la Repubblica, 28 ottobre 2017
Condanna a 24 anni all’untore dell’Hiv. «Ma non fu epidemia»
ROMA Alla lettura della sentenza si sono unite in un abbraccio liberatorio. Il «nervosismo e la rabbia» iniziali sono diventate lacrime di gioia. La Corte d’Assise ha condannato a 24 anni di reclusione Valentino Talluto, il 33enne di origine siciliana accusato di aver volontariamente trasmesso l’Hiv a 30 giovani donne attraverso rapporti sessuali non protetti e mentendo sul suo stato di salute, oltre che a un bimbo di 4 anni, nato già con il virus trasmesso dalla madre, sua ex partner. Al termine di una camera di consiglio di 11 ore i giudici lo hanno condannato per le accuse di lesioni volontarie aggravate ai danni di 30 ragazze e per la produzione di un falso certificato medico di sieronegatività, assolvendolo, «perché il fatto non sussiste», da quelle di epidemia dolosa e di tentate lesioni, per altri venti casi. I giudici hanno dichiarato nei confronti di Talluto, impassibile alla lettura del dispositivo, anche l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
«È la nostra piccola grande vittoria, verso una persona che ci voleva bene – ha detto una delle vittime presenti in aula, abbracciando l’avvocato Irma Conti, a cui si per affidata per la denuncia – ora andiamo avanti con la gioia che ci unisce. L’Hiv non ci ha sconfitto». Soddisfatti in parte anche i difensori di Talluto, gli avvocati Maurizio Barca e Tiziana De Biase: «Siamo contenti per il fatto che sia caduto il reato di epidemia e siano decaduti i tentativi di lesioni aggravate».
Palpabile la tensione durante le lunghe ore di camera di consiglio: «Io non ho più relazioni d’amore – ha rivelato una delle vittime – Quando incontro qualcuno di sesso maschile lo evito, anche se solo per un’amicizia. È difficile spiegare l’Hiv agli altri. Provo tanta rabbia. Anche quando lo vedo dietro alle sbarre: è impassibile. Non ci ha mai guardato. Non ha mai alzato gli occhi. Mai chiesto scusa».
Talluto è stato arrestato nel novembre del 2015 nell’ambito dell’inchiesta avviata dal pm Francesco Scavo. A sporgere denuncia «una ragazza coraggiosa, che certamente ha salvato la vita a tante altre», ha detto in aula il pm. La donna, all’epoca trentenne, aveva conosciuto l’imputato in chat: «Quello che definiremmo un ragazzo per bene, che non fuma e non si droga». Dopo di lei altre giovani. Tante. Spesso anche giovanissime. Con tutte la dinamica è stata la stessa. Prima la conoscenza, poi i rapporti sessuali non protetti: «Non usiamo il preservativo, mi dà fastidio», una delle tante scuse utilizzate dall’imputato. Secondo lil pm Elena Neri, Talluto ha avuto fin dall’inizio un’attitudine a mentire: «Non ci ha detto un nome. Non ha mai collaborato nelle indagini. Si è chiuso in silenzi e bugie, proprio come ha fatto con le ragazze». Come quando per confondere una vittima, ancora inconsapevole dell’origine della sua malattia, le ha fatto vedere un falso test di sieronegatività dell’ospedale Spallanzani.