30 ottobre 2017
APPUNTI SU CATALOGNA E PUIGDEMONT PER LA GAZZETTA DELLO SPORT
FRANCESCO OLIVO, STAMPA.IT 30/10 –
Carles Puigdemont è in Belgio. Ufficialmente per una riunione con i partiti fiamminghi, ma il viaggio assomiglia a una fuga, vista la denuncia ricevuta oggi dalla procura generale spagnola. Con lui tutti cinque membri del governo catalano destituito. Puigdemont dovrebbe comparire nelle prossime ore per una conferenza stampa nella sede della Generalitat di Bruxelles. Secondo le prime indiscrezioni l’ex presidente chiederà l’asilo politico al Belgio.
La Repubblica catalana, a tre giorni dalla proclamazione, sembra già svanita nel nulla. Sul tetto del Palau della Generalitat sventola ancora la bandiera spagnola. Ha avuto effetto la sospensione operata dal governo spagnolo venerdì scorso. Niente resistenza, ma tanta incertezza, i funzionari non sanno dove stanno i loro capi, né in cosa consista il commissariamento di Madrid. Quello che è molto più chiaro è l’ambito giudiziario, la partita più complessa per i leader indipendentisti.
Puigdemont è stato ufficialmente denunciato dalla procura generale per ribellione, sedizione e malversazione. Solo per il primo di questi reati rischia fino a trent’anni di carcere. Stesse accuse per la presidente del parlamento (sciolto da Rajoy) Carme Forcadell. Non è stata chiesta la carcerazione preventiva, ma gli indagati dovranno pagare una cauzione di 6,2 milioni di euro. Pena sequestro dei beni personali.
Per ora soltanto il responsabile del Territorio, Josep Rull, si è presentato stamattina in ufficio. Una foto postata su Twitter e poco più. Il ministro degli interni spagnolo Zoido si mostra compresivo: «Possiamo passare nelle loro sedi per recuperare i beni personali». Dopo di che dovranno intervenire i Mossos d’Esquadra, la polizia catalana, anch’essa controllata da Madrid, dopo la cacciata del maggiore Trapero.
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ILSOLE24ORE.COM 30/10 –
Denuncia per ribellione, sedizione e malversazione nei confronti del presidente della Catalogna Carles Puigdemont - che nel frattempo è volato in Belgio - e la numero uno del Parlament catalano Carme Forcadell. Denunciati anche i ministri del Governo e i parlamentari per aver permesso la dichiarazione d’indipendenza. Questa la mossa della procura generale dello Stato spagnolo dopo quanto avvenuto scorso venerdì. Incriminazione, dunque, ma nessuna richiesta di arresto, almeno per ora. Lo ha annunciato il procuratore José Manuel Maza nel corso dell’attesissima conferenza stampa tenutasi a Madrid sui risvolti giudiziari della crisi politica catalana. La denuncia contro Puigdemont e i ministri è stata presentata davanti alla Audiencia Nacional di Madrid, quella contro Forcadell e l’ufficio di presidenza, che sono ancora coperti dall’immunità parlamentare, davanti al Tribunale supremo. Per esigenze di finanza chiesto sequestro cautelare di beni per un importo stimato in 6,2 milioni.
La «fuga» a Bruxelles
L’ex presidente catalano si trova oggi a Bruxelles insieme con altri membri del governo destituito da Madrid per incontri con i nazionalisti fiamminghi. Lo ha confermato alla tv Sexta il ministero dell’Interno spagnolo, secondo quanto scrive La Vanguardia online. «No comment» del portavoce del premier belga Charles Michel. Ieri il segretario di Stato belga all’immigrazione Theo Francken aveva ipotizzato un asilo politico per Puigdemont. Il partito di Francken, l’N-VA, fa parte della coalizione di governo, e il premier Charles Michel in serata è dovuto intervenire per escludere l’ipotesi dopo la reazione irritata di Madrid. In precedenza Puigdemont aveva pubblicato una foto su Instagram in cui lasciava intendere di essere presente nel Palazzo della Generalitat mentre in realtà era già in volo per il Belgio. Il leader indipendentista - che qualche compagno di schieramento non esita a definire «in esilio» - da quello che si apprende rilascerà una dichiarazione soltanto domani. Nel frattempo la tv spagnola La Sexta sostiene che Carles Puigdemont e cinque suoi consiglieri intendono chiedere l’asilo politico al Belgio.
La presidente Forcadell, intanto, questa mattina ha preso atto ufficialmente del fatto che il parlamento catalano «è stato sciolto» e ha annullato la convocazione della riunione settimanale domani dell’ufficio di presidenza. Il viaggio di Puigdemont in Belgio «non preoccupa», in ogni caso, Madrid. Lo hanno detto fonti del ministero dell’Interno spagnolo a La Vanguardia, precisando che quello che oggi contava davvero è che non si presentasse al Palau de la Generalitat.
