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 2017  ottobre 29 Domenica calendario

Tra le fiamme con i Ris delle montagne a caccia dei piromani della Val di Susa

«L’unico dato certo è che l’incendio è cominciato per mano dell’uomo. Faremo ogni sforzo per trovare il responsabile». Il colonnello Carlo Ferrucci è venuto a vedere di persona. È il comandante del gruppo forestale dei carabinieri. Per trent’anni ha lavorato in Calabria, da due è in Piemonte, conosce bene i boschi e lo strazio provocato delle fiamme. È lui il titolare delle indagini. Ed è qui, allora, sui suoi stessi passi, che bisogna tornare. Dove presto saranno al lavoro quattro «specialisti repertatori» chiamati dalla Regione Campania. «Dovete immaginarli come dei Ris delle montagne», spiega il colonnello Ferrucci. «Si occuperanno di suddividere il terreno in porzioni differenti, campioneranno a varie profondità, faranno analisi chimiche in cerca di eventuali tracce di sostanze acceleranti». Dovranno capire, in buona sostanza, come e perché un piccolo incendio sotto il costone della montagna sia diventato un disastro di queste proporzioni.
A Bussoleno, quindi. Località Calusetto. Una settimana fa. Erano le 9,30 di domenica 22 ottobre quando è arrivata la prima chiamata alla centrale operativa dei vigili del fuoco. Il fumo si vedeva dall’autostrada, lo hanno segnalato diversi passanti. Sembrava un incendio di dimensioni contenute, anzi lo era. Ma c’era molto vento, un vento forte da Ovest verso Est. E quelle fiamme circoscritte, alla fine, si sono estese per 14 chilometri, nel corso di 7 giorni e 7 notti di devastazioni ad alta quota: larici, querce, castagni, abeti, orchidee, alpeggi, baite e vecchie borgate di montagna.
«È successo esattamente qui» dice Angelo Buscio, 51 anni, operaio in un cantiere edile della zona. È sua l’unica casa davanti al punto di innesco. Non proprio, davanti. Bisogna camminare alcuni minuti lungo un sentiero di sterpaglie, lasciarsi sulla destra due vigne aride e disseccate, come tutta la vegetazione di rovi, roverelle, tronchi segati, fogliame ed erba gialla. Ed ecco il punto dove lavoreranno i repertatori. La prima sorpresa è che ci sono cinque bocchettoni per l’acqua a uso agricolo, che spuntano nel nero carbonizzato lasciato dalle fiamme. «Si chiamano teste per l’irrigazione a pioggia», spiega il signor Buscio. «Tutte hanno la modifica necessaria per poter essere usate dai volontari dei vigili del fuoco, basta avere una chiave e la manichetta da 45». Sono state usate? «No, perché i volontari non avevano la chiave. Così mia moglie, verso le 11 di quella mattina, ha indicato il pozzetto da cui potevano collegarsi, poco più sotto. Da lì hanno preso l’acqua e alimentato i naspi, lunghi tubi neri, tirandoli fino a qui per cercare di spegnere». Intanto il vento sollevava le fiamme verso l’alto, mulinelli di foglie secche e lapilli incendiati, vortici roventi. Le fiamme iniziavano il loro inesorabile contagio. Altre chiamate segnalavano un incendio, adesso più vasto, sempre nello stesso punto. Era già all’Argiassera, a 650 metri di altitudine. Poi a Campobello, 820 metri. Poi a Falcimagna, 850 metri.
«Non voglio accusare nessuno, ma una maggiore tempestività forse…», dice il signor Buscio. «Anche io, con mio figlio, mi sono dato da fare. Ma è tutto così secco qui intorno. Non piove da mesi. Nel giro di poche ore le fiamme erano partite».
Ma come può essere iniziato l’incendio? «Non per incanto, certo. Nemmeno per un fulmine. Qualcuno deve averci messo del suo. La cosa che mi colpisce è questa: è la seconda volta che capita proprio qui. Come nel 2003». Anche il vicesindaco di Bussoleno, Ivano Fucile, ricorda la coincidenza: «Era già successo nello stesso punto esatto. E molti fanno notare che le fiamme, qui come nelle altre valli, a Cumiana, Cantalupa e Locana, hanno riguardato i cosiddetti Sic, i siti di interesse comunitario. Sono piccole oasi naturali. Come se ci fosse una specie di accanimento per le zone di particolare pregio ambientale. Ma nessuno ha delle prove. Siamo nel novero delle chiacchiere e delle suggestioni».
Molti rincorrono il sospetto che diversi piromani siano entrati in azione, proprio in questi giorni, per fomentare l’incendio. Ed ecco ancora il colonnello Ferrucci, che invece deve fare le indagini e stare ai fatti: «Sono appena andato a verificare nei 7 punti che mi erano stati indicati come nuovi focolai. In nessuno di questi abbiamo trovato un innesco o tracce sospette. Nessuna evidenza del passaggio di qualcuno. Per essere chiaro: non ci sono le condizioni per alimentare la psicosi di un incendiario seriale. Credo che una vegetazione estremamente secca, il rotolamento dei gusci delle castagne incendiati e il vento forte possano essere spiegazioni sufficienti per quanto accaduto». Ma l’origine dell’incendio, no. Non può essere stato un fenomeno naturale.
In Val di Susa il vento ha concesso una tregua. I canadair hanno lavorato tutto il giorno scaricando acqua sulle fiamme, volando avanti a indietro dal lago del Moncenisio. Il fumo è più rarefatto, forse il peggio è passato. Inizierà la conta dei danni. Adesso in località Calusetto non si vede niente. Solo un tratto di bosco carbonizzato, dove la mano dell’uomo ha innescato il disastro e gli investigatori verranno a cercare la verità.