump, stando alle accuse, «usava la ricchezza nascosta all’estero per godere di uno stile di vita lussuoso negli Stati Uniti senza pagare le imposte su quei redditi». Tra il 2006 e il 2017 attraverso società di comodo Manafort avrebbe riciclato 18 milioni di dollari. È proprio questa l’accusa più grave che dovrà fronteggiare, insieme al suo socio Rick Gates. I due rischiano fino a 80 anni di carcere. Non poco.
• Ma questo Manafort chi è?
Origini italiane, 68 anni, titolare di una potente società di lobbying vicina al partito repubblicano. Nel marzo dello scorso anno era stato assunto da Trump come consigliere per la gestione della Convention. Dopo tre mesi era diventato il manager della campagna, ma alla fine di agosto fu costretto alle dimissioni, quando si scoprì che aveva ricevuto diversi milioni di dollari per il lavoro svolto per alcuni politici ucraini legati alla Russia. Il suo posto era stato preso da Steve Bannon. Ma l’affare Manafort non è l’unico guaio di giornata per il presidente americano. George Papadopolous, ex consigliere politico della campagna di Trump, si è dichiarato colpevole per aver reso false dichiarazioni all’Fbi proprio nell’ambito delle indagini sul Russiagate. Papadopoulos, che ora sta collaborando con l’indagine, ha ammesso di aver incontrato esponenti del governo russo in campagna elettorale per parlare di come danneggiare Hillary Clinton. Le ricordo che, da quanto emerso finora, sappiamo con certezza che anche il figlio del presidente, Donald Jr, ha incontrato emissari del Cremlino durante la campagna elettorale e che, sempre in quei mesi, Donald Trump chiese pubblicamente alla Russia di hackerare la posta elettronica della Clinton per trovare le email che aveva cancellato quando era segretario di Stato nel governo Obama. Stando a quanto da lui stesso ammesso, Papadopolous ha mentito alle autorità lo stesso giorno in cui il presidente disse all’ex capo dell’Fbi James Comey (che poi licenziò) che voleva la sua fedeltà.
• Trump ieri cosa ha detto?
La sua reazione è arrivata, ancora una volta, via Twitter: «NO COLLUSION!», «Nessuna collusione!», scritto tutto maiuscolo. Trump ha definito «roba vecchia di anni» le accuse mosse a Manafort. Il suo avvocato, Jay Sekulow, ha assicurato che il presidente «non interferirà con l’indagine del procuratore speciale» e che «non ha intenzione di licenziare il procuratore Mueller». E ancora: «Perché la corrotta Hillary e i democratici non sono il centro dell’attenzione?????». La linea difensiva di Donald Trump è che i crimini contestati non lo riguardano e non hanno a che fare con la presunta collusione con la Russia durante la campagna presidenziale. Se Manafort finirà in cella, è una vicenda che riguarda solo i suoi comportamenti personali, tenuti prima delle elezioni. Trump avrebbe solo commesso l’errore di affidarsi al consigliere sbagliato.
• È una linea difensiva che regge?
Mah. È difficile pensare che Trump non sapesse nulla di tutto questo, mentre Manafort gestiva la campagna elettorale che lo avrebbe portato alla Casa Bianca. Inoltre il periodo incriminato va dal 2006 al 2017, e dunque riguarda anche i tre mesi in cui ha guidato la campagna elettorale di Trump, contrariamente a quanto dichiarato via Twitter dal presidente, che ha parlato di fatti precedenti alla campagna. Infine, l’incriminazione di ieri potrebbe essere solo il primo passo, che il procuratore Mueller intende usare per raccogliere informazioni sullo stesso presidente americano. Per evitare la prigione, infatti, Manafort potrebbe accettare di rivelare altri particolari sulla campagna, capaci di allargare l’inchiesta e avvicinarla allo stesso Trump o alla sua famiglia.