Gli indipendentisti si candideranno
Cominciano intanto a delinearsi gli schieramenti in vista delle elezioni del 21 dicembre. I partiti indipendentisti, da quello che si comprende, correranno. Lo Pdecat di Puigdemont parteciperà, come ha annunciato la segretaria Marta Pascal. «Ci presenteremo alle elezioni per difendere le istituzioni e contro l’articolo 155», ha affermato. Il partito della Sinistra Repubblicana Catalana (Erc) del vicepresidente Oriol Junqueras considera «non legittime» le elezioni convocate da Madrid ma intende parteciparvi. Lo ha detto il portavoce Sergi Sabrià. «Non sono convocate legittimamente, ma dobbiamo essere capaci di trasformarle in una opportunità per consolidare la Repubblica: non possiamo perderne neanche una», ha affermato dopo una riunione della direzione. Erc che ha bollato come «nuovo atto di repressione» l’incriminazione di Puigdemont e Forcadell. Oggi è il giorno del vero test per il controllo della Spagna sulla Catalogna: i politici e i funzionari pubblici stanno tornando al lavoro in mezzo all’incertezza.
Centinaia di migliaia di sostenitori di una Spagna unificata hanno riempito le strade di Barcellona ieri in una delle più grandi prove di forza di quella che viene di solito considerata la maggioranza silenziosa, contraria alle pulsioni indipendentiste della classe dirigente catalana al potere almeno fino a venerdì, quando il primo ministro spagnolo Mariano Rajoy ha assunto il controllo diretto della regione, licenziando il governo catalano secessionista e indicendo nuove elezioni per il 21 dicembre.
Naturalmente, i principali membri dell’amministrazione catalana, tra cui il suo presidente Puigdemont e il vice-presidente Oriol Junqueras, hanno replicato che non accetteranno la mossa di Madrid e che solo il popolo della Catalogna potrebbe licenziarli.
I movimenti indipendentisti hanno invocato per oggi una diffusa disobbedienza civile, dando istruzioni dettagliate su come comportarsi ai circa 200mila funzionari pubblici che lavorano per la regione catalana. La maggior parte di loro inizia la giornata lavorativa alle 9.00: sarà importante verificare, quindi, le loro decisioni per capire se la strategia di Madrid risulterà efficace oppure se si andrà verso un periodo di disordini sociali e di tensione crescente in Catalogna.
La Vanguardia scrive che ieri i membri del governo catalano hanno lasciato i loro uffici, che sono ora sotto il controllo effettivo del governo centrale. Molti ministri spagnoli si sono detti certi che i funzionari pubblici avrebbero obbedito agli ordini, ricordando che non avrebbero avuto interesse a perdere il lavoro.
Il ministero degli Interni spagnolo ha nominato un nuovo capo per la polizia regionale, insistendo sul fatto che i 17mila ufficiali dovrebbero rimanere neutrali: il ministro Juan Ignacio Zoido ha elogiato i Mossos per il loro lavoro in una lettera aperta diffusa ieri, invitandoli ad accettare l’ordine temporaneo da Madrid. «Abbiamo aperto un nuovo capitolo e in questo nuovo capitolo i Mossos d’Esquadra torneranno a essere la polizia di tutti i catalani. Questo è il vostro dovere», ha scritto Zoido nella lettera.
Decisivo per la regione e la sua economia sarà anche capire se le imprese smetteranno di delocalizzare fuori dalla Catalogna in cerca di stabilità e certezza del diritto, dopo i centinaia di spostamenti di sede che si sono verificati dall’inizio di questo mese. Il controllo diretto del governo centrale ha infatti ricevuto il sostegno di parecchie associazioni e lobby economiche catalane, che hanno invitato le aziende a rimanere nella regione.
Nel frattempo le stime preliminari sull’economia spagnola indicano ancora una crescita vigorosa nel terzo trimestre, con un rialzo del Pil dello 0,8%. Il dato è in linea con le previsoni del governo e non tiene conto della crisi in Catalogna che è scoppiata a ottobre.
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IL POST 30/10 –
Secondo i principali giornali spagnoli e catalani l’ex presidente della Catalogna Carles Puigdemont, destituito dai suoi poteri dal governo spagnolo dopo la dichiarazione d’indipendenza catalana, è a Bruxelles, in Belgio. Proprio oggi il procuratore generale spagnolo José Manuel Maza lo aveva denunciato insieme agli altri membri del governo catalano all’Audiencia Nacional, un’alta corte spagnola, per aver dichiarato l’indipendenza della Catalogna. Insieme a Puigdemont, secondo i giornali spagnoli sarebbero in Belgio altri cinque ex ministri del governo catalano, anche loro destituiti la scorsa settimana: insieme vorrebbero chiedere asilo politico, ha scritto El Periodico.
Puigdemont è accusato di ribellione, sedizione, malversazione e altri reati. Maza ha chiesto che siano valutate eventuali misure cautelari, ma per ora non l’arresto. Secondo l’agenzia EFE sono insieme a Puigdemont i ministri: Meritxell Borràs, ex ministra per l’Amministrazione pubblica, Toni Comín, ex ministro della Salute, Joaquim Forn, ex ministro dell’Interno, Dolors Bassa, ex ministra del Lavoro, e Meritxell Serret, ex ministra dell’Agricoltura. Il viaggio di Puigdemont non era previsto: oggi i giornalisti si aspettavano che comparisse al Palau della Generalitat di Barcellona, la sede del governo catalano. I ministri e Puigdemont avrebbero viaggiato in auto fino a Marsiglia, e da lì avrebbero preso un volo per Bruxelles.
