Il Messaggero, 30 ottobre 2017
Nasce il corso di laurea da chef. Ma ai cuochi non piace
Sono entrambi laureati i due più importanti chef italiani: Massimo Bottura è dottore in Direzione aziendale da inizio anno; Gualtiero Marchesi dal 2012. Bologna e Parma sono le due università che hanno riconosciuto ad honorem i loro titoli. Ma presto saranno molti di più i dottor chef perché sull’onda del successo mediatico del mondo del cibo, sta per nascere la laurea specialistica per i cuochi.
I CREDITI
La ministra Valeria Fedeli ha firmato il decreto legislativo per la definizione della nuova laurea in Scienze, cultura e politiche dell’alimentazione e della laurea magistrale in Scienze economiche e sociali della gastronomia. Per il corso triennale sono previsti 92 crediti formativi, per quello magistrale 48. Il documento, che è già alle Camere per il parere delle commissioni competenti, ricorda che già esistono lauree affini, come Scienze e tecnologie agro alimentari e Progettazione e gestione dei sistemi turistici, ma non riflettono più il quadro complessivo della formazione superiore nel settore della cultura gastronomica e della ristorazione, divenute di estrema rilevanza per il sistema economico italiano. Il Miur cita anche l’Università di Scienze gastronomiche di Pollenzo, in provincia di Cuneo, creata nel 2004 da Slow food. Ma in quel caso si tratta di un vero polo internazionale di formazione e ricerca per una nuova agricoltura sostenibile, la valorizzazione delle bio-diversità, le scienze della nutrizione, insomma una facoltà un po’ scientifica e un po’ umanistica, a cavallo tra agraria ed economia che non forma cuochi ma operatori a tutto tondo nel pianeta food.
LE PERPLESSITÀ
Ora si parla invece espressamente di laurea in spignattamento e l’idea suscita molte perplessità anche tra cuochi del rango di Gianfranco Vissani. «Io istituirei l’ora di cucina nelle scuole, sarebbe più educativo», afferma lo chef di Braschi che, velenoso, aggiunge di «aver paura che il fiorire di tante iniziative sia un modo non per mangiar meglio tutti, ma perché tutti ci mangino». Della laurea non sente bisogno neanche Filippo La Mantia, cuoco e oste siciliano trapiantato a Milano dopo gli anni trascorsi a Roma. Il suo ateneo è stato il carcere dell’Ucciardone, dove era finito per un errore giudiziario. «Il cibo non è solo soddisfazione, è anche sensazione, ricordo, desiderio. La gente ha già abbastanza paranoie, riscopriamo la dimensione del sogno...». Philippe Leveillé, francese stellato in provincia di Brescia, è favorevole al titolo accademico «ma prima – sottolinea – pensiamo allo stato di abbandono, se non di buio pesto, in cui versano gli istituti alberghieri».
MATERIE TECNICHE
Gualtiero Marchesi, che sul campo ha conquistato ben più del 110 e lode e la laurea ad honorem, da molti anni afferma che «la cucina è di per sè scienza» e allora è indispensabile trattare la formazione dei cuochi allo stesso livello delle altre discipline scientifiche. «Ritengo fondamentale – ha dichiarato – che il cuoco studi in modo serio la chimica, la biologia, la nutrizione, l’alimentazione affrontando quindi le materie più tecniche proprie della sua professione. Non dobbiamo attendere oltre: la formazione universitaria in cucina è diventata una esigenza che non possiamo più sottovalutare. Se fossi un politico affermerei che un corso di laurea in Scienze Culinarie è quanto di più utile in questo momento al Sistema Italia».
La ministra Fedeli e il ministro alle Politiche agricole Martina la pensano allo stesso modo, inserendo quindi la gastronomia in un contesto culturale più ampio che vede i futuri Cracco e Cannavacciuolo chini sui libri di economia e giurisprudenza, statistica e chimica, geografia e antropologia. Un menù forse un po’ troppo abbondante, che potrebbe risultare perfino indigesto, ai ragazzi che alla fin fine vogliono solo cucinare un piatto a regola d’arte.