La Lettura, 29 ottobre 2017
Una firma sulla scatola: il gioco trova l’autore
Di fronte a nomi come Elizabeth Magie, Albert Lamorisse o Anthony Pratt, difficilmente qualcuno alzerà le sopracciglia in segno di riconoscimento. Normale, se li si considera per i loro mestieri di divulgatrice economica, regista di cortometraggi e impiegato di studio legale. Ma sono anche gli autori di Monopoli, Risiko e Cluedo, i giochi da tavolo più emblematici del secondo Novecento, sebbene mai il loro nome abbia figurato su quelle scatole che tutti noi abbiamo da qualche parte in soffitta. Le cose oggi sono cambiate: non c’è più un solo gioco che non riporti il nome dell’autore sulla confezione, proprio come per le copertine dei libri, e ai giocatori da tavolo del 2017 i nomi degli autori dei giochi sono noti quanto quelli dei loro scrittori preferiti. «I giocatori da tavolo del 2017», sì, perché, in barba a chi immaginava una loro estinzione causata dai videogame, l’industria del gioco da tavolo non è mai stata più in salute di adesso: un fenomeno intercettato anche da Lucca Comics & Games (dal 1° al 5 novembre). Il numero di nuovi titoli che escono ogni anno è passato dalle poche centinaia degli anni Ottanta e Novanta a diverse migliaia; il mercato globale cresce di percentuali a due cifre ogni anno, e quella di autore di giochi è diventata una professione a ogni effetto, anche in Italia.
Il vento cambia nel 1995, quando Klaus Teuber, un odontotecnico di Rai-Breitenbach, dalle parti di Francoforte, da sempre appassionato di giochi, comincia a progettarne uno che simuli l’esplorazione di nuove terre da parte di bande di vichinghi, la loro colonizzazione e i successivi scontri tra i vari possedimenti. L’editore gli suggerisce di mirare più basso, tagliare esplorazione e combattimento, e tenere solo il nucleo centrale.
Nasce così I coloni di Catan, un successo planetario da 25 milioni di copie e traduzioni in 30 lingue, che, spostando l’attenzione sulla pianificazione e non sugli scontri (o sulla fortuna), va a inaugurare il filone di giochi alla base dell’attuale rinascimento: quelli che gli americani chiamano Eurogame, che noi chiamiamo «giochi in stile tedesco» e che i tedeschi chiamano Familienspiel. Giochi a basso conflitto che hanno la loro forza nella raffinatezza delle meccaniche, e in cui la frustrazione che si poteva provare nell’essere un poveraccio da tre terreni costretto a infiniti giri di tabellone del Monopoli (o un disgraziato condottiero rimasto con tre territori a Risiko e in attesa di una morte ingloriosa), è ormai bandita. Da questo ceppo sarebbero arrivati poi giochi come Puerto Rico di Andreas Seyfarth, sempre basato sulla gestione di colonie, Carcassonne di Klaus-Jürgen Wrede, incentrato sulla costruzione di territori medievali, o Ticket to ride del britannico Alan R. Moon, il cui scopo è la costruzione di tracciati ferroviari: tutti titoli da milioni di copie, che hanno contribuito al fiorire di una nuova industria del gioco di società.
L’Italia arriva un po’ più tardi rispetto alla Germania, anche perché, come spiega a «la Lettura» Andrea Angiolino, tra i maggiori esperti italiani sull’argomento e lui stesso autore di giochi, «ancora negli anni Novanta case come Clementoni o Editrice Giochi avevano i loro creativi interni, ed erano poco aperte a proposte. Le cose cambiano con l’arrivo in Italia di Alex Randolph, storico autore americano. La sua creazione più nota è Inkognito, gioco spionistico ambientato nel carnevale di Venezia, e lui proprio a Venezia si trasferisce. Lì, assieme a Leo Colovini e Dario De Toffoli fonda lo studio Venice Connection, primo al mondo dedicato alla sola progettazione ludica, inventando di fatto il mestiere di autore di giochi».