I giornali spagnoli scrivono che Puigdemont e gli ex ministri sono andati in Belgio perché sapevano che oggi sarebbe arrivata la denuncia da parte del procuratore generale spagnolo, e che sarebbe stata probabilmente seguita da un mandato d’arresto nei loro confronti. In Belgio infatti, ha spiegato El Diario, c’è uno dei sistemi giudiziari più garantisti d’Europa, che prevede che una persona interessata da un mandato d’arresto emesso da un paese dell’Unione Europea possa fare appello a un tribunale locale perché valuti il merito della richiesta d’arresto. Inoltre, Puigdemont secondo El Diario avrebbe scelto il Belgio anche per ragioni politiche: uno dei partiti di governo è l’Alleanza neo-fiamminga, che chiede l’indipendenza delle Fiandre ed è solidale con la causa catalana. Theo Francken, un membro del partito e sottosegretario del governo, nei giorni scorsi aveva chiesto che il Belgio garantisse asilo politico a Puigdemont. Altri osservatori spagnoli scrivono che quello di Puigdemont potrebbe essere un tentativo di rendere di portata internazionale la crisi catalana, una strategia che il governo destituito sta provando a portare avanti da giorni.
La notizia del viaggio di Puigdemont e dei ministri a Bruxelles è stata data tra gli altri da El Pais, dalla Vanguardia, da El Periodico e da El Confidencial, che hanno citato fonti vicine al governo catalano o al Partito Democratico Europeo Catalano, il partito di Puigdemont. Non c’è ancora stata una conferma ufficiale, ma alcune dichiarazioni la hanno di fatto confermata: il coordinatore generale del Partito Popolare ha detto che il viaggio di Puigdemont è stato dettato dalla «disperazione», e il portavoce del primo ministro belga ha detto a Le Soir di non voler commentare le ragioni della visita del presidente catalano.
In molti hanno definito il viaggio di Puigdemont a Bruxelles «l’esilio belga del governo catalano», e hanno osservato che la scelta sembra essere una accettazione dell’applicazione dell’articolo 155 della costituzione spagnola, che ha di fatto sospeso l’autogoverno della Catalogna, e della conseguente dissoluzione del governo catalano.
Le denunce di Maza sono state presentate alla Corte Suprema spagnola e alla Audiencia Nacional. La denuncia presentata alla Audiencia Nacional è rivolta contro i membri del governo catalano ora destituito, mentre quella presentata alla Corte Suprema è rivolta contro alcuni rappresentanti del Parlamento catalano.
Intanto, lunedì sono arrivati altri sviluppi riguardo alle elezioni anticipate che sono state convocate dal governo spagnolo per il prossimo 21 dicembre, in risposta alla dichiarazione d’indipendenza approvata dal parlamento catalano venerdì scorso: il PDeCAT, il partito di centrodestra di Puigdemont, ed Esquerra Republicana (ERC), di sinistra, hanno detto che si presenteranno alle elezioni. I partiti che vogliono presentarsi devono infatti comunicarlo entro il 6 novembre, ma circolavano molte incognite su cosa avrebbero deciso: partecipare alle elezioni convocate da Rajoy significherebbe ammettere implicitamente che l’autoproclamata Repubblica catalana è finita prima ancora di iniziare; rimanerne fuori vorrebbe dire però perdere la possibilità di contare qualcosa. La CUP, il partito indipendentista di sinistra radicale che faceva parte della coalizione di governo, aveva già detto di voler ignorare le elezioni, non presentandosi.
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REPUBBLICA.IT 30/10 –
Il Procuratore generale spagnolo José Manuel Maza ha chiesto l’incriminazione per il presidente catalano destituito Carles Puigdemont con l’accusa di ribellione, sedizione e malversazione. Denunciati anche i ministri del suo governo per aver permesso la dichiarazione d’indipendenza, inclusa l’ex presidente della Camera Carme Forcadell e i membri dell’ufficio di Presidenza, anche loro sono sotto accusa per sedizione e ribellione. In tutto nel mirino dei magistrati di Madrid sono finiti 14 membri del Govern e sei parlamentari. Qualora non si dovessero presentare dinanzi ai giudici, la misura che le autorità di polizia spagnole sono autorizzate a prendere è la "detenzione immediata" e rischiano dai 15 ai 30 anni di carcere.
La richiesta di incriminazione è stata presentata all’Audiencia Nacional a Madrid, per Puigdemont e il resto del Govern, e davanti al Tribunal Supremo contro la presidente del Parlament, Carme Forcadell, e gli altri membri della Mesa, la capigruppo parlamentare che permise di mettere ai voti la dichiarazione di indipendenza.
Il magistrato di turno deciderà nei prossimi giorni se accogliere la richiesta.
Non solo. La procura ha indicato anche la necessità di un sequestro cautelare di beni pari a 6,2 milioni di euro, legati ai costi per la celebrazione del referendum.
