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 2017  ottobre 28 Sabato calendario

Nel caveau c’è il tesoro di Dior

Benvenuti nell’archivio storico di Christian Dior. Maria Grazia Chiuri apre le porte di uno degli spazi più segreti della maison francese. La prima donna chiamata alla direzione artistica di Dior, svela lo “scrigno” che racchiude la memoria storica dell’atelier, con libri, accessori, profumi e i cento abiti più significativi disegnati da Christian Dior dal ’47 al ’57. Un tesoro custodito in un prezioso quanto asettico caveau, nel cuore di Parigi, in rue de Marignan, a due passi dal quartier generale della maison. «Un anno fa quando sono arrivata da Dior mi sono tuffata per due giorni negli archivi. Ero affascinata e stordita da tutte quelle meraviglie. Ma avevo due mesi per fare la collezione e dovevo correre. Non potevo riflettere più di tanto o fare ricerche approfondite. Così mi sono affidata all’istinto. Mi sono detta: “devi buttarti e nuotare, se no affoghi”». Ed è andata benissimo. Un debutto straordinario, dove stile e femminismo si sono incrociati alla perfezione. «Non cavalco nessun trend – ricorda Maria Grazia Chiuri – però mi piace analizzare il rapporto tra la moda e le donne di oggi, superando gli stereotipi che hanno condizionato tutte noi. La moda non si deve subire, basta vestire le bambine come bamboline. Viva la libertà di essere quel che si vuole». Per la Chiuri, gli archivi Dior sono fonte di ispirazione che, col tempo, ha imparato a conoscere bene: “Dior Heritage”, 900 mq – aperto da poco nel centro di Parigi – è modernissimo, super tecnologico, privo di luce naturale (che distrugge gli abiti) e con un temperatura costante di 18 gradi. Nell’altro, con sede a Blois, a un’ora di treno da Parigi, si trovano oltre 10 mila abiti firmati da chi ha raccolto lo scettro di Dior: prima Marc Bohan, poi Saint Laurent, Ferrè, Galliano, Raf Simons e, ora, Maria Grazia Chiuri. Un archivio immenso, creato a partire dall’87, in vista della prima mostra sui 40 anni di Dior, con molti capi acquistati alle aste internazionali, come ricorda Soizic Pfaff, memoria storica della maison e responsabile degli archivi, che si aggira nelle segrete stanze della moda, in rue de Marignan, in guanti bianchi. Dove mostra le scarpine in velluto rosso della duchessa di Windsor, l’abito indossato da Rita Hayworth per il lancio del film Gilda, piuttosto che quello, ribattezzato “Opium”, in broccato, donato da Grace di Monaco. «Dior dava un nome a tutti gli abiti – ricorda madame Pfaff – quelli della sua prima collezione si chiamavano “Figaro”, “Elle” e “Vogue” e via elencando le testate delle giornaliste presenti al défilé». «L’archivio Dior è gigantesco, va imparato un po’ alla volta – ammette la Chiuri – perché dentro non c’è solo la creatività di Christian ma anche quella dei suoi successori».
Gli archivi di Dior, carichi di fascino, sono aperti solo agli addetti ai lavori. Il grande pubblico può rifarsi visitando la mostra in corso al museo Les Arts Decoratifs: Christian Dior, designer of dreams, aperta fino al 7 gennaio.