la Repubblica, 28 ottobre 2017
L’amaca
Tra le poche cose da rimpiangere del passato, la libertà di tornare a casa da scuola da solo, con mamma, con gli amici, a piedi, in tram, a cavallo, in bici, sui pattini a rotelle, senza che alcuna normativa gravasse su questo breve momento della mia vita quotidiana. Il pomposo dibattito in corso sull’uscita da scuola dei ragazzi delle medie (sono intervenuti, fin qui, la Cassazione, la ministra dell’Istruzione, il segretario del Pd e una folla di genitori, docenti, avvocati, psicologi dell’età evolutiva: manca solo il Papa) spaventa per la solennità con la quale si affronta una questione che mi permetto di definire minore.
Siamo diventati una comunità ossessionata dalle tutele, che normatizza ogni cosa e non sempre per migliorarla, molto spesso per scaricare responsabilità sulle spalle altrui: di qui le dispute ininterrotte su ogni minima faccenda. Si intende che il caso “uscita da scuola” prende l’abbrivio dalla possibilità che qualche ragazzo si faccia male (è capitato, capiterà). Di qui una selva di sentenze e di circolari che rendono la discesa di quattro gradini e i duecento passi che in genere separano da casa (o i dieci che distano da uno scuolabus) una questione nazionale. Di semplice, e di esentato dal contenzioso giuridico e politico, esiste ancora qualcosa?