Puidgemont e alcuni ministri sono in Belgio
Come reagisce il presidente destituito? Ufficialmente non commenta e nelle stesse ore dell’incriminazione trapela che lui stesso e alcuni membri del governo sono a Bruxelles, forse per incontrare alcuni esponenti nazionalisti fiamminghi. Il viaggio è stato confermato appena un’ora dopo l’annuncio della richiesta di incriminazione dinanzi l’Audiencia Nacional del procuratore Maza. Appena ieri il ministro belga alla Migrazione Theo Francken aveva offerto a Puidgemont asilo politico nel suo paese.
Secondo la tv spagnola La Sexta Puigdemont e cinque suoi consiglieri intendono chiedere ufficialmente l’asilo politico al Belgio. "No comment" per ora dal governo belga e il presidente della regione belga della Fiandre, il nazionalista fiammingo Geert Bourgeois, nega di avere in programma un incontro con l’ex presidente catalano. Il cantautore e deputato uscente indipendentista Lluis Llach non esita a dire che il "presidente Puigdemont, oggi è a Bruxelles in esilio, una vera e propria denuncia contro lo Stato spagnolo davanti alle istituzioni europee e internazionali".
Da Madrid "nessuna preoccupazione"
Il viaggio a Bruxelles di Puigdemont al momento sembra "non preoccupare" Madrid, quello che oggi contava davvero per il governo spagnolo è che Puigdemont restasse lontano dal Palau de la Generalitat. Secondo l’agenzia spagnola Efe, il leader catalano destituito si sarebbe recato in auto da Barcellona a Marsiglia e poi in volo dalla città francese a Bruxelles, secondo l’agenzia spagnola Efe. Con lui altri cinque esponenti del suo esecutivo: il consigliere per il Governatorato, Meritxell Borras, quello per la Salute, Antoni Comin, per gli Interni, Joaquim Forn, per il Lavoro, Dolors Bassa e infine il consigliere per Agricoltura, pesca e alimentazione, Meritxell Serret. Borras e Forn fanno parte del PDeCAT, il partito di Puigdemont, gli altri tre, Comin, Bassa e Serret sono esponenti della Esquerra Republicana de Catalunya.
Non è chiaro quando i membri dell’ex Govern catalano abbiano lasciato Barcellona, ma l’ultima apparizione pubblica di Puigdemont risale a sabato scorso, quando in un messaggio registrato sulle scale della sede della delegazione di governo di Girona, l’ex leader indipendentista ha detto che i partiti catalani avrebbero fatto una "opposizione democratica" alla decisione di Madrid di applicare l’articolo 155 della Costituzione.
Così sembrano precipitare gli eventi, pochi giorni dopo il voto del Parlamento catalano per la secessione dalla Spagna.
L’esecutivo di Barcellona è formalmente destituito, ma al momento non ci sono state altre reazioni eclatanti dai membri della Generalitat. Josep Rull, l’ex ministro per il territorio e la sostenibilità e la ex presidente della Camera Carme Forcadell si sono recati ugualmente in ufficio, come fosse un giorno normale. Ma i Mossos d’Esquadra avvertono: "Avranno solo il tempo di prendere documenti ed effetti personali".
I giornalisti attendevano fuori dal palazzo del Parlamento e davanti gli uffici ministeriali l’arrivo degli ex rappresentanti decaduti. L’ex ministro Rull ha pubblicato su Twitter una foto dal suo ufficio, con l’hashtag #seguimos. "In ufficio, per esercitare le responsabilità che ci ha affidato il popolo della Catalogna" è quanto si legge nel tweet, in cui Rull è seduto alla sua scrivania davanti al computer, e sullo sfondo la prima pagina di un quotidiano catalano con il titolo "A lavorare". I Mossos d’Esquadra, la polizia locale, hanno avvisato l’ex ministro che rischiava l’arresto per "usurpazione di funzioni pubbliche" e lui poco dopo ha lasciato l’ufficio.
Il presidente è "in un luogo sicuro"
Carles Puigdemont si trova a Bruxelles in un luogo "discreto e sicuro", accompagnato da alcuni consiglieri. Lo riferiscono fonti della Generalitat di Catalogna. Secondo le stesse fonti Puigdemont parlerà domani.
Oggi primo giorno lavorativo dopo il pugno duro di Madrid
Con l’attuazione dell’articolo 155, Madrid ha preso il controllo del governo regionale autonomo della Catalogna. Il primo ministro Mariano Rajoy ha convocato elezioni anticipate per il 21 dicembre e, a governare la Catalogna, ora è la vice-presidente del governo spagnolo, Soraya Saenz de Santamaria, che ha destituito Josep Llluis Trapero, il capo operativo dei Mossos, la polizia regionale catalana.
Anche il rappresentante della Catalogna presso l’Unione europea, Amadeu Altafaj, ha rassegnato le dimissioni, congedandosi dall’incarico con una lettera in cui ha parlato di "delusione" e affermato l’identità europea dei 7,5 milioni di catalani.
IL PROCURATORE generale spagnolo José Manuel Maza ha chiesto l’incriminazione per il presidente catalano destituito Carles Puigdemont con l’accusa di ribellione, sedizione e malversazione. Denunciati anche i ministri del suo governo per aver permesso la dichiarazione d’indipendenza, inclusa l’ex presidente della Camera Carme Forcadell e i membri dell’ufficio di Presidenza, anche loro sono sotto accusa per sedizione e ribellione. In tutto nel mirino dei magistrati di Madrid sono finiti 14 membri del Govern e sei parlamentari. Qualora non si dovessero presentare dinanzi ai giudici, la misura che le autorità di polizia spagnole sono autorizzate a prendere è la "detenzione immediata" e rischiano dai 15 ai 30 anni di carcere.