È l’inizio dell’affermazione anche dell’Italia come Paese chiave della produzione di giochi da tavolo d’autore: nei primi anni Zero un altro appassionato, Emiliano Sciarra da Civitavecchia, unisce le forze con la daVinci, piccola casa editrice appena nata nella stessa città, per produrre BANG!, gioco di carte ambientato nel West. La prima tiratura è di 2.400 copie; oggi si parla di due milioni di esemplari venduti nel mondo, senza contare i circa 15 milioni di un gioco cinese che ne ha piratato le meccaniche, portandole dal West all’antica Cina. Anche lo stesso Andrea Angiolino, col suo Wings of War/ Wings of Glory dedicato agli scontri tra gli assi dell’aviazione della Prima guerra mondiale, può vantare un venduto da un milione di pezzi, oltre a un altro record: quello del progetto italiano più finanziato nella storia di Kickstarter, con il suo Sails of Glory, ambientato tra le battaglie navali di epoca napoleonica, che sulla maggiore piattaforma di crowdfunding ha raccolto più di 270 mila dollari.
Proprio Kickstarter, con la sua capacità di aggregare un pubblico specifico e sostenere la produzione con la garanzia di un venduto – i backer stanno anzitutto comprando il gioco stesso – è il motore di molti successi del gioco da tavolo d’autore contemporaneo. Se Exploding Kittens, il più finanziato della piattaforma con otto milioni di dollari raccolti, deve la sua fortuna alla notorietà di uno degli autori, Matthew Inman, celebre per il suo webcomic The Oatmeal, non si contano i progetti originali che hanno raccolto cifre elevate ( 7th continent, ispirato alle meccaniche dei libro-game, 7 milioni di dollari; Secret Hitler, versione strutturata dei giochi in stile «asso assassino», un milione e mezzo) così come quelli che, pur avendo raccolto cifre più modeste, sono riusciti poi a conquistare il mercato globale, come Cards against humanity, gioco di società basato sul completamento di frasi che danno origine a doppi sensi e narrazioni grottesche, partito da un finanziamento di quattromila dollari. Ma non c’è solo il crowdfunding tra le innovazioni dietro al boom dei giochi da tavolo: le stampanti 3D e la stampa digitale hanno abbassato i costi di produzione dei materiali, mentre l’adozione di sistemi in cui i valori e le possibilità d’azione sono rappresentati su tabellone e carte con sole icone e numeri abbatte ulteriormente i costi: se c’è da tradurre solo il manuale, si possono stampare in contemporanea le edizioni per tutti i mercati nazionali.
Avanzamenti tecnologici che alimentano un tipo di intrattenimento antitetico nella fruizione rispetto a ciò che normalmente viene considerato il fronte d’onda dell’innovazione ludica, i videogiochi. Per giocare ai giochi da tavolo ci si deve infatti incontrare fisicamente, e forse è proprio questo il segreto del loro attuale rinascimento. Lontani dall’alienazione prodotta dai giochi online, i giochi da tavolo riportano il convivio al centro dell’esperienza. Nelle città del Regno Unito e della Germania si sta assistendo a un proliferare di board game café, mentre da noi registrano presenze in costante crescita fiere come la Play di Modena o Lucca Games, «gemella» di Lucca Comics, dove, tra le altre cose, viene premiato il gioco dell’anno – quest’anno sarà Kingdomino di Bruno Cathala, in cui ci si cala nei panni di sovrani impegnati a costruire i propri reami – e si possono incontrare i propri autori preferiti. Se si pensa poi che la prima rivista italiana di giochi da tavolo, «IoGioco», il cui numero uno è uscito solo due settimane fa, è sorta dalla costola di «The Games Machine», storico magazine di videogiochi, si capirà quanto si sbagliavano le Cassandre che profetizzavano un’imminente scomparsa dei «giochi in scatola».