Corriere della Sera, 28 ottobre 2017
Come finirà la lunga crisi?
I «Mossos» di Barcellona contro gli agenti inviati da Madrid: lotta armata
Lo scenario peggiore: una parte dei 17 mila Mossos d’Esquadra passa al servizio dell’autoproclamata Repubblica e inizia un conflitto armato tra polizie. Tra iscritti e simpatizzanti, circa 600 Mossos aderiscono ad Assemblea nazionale catalana, il movimento indipendentista di Jordi Sánchez (in carcere per sedizione), e hanno già fatto sapere che si manterranno fedeli alla Generalitat e al Parlament. Se si limitano a non eseguire gli ordini del comandante che prenderà il posto del capo (destituito), José Lluis Trapero (anche lui imputato di sedizione), sarà la Policia nacional e/o la Guardia civil a farlo al loro posto. Ma se si oppongono, se decidono di proteggere con le armi i vertici della Generalitat o del Parlamento colpiti da ordine di arresto, si può arrivare a un’escalation di violenza difficile da controllare. L’intervento dell’esercito è l’ultima spiaggia, ma i soldati potrebbero effettivamente sostituire i poliziotti in compiti di sorveglianza negli aeroporti e nelle stazioni, in modo da destinare gli agenti all’ordine pubblico.
Disobbedienza generalizzata La polizia forza gli sbarramenti agli uffici pubblici
È lo scenario più probabile, secondo gli analisti: alla sospensione del governo autonomo, la Catalogna reagisce con una disobbedienza civile generalizzata, scioperi, manifestazioni, picchetti, catene umane attorno agli edifici pubblici per impedire l’ingresso dei nuovi amministratori inviati da Madrid. Il governo centrale, a quel punto, potrebbe decidere di inviare la polizia a forzare gli sbarramenti. E una volta negli edifici, gli agenti rischierebbero di trovarsi assediati da una folla furibonda. Come è già successo il 20 settembre, quando sono stati mandati a sequestrare le schede del referendum sull’indipendenza. Come responsabili di quell’assembramento, sono finiti in carcere con l’accusa di sedizione «i due Jordis», Sánchez e Cuixart. Giornalisti e dirigenti di Tv3, la tv pubblica catalana, e di Radio Catalunya, possono voler difendere la loro autonomia da controlli esterni. Possono esserci scontri fra civili o fra civili e polizia. Soprattutto se Carles Puigdemont e i suoi ministri vengono arrestati.
Il contropotere dei 700 sindaci indipendentisti. E il tesoretto dei fondi regionali
Con lo «scettro» municipale in mano, la «vara» di legno del potere comunale, più di 700 sindaci (su un totale di 947) sono calati su Barcellona per appoggiare la nuova Repubblica. Dovranno essere loro la spina dorsale dell’indipendenza. Loro a garantire i fondi per far funzionare anche il governo secessionista. Loro «il contropotere municipale e popolare» che sostituirà «il regime borbonico di Madrid». Si abbracciano i sindaci «Indipe», grandi pacche sulle spalle, ma adesso? «Abbiamo fatto il referendum – assicura Pere Garriga, di Arbucies – siamo organizzati». «Non abbiamo paura. Ci sono dei conti correnti alternativi» dice Andreu Bosch, sindaco di Teia. «Già da un anno versiamo le tasse comunali al Fisco catalano: invece di andare a Madrid resteranno qui», assicura la sindaca Cristina Mundet di Vilobi. «Da subito smetteremo di versare l’Irpef dei dipendenti comunali o delle municipalizzate – promette Joan Pla di Oros —. Nessuna collaborazione con la Spagna. È la legge catalana che ce lo impone: resisteremo».
Delegati al posto dei leader locali. Poca resistenza, nessun arresto né gesti violenti
Un commissariamento «soft»: i ministeri nazionali prendono il controllo anche di quelli catalani e si occupano di mandare avanti l’amministrazione ordinaria. Il governo centrale, come votato ieri dal Senato, applica l’articolo 155 della Costituzione, nomina dei delegati al posto del presidente della Generalitat Carles Puigdemont e del vice presidente Oriol Junqueras, destituiti. È prevedibile una certa resistenza fra i 200 mila funzionari pubblici, tra i quali ci sono molti seguaci di Assemblea nazionale catalana e di Omnium Cultural, i due movimenti indipendentisti alla testa della rivolta. Ma se Madrid è disposta a tollerare un certo livello di disobbedienza, non ci saranno atti di forza, né arresti. I secessionisti potrebbero cominciare ad avere problemi di isolamento, a deprimersi di fronte a una situazione economica deteriorata, con 1.700 imprese in fuga. Convocando le elezioni regionali il 21 dicembre, Madrid conta su un ridimensionamento (se non una disfatta) degli indipendentisti.