Incriminazione Puigdemont, Ciai: "Oggi finisce la Repubblica catalana"
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La richiesta di incriminazione è stata presentata all’Audiencia Nacional a Madrid, per Puigdemont e il resto del Govern, e davanti al Tribunal Supremo contro la presidente del Parlament, Carme Forcadell, e gli altri membri della Mesa, la capigruppo parlamentare che permise di mettere ai voti la dichiarazione di indipendenza.
Il magistrato di turno deciderà nei prossimi giorni se accogliere la richiesta.
Non solo. La procura ha indicato anche la necessità di un sequestro cautelare di beni pari a 6,2 milioni di euro, legati ai costi per la celebrazione del referendum.
Puidgemont e alcuni ministri sono in Belgio
Come reagisce il presidente destituito? Ufficialmente non commenta e nelle stesse ore dell’incriminazione trapela che lui stesso e alcuni membri del governo sono a Bruxelles, forse per incontrare alcuni esponenti nazionalisti fiamminghi. Il viaggio è stato confermato appena un’ora dopo l’annuncio della richiesta di incriminazione dinanzi l’Audiencia Nacional del procuratore Maza. Appena ieri il ministro belga alla Migrazione Theo Francken aveva offerto a Puidgemont asilo politico nel suo paese.
Secondo la tv spagnola La Sexta Puigdemont e cinque suoi consiglieri intendono chiedere ufficialmente l’asilo politico al Belgio. "No comment" per ora dal governo belga e il presidente della regione belga della Fiandre, il nazionalista fiammingo Geert Bourgeois, nega di avere in programma un incontro con l’ex presidente catalano. Il cantautore e deputato uscente indipendentista Lluis Llach non esita a dire che il "presidente Puigdemont, oggi è a Bruxelles in esilio, una vera e propria denuncia contro lo Stato spagnolo davanti alle istituzioni europee e internazionali".
Da Madrid "nessuna preoccupazione"
Il viaggio a Bruxelles di Puigdemont al momento sembra "non preoccupare" Madrid, quello che oggi contava davvero per il governo spagnolo è che Puigdemont restasse lontano dal Palau de la Generalitat. Secondo l’agenzia spagnola Efe, il leader catalano destituito si sarebbe recato in auto da Barcellona a Marsiglia e poi in volo dalla città francese a Bruxelles, secondo l’agenzia spagnola Efe. Con lui altri cinque esponenti del suo esecutivo: il consigliere per il Governatorato, Meritxell Borras, quello per la Salute, Antoni Comin, per gli Interni, Joaquim Forn, per il Lavoro, Dolors Bassa e infine il consigliere per Agricoltura, pesca e alimentazione, Meritxell Serret. Borras e Forn fanno parte del PDeCAT, il partito di Puigdemont, gli altri tre, Comin, Bassa e Serret sono esponenti della Esquerra Republicana de Catalunya.
Non è chiaro quando i membri dell’ex Govern catalano abbiano lasciato Barcellona, ma l’ultima apparizione pubblica di Puigdemont risale a sabato scorso, quando in un messaggio registrato sulle scale della sede della delegazione di governo di Girona, l’ex leader indipendentista ha detto che i partiti catalani avrebbero fatto una "opposizione democratica" alla decisione di Madrid di applicare l’articolo 155 della Costituzione.
Così sembrano precipitare gli eventi, pochi giorni dopo il voto del Parlamento catalano per la secessione dalla Spagna.
L’esecutivo di Barcellona è formalmente destituito, ma al momento non ci sono state altre reazioni eclatanti dai membri della Generalitat. Josep Rull, l’ex ministro per il territorio e la sostenibilità e la ex presidente della Camera Carme Forcadell si sono recati ugualmente in ufficio, come fosse un giorno normale. Ma i Mossos d’Esquadra avvertono: "Avranno solo il tempo di prendere documenti ed effetti personali".
I giornalisti attendevano fuori dal palazzo del Parlamento e davanti gli uffici ministeriali l’arrivo degli ex rappresentanti decaduti. L’ex ministro Rull ha pubblicato su Twitter una foto dal suo ufficio, con l’hashtag #seguimos. "In ufficio, per esercitare le responsabilità che ci ha affidato il popolo della Catalogna" è quanto si legge nel tweet, in cui Rull è seduto alla sua scrivania davanti al computer, e sullo sfondo la prima pagina di un quotidiano catalano con il titolo "A lavorare". I Mossos d’Esquadra, la polizia locale, hanno avvisato l’ex ministro che rischiava l’arresto per "usurpazione di funzioni pubbliche" e lui poco dopo ha lasciato l’ufficio.
Sempre su Twitter, in un video di una ventina di secondi si vede Carme Forcadell arrivare al lavoro a bordo di un’ auto.
