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 2017  ottobre 30 Lunedì calendario

Dal Gattopardo alla Primavera palermitana. Così l’Isola è diventata laboratorio politico

Alla fine, nemmeno i Cinquestelle ce l’hanno fatta a resistere. E persino loro, che vorrebbero portare aria nuova in Sicilia, si sono fatti sedurre dal luogo comune su cui scivolano tutti i parvenue del continente quando sbarcano sull’isola, mettendosi a parlare nei loro comizi di «laboratorio politico siciliano», di «rivoluzioni che da qui sempre iniziano» (Luigi Di Maio) e addirittura di «regione dove è possibile sperimentare, mentre altrove non hanno fantasia, non hanno idee» (Beppe Grillo). È una leggenda che agli elettori in fondo piace perché contiene una dose di lusinga mischiata, come in tutte le adulazioni, a calcoli interessati. Il calcolo M5S è che una vittoria domenica prossima farebbe da apripista alle elezioni politiche. Se i grillini riuscissero a conquistare Palazzo dei Normanni, significherebbe che il vento soffia impetuoso dalla loro parte. Verrebbero indicati non solo a Palermo ma in tutta Italia come i probabili nuovi inquilini di Palazzo Chigi. Insomma: sarebbe una grossa ipoteca sul futuro. Ma nel passato è sempre andata così? Aveva ragione Goethe due secoli fa, quando avvertiva i posteri che «in Sicilia si trova la chiave di tutto»? Era nel torto Sciascia nel sostenere che «il cammello della democrazia italiana ha nella cruna siciliana uno dei passaggi essenziali per il suo futuro»?
Per dimostrare l’esistenza di un «laboratorio» capace di precorrere i tempi, vengono puntualmente citati alcuni casi. Partendo da quello singolare di connubio tra sinistra e destra, passato alle cronache del 1958 come “milazzismo” (dal nome del personaggio che meglio lo incarnò, Silvio Milazzo). Qualcuno ci volle scorgere i segni di una tendenza a isolare e sconfiggere la Democrazia cristiana, che tuttavia sopravvisse agli uccelli di malaugurio e restò altri 35 anni indisturbata al potere. L’altro esempio di “premonizione” risale al 1961, con il primo governo di centrosinistra nato in Regione con un paio d’anni di anticipo sui tempi immaginati da Fanfani e dai socialisti per il governo nazionale. La storia ebbe a ripetersi nel 1976, quando i politici siciliani sperimentarono il “compromesso storico” di cui si percepiva già nell’aria forte il profumo. Difficile stabilire se fu un moto spontaneo, o se qualcuno a Roma cercasse cavie per le giunte con il Pci. Forse un po’ e un po’. Siamo comunque nel regno delle alchimie, degli apprendisti stregoni, delle formule di potere.
Altra cosa è domandarsi se la Sicilia in qualche caso abbia sprigionato energia contagiose per il resto del paese, forze positive in grado di rinnovarlo. La risposta è sì, almeno una volta è successo: nella “Primavera palermitana” a fine Anni 80, quella del riscatto morale e della guerra anti-mafia, che spianò la strada a Mani Pulite e alla seconda Repubblica. Fu un momento alto e drammatico, che alcuni protagonisti pagarono caro. Ripeterlo sembra retorica. Ma è l’unico vero”laboratorio politico” di cui la Sicilia può a buon motivo rivendicare un copyright. Il resto è Gattopardo.