Catalogna, Puigdemont e la foto dal palazzo della Generalitat: "Buongiorno"
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Su Instagram Puigdemont aveva invece pubblicato una foto scattata dal cortile interno del Palau de la Generalitat, ma evidentemente era stata scattata nei giorni scorsi.
Il presidente è "in un luogo sicuro"
Carles Puigdemont si trova a Bruxelles in un luogo "discreto e sicuro", accompagnato da alcuni consiglieri. Lo riferiscono fonti della Generalitat di Catalogna. Secondo le stesse fonti Puigdemont parlerà domani.
Oggi primo giorno lavorativo dopo il pugno duro di Madrid
Con l’attuazione dell’articolo 155, Madrid ha preso il controllo del governo regionale autonomo della Catalogna. Il primo ministro Mariano Rajoy ha convocato elezioni anticipate per il 21 dicembre e, a governare la Catalogna, ora è la vice-presidente del governo spagnolo, Soraya Saenz de Santamaria, che ha destituito Josep Llluis Trapero, il capo operativo dei Mossos, la polizia regionale catalana.
Anche il rappresentante della Catalogna presso l’Unione europea, Amadeu Altafaj, ha rassegnato le dimissioni, congedandosi dall’incarico con una lettera in cui ha parlato di "delusione" e affermato l’identità europea dei 7,5 milioni di catalani.
Catalogna, le forze indipendentiste sfidano Rajoy: ’’Ci vediamo alle urne’’
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Il partito di Puigdemont partecipa alle elezioni del 21 dicembre
Il partito indipendentista del deposto presidente, il PDeCAT, ha reso noto che parteciperà alle elezioni regionali convocate per il 21 dicembre dallo Stato spagnolo dopo aver commissariato la Catalogna. "Il 21 andremo alle urne, ci andremo con convinzione e ci impegniamo a rispettare ciò che dirà la società catalana", ha detto il portavoce del partito, Marta Pascal.
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MICALESSIN, IL GIORNALE 29/10 – Sangue e poltrona: tutti i rischi di Rajoy con la Catalogna –
Ora tutto è nelle mani di Mariano Rajoy. Se dopo aver piegato le velleità indipendentiste saprà far rinascere una Catalogna nuovamente autonoma, ma affidata a leader moderati e ragionevoli avrà vinto la partita più difficile del dopo-Franco. Se vorrà stravincere rinunciando a gestire la crisi con il guanto di velluto trascinerà nella polvere non solo il proprio governo, ma l’intera nazione aprendo una crisi pericolosissima anche per il resto del continente europeo. Da qui alle elezioni del 21 dicembre il premier spagnolo farà i conti con cinque pesanti spade di Damocle. Gli basterà farne cadere una sola per trasformare un’indipendenza catalana, al momento puramente virtuale, in una crisi tragicamente reale capace di sconvolgere l’assetto nazionale ed istituzionale.
TRA REPRESSIONE E DIALOGO
In punta di diritto la magistratura può chiedere l’arresto del presidente catalano Carles Puidgemont, del suo vice Oril Junqueras e del presidente del parlamento catalano Carme Forcadell. Assieme a loro potrebbero finir in gattabuia, rischiando 15 anni di detenzione, i 70 membri dell’assemblea responsabili del voto indipendentista. Decapitare il parlamento catalano affidando ai tribunali la soluzione dello scontro politico significherebbe però precludersi ogni futuro dialogo. Con il rischio di dover affrontare situazioni analoghe dopo le elezioni di dicembre. Per questo Rajoy dovrà ispirare un’azione penale e una repressione accompagnate da apertura al dialogo e alla riconciliazione.
IL RISCHIO RADICALIZZAZIONE
Forti di una minoranza assai rumorosa gli indipendentisti sfrattati dalle istituzioni risponderanno con l’occupazione dei luoghi del potere e con una mobilitazione di piazza permanente. Qualsiasi scontro farà il gioco degli elementi più irriducibili e spingerà i catalani rimasti neutrali verso la causa indipendentista. Un referendum segnato da un’affluenza limitata al 42% ha evidenziato la marginalità dell’ indipendentismo catalano. Violenze e disordini rischiano oggi di spingere oltre la soglia del 50 per cento le formazioni oltranziste. Facendo il gioco di quella sinistra vetero marxista del Cup che punta sulla radicalizzazione dello scontro per conquistare consensi.
I MOSSOS E IL FANTASMA
DELLA GUERRA CIVILE
I 16mila agenti dei Mossos d’Esquadra, la polizia catalana, rappresentano un’ incognita capace d’innescare una guerra civile. Carles Puidgemont seguendo le dinamiche dell’indipendenza slovena ha già tentato, un anno fa, di trasformarli in forza paramilitare dotandoli di fucili d’assalto e di precisione. Il tentativo era stato stroncato dal niet di Madrid, ma nessuno può garantire che Puidgemont, non si sia procurato, come fecero gli sloveni nel 1991, forniture di armi sul mercato nero. La presenza di unità militarizzate pronte a sfidare una Guardia Civil mandata a controllare le sedi istituzionali rischia d’innescare scontri armati dalle conseguenze imprevedibili. Anche perché dopo la deposizione del loro capo José Lluis Trapero, imputato di sedizione, i Mossos sono una forza allo sbando facilmente strumentalizzabile. E il governo si ritrova a dover garantire l’ordine pubblico senza disporre di una polizia in grado di controllare il territorio garantendosi il consenso e la fiducia della popolazione.
L’INCOGNITA SOCIALISTA
Il governo di Mariano Rajoy si regge in piedi soltanto grazie all’astensionismo del Partito Socialista. Ma una mossa sbagliata sul fronte della repressione delle proteste catalane potrebbe spingere i socialisti a tentare uno sgambetto fatale regalando i loro 68 voti all’opposizione. Una caduta del governo renderebbe ingestibile la crisi catalana, segnerebbe la definitiva uscita di scena dell’attuale premier e metterebbe a serio rischio anche il resto della Spagna.
LA VIOLENZA E L’EUROPA
Fin qui l’Unione Europea, pur confermandosi ancora una volta incapace di governare e gestire una crisi ha garantito un teorico, ma incondizionato appoggio al governo spagnolo. Da oggi tutto rischia di cambiare. Una repressione troppo dura ai danni dei leader indipendentisti, una serie di interventi troppo severi ai danni dei manifestanti nelle piazze di Barcellona e dintorni e il sangue di qualche dimostrante potrebbero sgretolare anche l’incerta coesione europea. Trasformando la crisi catalana nell’ennesimo picca piantata nella schiena d’ un torello europeo sempre più esangue e stremato.
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CATALOGNA, LA SOLUZIONE FEDERALE –
NADIA URBINATI, LA REPUBBLICA 29/10
La crisi catalana ha registrato una serie impressionante di mutamenti di passo. Questo sembra dimostrare che gli attori in campo sono ad un tempo assolutamente certi e assolutamente incerti. Fermarsi in tempo sembra una lotta contro il tempo. Anche a causa della poca prudenza dimostrata dai protagonisti. A partire dal governo di Rajoy, che ha usato la mano pesante contro i catalani che si recavano ai seggi per il referendum. Il governo di Madrid si appella all’articolo 155 della Costituzione, che come l’articolo 37 di quella tedesca presiede alla difesa dell’unità federale, e che è applicabile in situazioni estreme, cioè a dire quando una Comunità Autonoma non adempie alle leggi ed attenta gravemente all’interesse generale della Spagna. Ma le forme di intervento sono decise dal governo e questo fa la differenza. Anche il governo catalano ha forzato la mano con una serie di decisioni che vanno verso la secessione; l’ultima il voto (a scrutinio segreto) per la dichiarazione di indipendenza. Senza presumere di poter giudicare chi ha torto o ragione, un osservatore straniero puó tuttavia sollevare due temi, uno di merito e uno di metodo. Circa il merito, ci si puó chiedere che senso ha alzare nuove frontiere mentre proclamiamo lo Ius soli. L’Italia fa a tutt’oggi fatica ad approvare una legge blanda sul diritto di cittadinanza agli stranieri nati nel paese da genitori non italiani ma regolarmente residenti. In una regione che si fa Stato, questa fatica sarebbe ancora maggiore. Chiedere l’indipendenza per meglio sovrapporre nazione e sovranità rischia di creare uno stato più protettivo della sua indentità, quindi più disposto a escludere. I padri fondatori americani giustificarono il federalismo con l’idea di dar vita ad uno spazio geo-politico abbastanza ampio da evitare esclusioni identitarie; la libertà individuale, pensavano, è meglio protetta in uno spazio largo che in una piccola repubblica. Dunque, perché l’indipendenza invece della federalizzazione? Questo è il problema che si pongono i catalani contrari alla radicalizzazione indipendentista. Si dirà: il caso catalano puó aprire le porte ad una nuova Unione Europea, federalista per davvero. L’utopia federalista non è facile da fermare. Ma il caso catalano è diverso, poiché non riguarda in prima battuta il federalismo ma nuove frontiere nazionali. Chiede una chiusura. E questo non puó piacere a chi crede nel federalismo come politica di libertà. Infine, la seconda questione, di metodo: il Parlamento catalano ha deciso il voto segreto per decretare l’indipendenza. È curioso che una dichiarazione cosí solenne sia adottata nell’anonimato. Come immaginarsi le indipendenze degli Stati decise con voto segreto? Difficile. Presumibilmente, i parlamentari non sono convinti che l’indipendenza sarà conquistata e quindi desiderano tutelarsi da probabili azioni represessive da parte del governo. Ma questo dimostra quanto la questione sia ingarbugliata: se i parlamentari catalani votano anonimamente perché temono l’azione dell’autorità spagnola è perché presumono un domani ancora spagnolo. A tanta radicalità negli atti formali non corrisponde altrettanta radicalità nelle convinzioni. Gli attori sono dubbiosi, avvertono il senso di una crisi che non sarà una passeggiata. E dunque, perché insistere in tanta radicalità? Perché non scalare marcia e iniziare le trattative per una soluzione federalista?
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LUCIO CARACCIOLO, LA REPUBBLICA 29/10 –
Perché la risposta degli Stati dell’Unione europea alla dichiarazione d’indipendenza della Repubblica di Catalogna è unanime, o quasi, nella difesa delle ragioni legali di Madrid? Per la ragione che se ne discutessero nei termini effettivi – uno scontro geopolitico, non una mera disputa giuridica – gli europei si dividerebbero. Come hanno fatto in ogni crisi che si rispetti, specie se di mezzo c’è l’indipendenza o meno di un territorio. Il caso classico, ma certo non unico, è quello jugoslavo, con Austria e Germania, insieme alla Santa Sede, schierate con i secessionisti sloveni e croati, resto del mondo (Francia in testa), almeno inizialmente per la “Jugoslavia unita e democratica”. Fino al caso limite del Kosovo, che alcuni Stati europei, Spagna in testa, rifiutano tuttora di riconoscere, perché in tal caso rischierebbero di legittimare i separatismi interni. Come nel caso catalano. I paradossali risultati di questo accecamento da autocensura geopolitica sono sotto gli occhi di chiunque voglia vedere. L’unico a distinguersi, finora, è stato il premier belga Charles Michel, che di separatismi interni ha qualche cognizione. Il quale ha esortato a trattare la questione per quel che è: politica, non solo legale. L’ondeggiante estremismo dei separatisti catalani ha contribuito ad inasprire la contesa, ambiguamente sfidando la costituzione del Regno. Manovra insopportabile per la Spagna. Ma è probabile che se il premier Mariano Rajoy avesse trattato per tempo il caso catalano per quello che realmente è – il rifiuto, sostenuto da una buona metà dei catalani, di restare uniti a uno Stato da cui ci si percepisce maltrattati – ovvero una vitale emergenza politica nazionale, non saremmo arrivati a un tale grado di scontro. Altrimenti non si capisce come mai nel giro di pochi anni un fenomeno radicato eppure piuttosto marginale come il secessionismo catalano abbia potuto assumere dimensioni di massa, specialmente fra i giovani. Fino a unire gruppi di centro-destra e di sinistra, anche estrema, divisi su tutto il resto. Quando il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, dice che non vuole un’Europa divisa in 95 staterelli – affermazione notevole, in bocca a un lussemburghese – rivela il timore che nelle grandi cancellerie continentali silenzia la politica e scatena il pangiuridicismo: l’effetto domino. Quante Catalogne dormono in Europa e bisogna evitare di svegliare? Scozia, Fiandre, Baviera, magari il Veneto, e chissà quanti altri? Il fervore identitario, emerso nel Brexit inglese ed esploso nell’indipendentismo catalano può compromettere lo status quo continentale? Eppoi, di quale stabilità stiamo parlando, in un continente che nel corso dell’ultima generazione, dal crollo del Muro in poi, ha visto quasi raddoppiare, in pace (divorzio ceco-slovacco) o in guerra (dissoluzione dell’Urss e della Jugoslavia, spartizione di fatto della Moldova e dell’Ucraina), il numero dei suoi Stati? Stiamo assistendo a una disintegrazione europea che la retorica europeista continua a ignorare, aggrappandosi alla favola del “processo di integrazione” che in realtà, come tutti i processi di cui non si vedono né il fine condiviso (perché non c’è) né la fine (inevitabile in ogni vicenda umana) rischia di rovesciarsi nell’opposto. Conviene evitare due tentazioni opposte ma convergenti. La prima, corrente nelle cancellerie e negli apparati statali e comunitari, consiste nel mettere la testa sotto la sabbia. Fino al paradosso spagnolo, dove Madrid decide di commissariare una regione autonoma dove la presenza dello Stato è aleatoria, quasi inesistente. Per scelta della Spagna tutta: gli autonomismi, anche se concordati, si sa dove cominciano, non dove finiscono. Più che di commissariamento, si tratta di reconquista. Speriamo non violenta, ma non ci giureremmo. La seconda sta nell’immaginare un effetto domino che non c’è, per ora. Finendone paralizzati. Determinismo geopolitico per cui da una secessione deve per forza derivare una sequenza di altre, che non sappiamo come affrontare. Con il risultato di autoparalizzarci nella protezione dello status quo, ovvero in una immaginaria pietrificazione legalistica della storia, rinunciando a trattare le rivendicazioni identitarie in sede politica e diplomatica. Anche ricentralizzando poteri talmente dispersi da minacciare l’efficienza delle nostre assai delegittimate liberaldemocrazie. Juncker ha ragione. La balcanizzazione dell’Europa è inaccettabile. Difficilmente sarebbe pacifica. Discutiamo, senza tabù, di come evitarla. E impegniamoci a farlo in una logica di compromesso. Qui non sono in gioco interpretazioni del diritto costituzionale o, peggio, internazionale – quest’ultimo sempre manipolato o ignorato dagli Stati in base ai loro contingenti interessi. Su questo piano, espulsa la politica, introdotte manette e barricate, si finisce a sparare. È in gioco l’assetto democratico e pacifico del nostro continente, a cominciare dalla grande democrazia spagnola, che per troppo tempo ha trattato i suoi nazionalismi interni (basco, catalano, in minor misura galiziano) da meri regionalismi. Il problema spagnolo è anche europeo. Chi pensa altrimenti scambia una disputa geopolitica per una causa legale. Di questo errore pagheremmo le conseguenze tutti: catalani, altri spagnoli, altri europei. È possibile che i leader dei maggiori paesi europei se ne rendano conto, prima che sia tardi?